Cinema roberto recchioni Recensioni Cinecomic
Inutile nascondersi dietro a un dito: i film dello Spiderverse di Sony, quell’insieme di pellicole che hanno per protagonisti personaggi legati all’universo del tessiragnatele ma che non hanno il tessiragnatele come protagonista, non gode di una buona fama ed è stato visto come un elemento spurio rispetto ai film Marvel propriamente detti, quelli del MCU.
Questo dalla critica e, soprattutto, dagli appassionati forti, i fan, perché poi è tutto da dimostrare che il pubblico largo e “casual” (per mutuare un’espressione presa dai videogiochi) davvero avverta una differenza sostanziale di prodotto tra un Venom (che è un film dello Spiderverse prodotto da Sony), un Captain America (che è un film MCU) e uno Spider-Man (che è un figlio ibrido di Sony e Marvel), specie perché poi queste pellicole hanno tutte in testa la stessa logo animation del dipartimento cinematografico della Casa delle Idee. E infatti, nonostante lo storcere il naso della critica e del fandom, alcuni di questi film sono andati più che bene (tutti quelli legati al simbionte Venom). Altri, no. Altri, come Morbius e Madame Web, sono andati malino (ma non malissimo come si dice in giro).
E veniamo a Kraven, ultimo film in ordine di tempo dello Spiderverse di Sony, che esce in una situazione estremamente sfavorevole, sia a causa della “superhero fatigue” (la presunta stanchezza del pubblico nei confronti dei film di supereroi) sia perché, a fronte dei risultati economici non esaltanti e del “bad sentiment” generato da Madame Web, il film dedicato a Kraven il Cacciatore potrebbe essere (salvo un enorme e imprevedibile successo al botteghino) il capitolo finale dello Spiderverse in senso assoluto (a parte il prossimo film animato e la serie di Spider-Man Noir, s’intende).
Questo inficia in qualche maniera sulla qualità o meno della pellicola? Dal mio punto di vista, no.
Ma, prima di tutto, parliamo del film.
Diretto da J.C. Chandor (regista di Triple Frontier, un ottimo film con un bel cast), il film è una origin story che racconta di come il giovane Sergei Kravinoff (interpretato da Levi Miller e Aaron Taylor-Johnson) finisca per diventare Kraven il Cacciatore, un futuro avversario di Spider-Man, qui mostrato prima del suo incontro con l’amichevole ragnetto di quartiere.
Si parte con un cold opening dal sapore bondiano in cui vediamo un Kraven già in azione e poi, con un lungo flashback, torniamo nella sua adolescenza, facendo la conoscenza del suo tirannico padre (Russell Crowe), di suo fratello (Billy Barratt e Fred Hechinger) e della futura amica Calypso (Ariana DeBose). Sempre nel passato scopriamo il suo fatal flaw (quella “debolezza fatale” che spinge il protagonista di una storia ad affrontare i suoi demoni o a fuggirne), la maniera in cui ottiene poteri sovrumani legati agli animali e di come impara a usarli per diventare un letale cacciatore di uomini (cattivi). A questo punto si torna nel presente e, tra una guerra tra gangster russi e l’altra, Kraven sarà costretto ad affrontare il suo genitore e la sua eredità, mentre finirà per scontrarsi con alcuni cattivacci nati sulle pagine dei fumetti di Spider-Man (in particolare, una nuova versione di Rhino). Questo fino allo scontro-catarsi finale. Risolta quella, un paio di scene per lanciare le trame di un possibile sequel (hai visto mai) e poi l’immancabile momento in cui il protagonista indosserà il costume uguale-uguale a quello del fumetto, qui retaggio di una pesante eredità familiare. Titoli di coda e fine.
E adesso veniamo al punto: sarebbe estremamente facile parlare male di questo film perché non solo è privo di originalità o guizzi (il riassunto della trama ve lo dovrebbe aver chiarito) ma anche perché è scritto in maniera confusa (non si capisce, per esempio, perché Kraven passi da essere uno che se la prende con i bracconieri a uno che uccide gangster), ha effetti speciali poverelli, un ritmo discontinuo e, in generale, una totale assenza di ispirazione sotto il profilo artistico e stilistico (che trova il suo apice negativo nel design di Rhino). Ma la verità è che proprio non ce la faccio a prendermela con questo film che non mi pare peggiore di tante cose più amate o celebrate che ho visto nel corso degli anni.
Cerco di spiegarmi.
Fino all’arrivo sugli schermi di Iron Man (2008) i film dedicati ai supereroi erano fatti tutti nella stessa maniera: si prendeva un personaggio popolare, lo si adattava cercando di renderlo fruibile a un pubblico più vasto di quello dei fumetti e poi lo si infilava, più o meno a forza, in una trama canonica da film di genere e con uno stile visivo derivato dagli stilemi del cinema e non dai fumetti. Questo approccio era applicato con alterne fortune e poteva generare film molto buoni (penso al Superman di Donner, ai due film dedicati a Batman di Burton, ai tre film di Batman di Nolan, passando ovviamente per i primi due film di Blade di Norrington e del Toro, i primi due film degli X-Men di Singer e, ovviamente, ai primi due Spider-Man di Raimi) o film molto brutti (Il Punitore, qualsiasi film di Batman dopo Burton e prima di Nolan, Catwoman, Daredevil, Elektra, tutti i film di Superman dal terzo capitolo in poi, il terzo film di Blade, il terzo film degli X-Men e, ovviamente, il terzo film di Spider-Man).
Iron Man e l’MCU hanno cambiato tutto. I film derivati dai supereroi sono diventati una cosa diversa, molto più rispettosa del materiale originale e largamente influenzata, sotto il punto di vista visivo, dal materiale fumettistico originale. La Marvel cinematografica ha avuto così successo nella sua operazione che il suo modo di trarre adattamenti cinematografici o televisivi dai comics è diventato l’unica maniera possibile, seguita ed emulata da tutti. Eccetto che da Sony. Sony, facendo finta che il mondo non fosse mai cambiato, ha costruito il suo Spiderverse come se fossimo ancora negli anni Zero, concependo i film legati ai supereroi esattamente come si faceva un tempo: generici, larghi, pensati per un pubblico che magari non ha alcun interesse nei fumetti e che vuole solo passare un paio d’ore a guardarsi un film d’azione con qualcosa di diverso dai soliti film di azione, cioè un film d’azione con un protagonista dotato di qualche potere speciale e, magari, di un costume bizzarro (non troppo vistoso o improbabile).
E se quando è uscito Venom, nel pieno della rivoluzione operata dall’MCU, questo approccio mi sembrava grottesco e fuori tempo massimo, oggi, dopo sei film in cui questo stile è stato seguito con una coerenza granitica, quasi dogmatica, devo riconoscere che almeno Sony aveva una visione e l’ha perseguita e che, forse, torto torto non aveva nel pensare che “la moda dei film in stile MCU” alla fine avrebbe stancato e che i film “tradizionali” sarebbero restati.
Questo per dire che no, Kraven non è un film per cui mi strapperò mai le vesti, ma neanche un film che mi ha annoiato guardare o che ho odiato.
Anzi, a dirla tutta, a tratti mi sono anche divertito e ho trovato varie cose buone.
Su tutte, Aaron Taylor-Johnson, che oltre a essere davvero un bel vedere (specie a torso nudo, e nel film, a torso nudo, ci sta per parecchio tempo), è anche un bravo attore, con un carisma dolente e magnetico. Accanto a lui, abbastanza ovviamente, Russell Crowe, un attore che sa dare dignità e corpo a qualsiasi parte, in qualsiasi film. E poi, anche Alessandro Nivola che, trasformazione in Rhino a parte, si diverte parecchio ad andare sopra le righe con un cattivo bizzarro e sgradevole. Meno fortunati Fred Hechinger (che regge abbastanza fino a che non deve lasciare emergere Chamaleon dal suo personaggio) e Ariana DeBose, costretta in un ruolo femminile davvero mal concepito. A questi aspetti positivi bisogna aggiungere almeno una bella scena d’atmosfera e di tensione (parlo di quella nel bosco, con il combattimento tra Kraven e lo Straniero) e, in generale, un certo grado di brutalità e violenza nell’azione che mi ha ricordato (alla lontana) il quarto capitolo della saga di Rambo, quello splatter (John Rambo, del 2008).
Ora sono sicuro che qualcuno dirà: tutte qui le cose buone del film? Oh, Daredevil ne aveva molte meno e all’epoca mi era piaciuto lo stesso.
In sintesi, cosa cerco di dire? Che forse, negli ultimi anni, prendiamo questi film troppo seriamente e li giudichiamo in maniera troppo severa, in base a parametri molto arbitrari. Questo film ha uno target ben chiaro: un pubblico maschile, bianco e compreso tra i tredici e i diciassette anni, che cerca un poco di azione, violenza e battute coatte, e un pubblico largo che cerca, semplicemente, dell’onesto intrattenimento, e per entrambe le categorie, fa abbastanza bene il suo lavoro.
Poi, se come me, volete vedere Aaron Taylor-Johnson mezzo nudo, allora è un capolavoro.
Quindi, vi consiglio di andarlo a vedere?
Oh, sì, io mi ci sono affezionato.