Il corpo di Vincenzo Alfieri dimostra che il cinema di genere italiano non resta insensibile alle tendenze internazionali, ma è capace di rileggerle a modo proprio. Remake di El cuerpo, thriller spagnolo dello specialista Oriol Paulo, il film di Alfieri ha il merito di puntare moltissimo su due carte vincenti: le atmosfere notturne e l’interpretazione di Giuseppe Battiston, sempre accattivante in un ruolo per lui abbastanza inedito.
La trama prende piede dalla morte improvvisa di Rebecca Zuin (Claudia Gerini), ricca imprenditrice del ramo farmaceutico, sposata con l’aitante e più giovane Bruno Forlan (Andrea Di Luigi), ex professore di chimica. Rebecca è deceduta per un attacco cardiaco, ma il suo corpo sparisce dall’obitorio quella notte stessa, e l’ispettore Cosser (Giuseppe Battiston) viene chiamato a indagare.
Già nella sua prima apparizione, Alfieri e il co-sceneggiatore Giuseppe G. Stasi ne mettono in luce la personalità: è il classico ispettore dall’aura romanzesca, disilluso e con la battuta pronta, amabile proprio in virtù dei suoi limiti caratteriali. A tal proposito, Il corpo opta per una stilizzazione da giallo contemporaneo, con dialoghi ricchi di sentenze e un clima oscuro, enigmatico; merito anche della fotografia di Andrea Reitano, che valorizza i toni bluastri delle scene in notturna e le luci algide della camera mortuaria. Aggiungiamoci pure la pioggia battente, e siamo dalle parti della Trilogia del Batzán o The Killing, come atmosfera. Alfieri vi immette però un risvolto allucinatorio, quasi lisergico. Mentre cerca di capire cosa sia successo, Forlan – vero protagonista del film – scivola in visioni da incubo che sfiorano i territori dell’horror, rendendo le stanze del commissariato ancora più opprimenti e claustrofobiche. Attraverso i ricordi del marito, scopriamo che il matrimonio non era affatto felice, e che Forlan ha una relazione con Diana (Amanda Campana), una sua ex studentessa. I sospetti si moltiplicano, ma soltanto l’epilogo scioglierà l’intreccio, come da tradizione del mystery.
Naturalmente la performance di Battiston ruba la scena, anche perché l’attore friulano sa gestire tanto il cinico sarcasmo di Cosser quanto i suoi accessi di rabbia, come pure il dolore più intimo di un personaggio così tormentato; il monologo sulla legittimità della tristezza è molto efficace proprio in virtù della sua interpretazione. Analogamente, la regia dimostra di saper governare le varie sfumature della storia, utilizzando strumenti diversi a seconda delle circostanze: i primissimi piani per i momenti più emotivi, le panoramiche con i droni per introdurre un’ambientazione esterna, il montaggio serrato e frammentario (curato dallo stesso Alfieri) per la scena cruciale del ballo in maschera. Una confezione di ottima fattura, al livello delle produzioni di genere internazionali, con il merito aggiuntivo di aver riscoperto un brano intenso e doloroso come Piccolo uomo di Mia Martini.