Frankenstein Junior di Mel Brooks è tornato recentemente in sala, per quel 50° anniversario che oggi si realizza, per una delle commedie più leggendarie di tutti i tempi, il vero, grande capolavoro del maestro della parodia americana. Riguardare a questo film, significa omaggiare un pezzo di pop culture, ma soprattutto il perfetto esempio di come fare grande cinema, di come la risata alla fine sopravviva a tutto e a tutti, sempre.
Frankenstein Junior di Mel Brooks usciva in sala per la prima volta il 15 dicembre 1974. La sua genesi va ricercata nella volontà da parte di Gene Wilder di ritornare nelle grazie del pubblico, dal momento che film (oggi considerati cult assoluti) come Per favore non toccate le vecchiette e Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato non avevano raggiunto il successo al box Office che si aspettava. Era solo un abbozzo quell’idea di parodia del classico di Mary Shelley, lui stesso non lo giudicava particolarmente interessante, ma quando conobbe Peter Boyle e Martin Friedman, le cose cambiarono.
Mancava solo il regista e il caso volle che Mel Brooks chiamasse Wilder per un’altra delle sue hit più clamorose: Mezzogiorno e mezzo di fuoco. Fu sul set di quella parodia del western hollywoodiano che due entrarono in contatto e decisero di realizzare un film che sarebbe diventato l’archetipo definitivo della parodia cinematografica, della desacralizzazione sul grande schermo e allo stesso tempo della nobilitazione dell’opera di Mary Shelley. La trama sarebbe stata ambientata negli anni ‘30, avendo come protagonista Friedrich Frankenstein, nipote del primo Dottor Frankenstein, che si finirà nientemeno che in un castello della Transilvania, ereditato dal nonno.
Da quell’istante, Frankenstein Junior ci presenta una serie di personaggi tra l’assurdo e il patetico, vere e proprie maschere attraverso le quali deformare i topoi della narrazione horror tardo romantica, intesa non semplicemente come quella di Mary Shelley naturalmente, ma anche come quella di Bran Stoker. Ma è anche il Frankenstein di Whale del 1931, così come le produzioni low budget della Universal e della Hammer, a rivivere sul set, in virtù non solo della fotografia di Gerald Hirschfeld, dei costumi di Dorothy Jeakins e del trucco di William Tuttle.
Wilder e Brooks useranno persino lo stesso linguaggio cinematografico, le stesse attrezzature e lo stesso montaggio, per far tornare il pubblico all’epoca d’oro dell’orrore di una volta. La cosa più incredibile pensando a Frankenstein Junior è il fatto che la caratterizzazione stessa dei personaggi e dei dialoghi, gag, sketch, di Frau Blucher, Igor, Inga di te nonché naturalmente della Creatura, siano nati sovente quasi per caso, per errore sul set, oppure frutto di una totale improvvisazione.
Sovente dall’impostazione teatrale in quanto a messa in scena, volutamente retrò per non dire vintage, Frankenstein Junior è armato di un una chimica semplicemente incredibile tra gli interpreti. Gene Wilder, Peter Boyle, Teri Garr, Marty Feldman, Madeline Khan, Cloris Leachman, sono perennemente sopra le righe, in sequenze in cui persino il musical alla Broadway trova il suo giusto spazio.
Si tratta di una raffica creativa che perdura per tutti i 105 minuti di un film, dove in realtà molte scene furono eliminate e dove il doppiaggio italiano, per guardare a noi, diretto da Roberto de Leonardis e Mario Maldesi, ebbe il grandissimo merito di riuscire a creare una sorta di interpretazione, che però riuscì a mantenere la vibrante e magnifica atmosfera complessiva del film di Mel Brooks. Il risultato finale ottenuto da Brooks, è ancora oggi indicato come un capolavoro assoluto della comicità, ma non si può negare che rimanga anche un esempio perfetto di come un certo cinema di serie B, compreso quello comico, con adeguati mezzi riesca ad amplificare la sua potenza, la sua portata.
Frankenstein Junior ebbe un impatto semplicemente unico, imprevedibile e potentissimo, che andò al di là dello straordinario successo al botteghino e dei riconoscimenti della critica. Di fatto, ha sancito un modello parodistico cinematografico che è stato ripreso da qualsiasi altro regista intenzionato a desacralizzare romanzi di successo, saghe cinematografiche o grande autori. La sua influenza, i suoi tempi comici, la sua ricercata falso-pomposità, tutto quello che lo rende ancora oggi unico, avrebbe cambiato per sempre l’approccio alla commedia, aperto le porte ad un corso distante dalla concezione alta. Avremmo avuto la saga di L’aereo più pazzo del mondo, avremo avuto l’assurdo che diventava reale in Scuola di Polizia, i Monty Python sarebbero seguiti, fino alla parodia citazionistica diretta.
Dalla prima metà degli anni 90 Frankenstein Junior avrebbe indicato la via alla comicità demenziale, la grande protagonista delle sale cinematografiche di quel decennio, per poi depositarsi nella saga di Scary Movie, in qualsiasi regista che rompesse la presunta sacralità di capolavori o presunti tali. Persino nell’animazione ciò che fecero Gene Wilder e Mel Brooks con questo film si è saputo depositare. Frankenstein Junior rimane una delle perle assolute della comicità cinematografica. Mel Brooks ci avrebbe deliziato con altre straordinarie pellicole come La pazza storia del mondo, Balle Spaziali, Robin Hood un uomo in calzamaglia, Gene Wilder sarebbe diventato uno dei volti di riferimento del cinema per il decennio successivo. Ma di certo Frankenstein Junior rimane il film per il quale saranno ricordati in eterno, non solo per essere incluso nella Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti, ma per rappresentare uno dei punti più alti dell’arte cinematografica.