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Conclave, la recensione del film di Edward Berger

Pubblicato il 17 dicembre 2024 di Lorenzo Pedrazzi

In quanto ultima monarchia assoluta tuttora esistente, la Città del Vaticano è un’anomalia che si presta benissimo ai codici del thriller, soprattutto nelle mani di uno scrittore appassionato di Storia come Robert Harris. Il suo Conclave, adattato dal tedesco Edward Berger dopo l’Oscar per Niente di nuovo sul fronte occidentale, cavalca proprio la naturale curiosità verso l’eponima procedura di elezione papale, che è anche il nome della sala in cui si riuniscono i cardinali: la parola deriva infatti dal latino cum clave, ovvero “[chiuso] con la chiave”, a rimarcare la segretezza del rito.

Fin dall’inizio, Berger lavora su tale doppiezza di significato, senza dimenticare quello letterale. Il film si apre con la morte di Gregorio XVII, stroncato da un attacco di cuore che non desta sospetti, viste le condizioni di salute in cui versava il Pontefice. L’ufficio del Papa viene quindi chiuso con il sigillo della sede vacante. Venti giorni dopo, il collegio cardinalizio si riunisce per eleggere un successore, e la gestione del conclave spetta al decano Thomas Lawrence (Ralph Fiennes), cardinale che da tempo ha messo in discussione la sua fede nella Chiesa. Dal momento in cui partono le consultazioni, Berger usa le belle scenografie di Suzie Davies per sottolineare l’isolamento spaziale e fisico del Vaticano: è tutto un chiudersi di porte e finestre, tra serrature che scattano e stanze messe in sicurezza. Se ne ricava subito un senso di claustrofobia, specchio della reazione psicologica ed emotiva di Lawrence, che preferirebbe non avere una responsabilità del genere sulle spalle; il contesto, insomma, dialoga con il protagonista, lo costringe materialmente a svolgere il suo dovere.

Il confinamento, peraltro, fa risaltare la lotta tra le principali correnti ideologiche della Chiesa: da un lato c’è quella progressista e liberale, guidata da Aldo Bellini (Stanley Tucci); dall’altro quella tradizionalista e reazionaria, con a capo Goffredo Tedesco (Sergio Castellitto). Gli altri candidati forti per il papato sono il conservatore nigeriano Joshua Adeyemi (Lucian Msamati) e il moderato canadese Joseph Tremblay (John Lithgow). Prima che comincino le votazioni, però, l’intero collegio è sorpreso dall’arrivo di Vincent Benitez (Carlos Diehz), missionario messicano che Gregorio XVII ha segretamente nominato arcivescovo di Kabul.

È chiaro che il sopracitato scontro ideologico evidenzia i conflitti interni alla Chiesa, in bilico tra riforme illuminate e un ritorno al passato. Nella forma di un thriller ecclesiastico, Conclave riannoda i fili di un discorso che per i cattolici è sempre più attuale: aprirsi al mondo (e quindi alle altre fedi, alla comunità LGBTQIA+, a un’espansione del ruolo delle donne) o rintanarsi nella tradizione, barricandosi dietro le mura vaticane e restaurando la liturgia in latino? Il film sintetizza così le principali sfide della Chiesa nel nostro presente, articolandole in un intreccio che regge bene la tensione grazie alla progressiva scoperta di segreti e sotterfugi. Lo sceneggiatore Peter Straughan aveva già dimostrato di saper gestire un gran numero di personaggi nel suo adattamento de La talpa, e qui si ripete (pur all’interno di una storia meno complessa) con notevole senso del ritmo. Se tiene viva l’attenzione, è anche perché s’immerge in metodi e rituali dal carattere arcaico, misteriosi per chiunque non vi sia coinvolto. Berger lo sa bene: l’insistenza sulla procedura di voto, con i primissimi piani sulle schede infilate nel contenitore, o le ripetizioni di montaggio sul sigillo spezzato, nutrono proprio quel tipo di curiosità morbosa.

Al contempo, però, Conclave è un efficacissimo thriller basato sugli intrighi di palazzo, abile a mettere in scena il lato più prosaico della Chiesa. In quello che dovrebbe essere un centro assoluto di spiritualità, dominano invece le manovre politiche e la ragion di stato, giusto per ricordarci che le istituzioni ecclesiastiche sono pur sempre un artificio umano. «Noi serviamo un ideale, non possiamo essere sempre ideali» dice Benitez con notevole lucidità, e il suo pragmatismo si riflette anche in Sorella Agnes (Isabella Rossellini), capo-suora al servizio dei cardinali: il suo sguardo severo riassume secoli di rivendicazioni femminili all’interno della Chiesa, dando luogo a una tacita alleanza con Lawrence. Lo stesso colpo di scena finale, davvero brillante, tende verso quella direzione, poiché forza il Vaticano ad abbracciare nuovi orizzonti. I tempi cambiano, che la Chiesa lo voglia o no.

Conclave

Berger, in tal senso, riesce a trovare la chiave giusta, dando al film un respiro epocale tramite inquadrature di forte impatto (soprattutto nei campi lunghi, come la ripresa dall’alto dei cardinali con gli ombrelli bianchi), ma valorizzando anche i momenti più intimi e silenziosi: memorabile la scena in cui Lawrence si introduce nell’ufficio del defunto Papa, quando lui e Agnes avvertono la rispettiva presenza ai due lati della porta. Ricca di inquietudine e di reiterazioni ossessive, la colonna sonora di Volker Bertelmann sa dare voce proprio ai momenti introspettivi del decano, come il suo strazio interiore di fronte alle indagini e alle scelte morali che ne conseguono.

Conclave, in effetti, è un film dove il dialogo fra interno ed esterno privilegia nettamente il primo: quello che c’è “la fuori” si vede a malapena, sono soltanto echi dietro le mura. Non sorprende quindi che il discorso sugli attentati di matrice islamica sia un po’ trascurato, e resti marginale nel copione di Straughan; la focalizzazione è tutta nelle stanze monumentali di un potere antico, che troppo spesso dimentica tribolazioni e consuetudini del mondo reale.