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Il Gladiatore II, la recensione di Roberto Recchioni

Pubblicato il 14 novembre 2024 di Roberto Recchioni

Il mio dovere di scrittore mi impone di introdurre l’opera di cui questo film è il sequel, nonostante la conoscano anche i sassi. Uscito nel 2000 a firma di un Ridley Scott in una fase complicata della sua carriera (il regista di Alien e Blade Runner veniva da una tripletta di sonori e costosi fallimenti di pubblico e di critica e, più in generale, era ritenuto dalla gente un autore “bollito”), Il Gladiatore è un film “storico” (ma, in realtà, l’etichetta che lo definisce meglio è “sword and sandal” o “peplum”, da noi) basato su un soggetto di David Franzoni e scritto da John Logan, William Nicholson e Franzoni stesso. Fotografia di John Mathieson, montaggio di quel genio italiano (poi naturalizzato statunitense) di Pietro Scalia, musiche di Hans Zimmer (all’epoca ritenuto un bravo professionista e non il maestro incontestabile di adesso). Nel ruolo dell’imperatore Commodo, antagonista del film, Joaquin Phoenix (che in quegli anni era ancora il fratello del più famoso, e sfortunato, River), mentre nei panni del protagonista Massimo Decimo Meridio, generale romano caduto in disgrazia e costretto a diventare un gladiatore nell’arena, Russell Crowe (in quel periodo un volto di belle speranze, di cui tutti riconoscevano il talento, ma non ancora una star planetaria), dopo aver vagliato Antonio Banderas e Tom Cruise.

Franzoni scrive il film nel 1972, durante un viaggio in moto attraverso l’Europa e il Medio Oriente, poi torna negli USA, mette quella prima stesura in un cassetto e se ne dimentica per venticinque anni, fino a quando Spielberg (che con Franzoni realizza Amistad) non gli chiede se per caso ha qualche altro film che gli piacerebbe portare sul grande schermo. Franzoni riprende in mano il vecchio script e lo sistema, consegnandolo poi alla DreamWorks (la società da poco fondata proprio da Spielberg assieme a Jeffrey Katzenberg e David Geffen), che decide di affidare il film a Ridley Scott. La macchina si mette pienamente in moto quando anche la Universal entra nella partita produttiva. Scott però non è contento della sceneggiatura e la fa riscrivere a John Logan, non rimanendone comunque pienamente soddisfatto. Quando la troupe arriva sul set, ci sono solamente trentadue pagine approvate; al resto verrà data forma in corso di riprese da William Nicholson e dal cast attoriale stesso. Leggendarie, in questa fase, sono le bizze di Crowe che cerca di riscrivere tutto il copione (per qualche settimana si rifiuta di dire la battuta “avrò la mia vendetta… in questa vita o nell’altra” ritenendola spazzatura, ma è anche quello che inventa il motto di “forza e onore” e che si batte per fare creare una backstory familiare per il personaggio di Massimo Meridio). Le riprese, tra la Germania, l’Inghilterra, il Marocco, Malta e la Val d’Orcia, sono difficili e piuttosto dure (ancora oggi Crowe si lamenta dei numerosi infortuni di cui è stato vittima), complicate anche dalla morte di Oliver Reed che nel film interpreta Proximo, un personaggio chiave. Comunque sia, Scott e Mathieson, in una maniera o nell’altra, si portano a casa il girato, Scalia lo monta e Zimmer fa la sua magia, rendendo tutto ancora più epico e lirico. Il film esce nelle sale e diventa un successo planetario capace di restare in sala per un anno intero negli USA e di entrare nell’immaginario popolare collettivo (lo certifica, per esempio, il personaggio di Ralph Cifaretto nei Soprano, che continua a citare costantemente il film).

Il Gladiatore riceve anche un (non unanime) plauso della critica e dodici candidature all’Oscar, vincendone cinque (miglior film, miglior attore, migliori effetti visivi, miglior sound, migliori costumi). Insomma, (quasi) tutti lo amano. A parte gli storici (a ragione, direi).

Scott, archiviato il successo e rilanciata la sua carriera, si appassiona a nuovi progetti e a Massimo Meridio non ci pensa più per un sacco di tempo. Ma altri lo fanno per lui e l’idea di un Gladiatore II inizia a circolare sin da subito. Troppi i tentativi per elencarli qui, mi limito a segnalare che a un certo punto l’incarico di scrivere un sequel finisce nelle mani di Nick Cave (il cantautore, appassionatissimo del film) che consegna uno script in larga parte ambientato tra inferno, purgatorio e paradiso, le crociate, la Seconda Guerra Mondiale, la guerra del Vietnam, con Maximus trasformato in un “uccisore di Cristo” (parole di Nick Cave, non mie) e che si conclude ai giorni nostri, dentro al Pentagono. La proposta di Cave viene rifiutata (ma io sarei stato curioso di vederla) e per un sacco di tempo si continua a parlare di dare un seguito al film, senza nessuna reale convinzione. I problemi economici in cui incappa la Paramount non aiutano. Si continua così per anni e anni, fino a quando Scott non incappa in David Scarpa, che gli scrive Napoleon e che lascia il regista molto soddisfatto per il suo approccio “storico” (leggetelo con tutta l’ironia di cui siete capaci). Scarpa non si tira indietro e si mette a riscrivere l’ultima versione della sceneggiatura disponibile (realizzata da Peter Craig) e questa volta, si parte davvero. La storia si ambienterà una ventina d’anni dopo il primo film e si incentrerà tutta sul personaggio di Lucius Versus, il figlio di Lucilla e di Massimo Meridio. Crowe, con una punta di disappunto, annuncia che non sarà coinvolto (ma poi le cose andranno diversamente, in qualche maniera) e il cast attoriale quasi del tutto rinnovato. Sfumata l’ipotesi di Chris Hemsworth nel ruolo del protagonista, Scott decide di puntare su due attori lanciati ma non ancora consacrati (specie sul grande schermo): Paul Mescal e Pedro Pascal. Accanto a loro, Joseph Quinn, Fred Hechinger, Connie Nielsen (che, assieme a Derek Jacobi, rappresenta il collegamento diretto con la pellicola originale) e, soprattutto, Denzel “non sono capace di sbagliare” Washington. Dietro la macchina da presa, eccezion fatta per Scott alla regia e John Mathieson, solamente volti nuovi (Claire Simpson e Sam Restivo al montaggio, Harry Gregson-Williams alle musiche). Budget stanziato inizialmente: 165 milioni di dollari, poco per le ambizioni di Scott e l’heritage del film. Budget impiegato alla fine di tutto: 310 (anche se la Paramount parla “solo” di 250), tanti, specie di questi tempi.

E ora, dopo questa lunghissima premessa, parliamo alla buon’ora di questo Gladiatore II.
Com’é?
È complicato stabilirlo. Proviamo a vederla sotto alcuni aspetti diversi.

COME FILM STORICO

Siete appassionati di storia e di storia dell’Impero Romano in particolare? Siete di quelli che non riescono a tollerare le invenzioni e le assurdità del cinema (specie se americano) quando si approcciano alla rievocazione? Allora lasciate perdere. Non guardatelo. Oppure guardatelo scordandovi del tutto dell’ambientazione, accettando il fatto di stare vedendo un film fantasy sulla scia di Game of Thrones (draghi a parte), in cui, ogni tanto, si pronunciano a caso i nomi di Marco Aurelio, Geta, Caracalla e parole come “repubblica”, “senato”, “impero”, “Roma”. Nulla, nulla, nulla di questo film si avvicina alla realtà storica o a una ricostruzione anche solo vagamente credibile di quanto realmente esistito. Concetti chiave della storia, del tempo, della filosofia, della politica, della società di quello che per comodità chiamiamo “Impero Romano” vengono non solo stravolti, ma sovvertiti (pervertiti, direbbero i più intransigenti) in virtù delle necessità dell’impianto drammatico del film e della spettacolarizzazione. Inutile anche stare a parlare delle ricostruzioni dei momenti di guerra o dei combattimenti nell’arena. Come detto all’inizio, è un film fantasy e come tale va preso.

COME SEQUEL DEL GLADIATORE

C’è stato un tempo in cui i sequel erano ritenuti prodotti secondari e derivativi, privi di alcun valore artistico ma utili a “mungere la mucca” fino a che dava latte, a generare ulteriore profitto giocando sul sicuro, insomma. In questo periodo, i “numeri 2” (e 3, 4, 5…) venivano concepiti in maniera semplice: si trovava un escamotage basilare (e, di solito, grossolano) per ripetere la formula che aveva avuto successo la prima volta e dare un seguito alla storia, e poi si raddoppiavano gli elementi a schermo. I sequel erano, in sostanza, film più grossi, più spettacolari e (tendenzialmente) più stupidi. Ovviamente, c’erano delle nobili eccezioni (dal Padrino – parte II a Aliens, da Rocky a Indiana Jones, da Star Wars a Ritorno al Futuro), ma, di base, un sequel era semplicemente un film “come il primo ma più grosso”. Negli anni questa concezione si è evoluta e sono state trovate formule più raffinate per dare seguito a un film di successo (anche seguendo l’esempio delle nobili eccezioni citate poco sopra) e mantenere alto il valore di una proprietà intellettuale. Ora, Il Gladiatore II è un sequel vecchia scuola: ha il numero 2 nel titolo, si basa su un’idea davvero pigra e appiccicata malamente con il nastro adesivo (sotto forma di discutibili interventi digitali) al primo film, cerca di raddoppiare tutti gli elementi del capitolo originale (due imperatori, due eroi…), è più grosso, più spettacolare, più esagerato. E più scemo. Ma scemo che, a tratti, non ci si crede. Eppure, sarà per la sfacciataggine, sarà perché, in fondo, non era la raffinatezza quella che cercavo dal seguito di un film che non aveva mai fatto della raffinatezza una bandiera, io ho trovato questo Gladiatore II un perfetto, divertente, appagante sequel.
È come ordinare un doppio cheeseburger dopo averne mangiato uno singolo: magari non lo mangi per fame o per esplorare meglio l’idea di cucina dello chef, ma ti appaga parecchio.

COME FILM IN QUANTO TALE

Dunque, sorvolando sulle assurdità della trama e le insensatezze di alcune soluzioni narrative (non è semplicissimo, vi avverto), questo film è un grande spettacolo. Scott, sotto il punto di vista visivo, è un genio e un esteta e lo è sempre, anche quando ha diretto degli script orrendi, e questa volta non solo non fa eccezione, ma esprime il suo talento al meglio. Per il resto, la storia è quel che è (scemotta e ben poco ispirata), sviluppata come è sviluppata (davvero male), ma fornisce momenti di grande atmosfera e spettacolo (e quindi, in mano a Scott, momenti di grande cinema) e qualche occasione per gli attori di mettersi in mostra. Paul Mescal è convincente, specie perché non cerca di rifare Russell Crowe ma trova una sua via per esprimere “forza e onore”, Pedro Pascal dona dolcezza e umanità al suo personaggio e i due, assieme, sono una bella versione moderna di Achille e Ettore. Anche il resto del cast fa un ottimo lavoro ma, di fondo, tutti, ma proprio tutti (protagonisti compresi), vengono messi in ombra da una prestazione stratosferica di Denzel Washington. Di cui però parliamo dopo. Cosa rimane? La fotografia è in continuità con il primo film, quindi bella ma un poco pacchianotta, il montaggio cerca di dare un ritmo più sostenuto alla formula originale, senza però reinventarla o stravolgerla e, quanto alle musiche, Harry Gregson-Williams deve confrontarsi con Zimmer e lo sa già che non può vincere, ma fa un più che dignitoso lavoro. Cosa resta? Ah, sì, gli effetti digitali, che variano dal sublime al terribile, a seconda di cosa portano a schermo. E, se ve lo state chiedendo, le scimmie sono nella categoria “terribile”.

COME FILM DI DENZEL WASHINGTON

Personalmente ho una teoria: se in un film appare Denzel Washington, quel film diventa automaticamente “un film di Denzel Washington”, sia che lui interpreti il protagonista, l’antagonista o un personaggio di contorno. Il puro e semplice carisma di Washington è capace di andare oltre tutto: al suo ruolo, agli attori che ha attorno, allo script, al soggetto, al regista e al film stesso. Quindi, fino a quando in Il Gladiatore II Denzel Washington non appare, il film è un sword and sandal, diretto da Ridley Scott, con Paul Mescal e Pedro Pascal, sequel di un enorme successo di inizio secolo. Quando però Denzel Washington appare a schermo (per rimanerci poi fino alla fine), Il Gladiatore II diventa un film di Denzel Washington e come tale va valutato.
Ed è un magnifico film di Denzel Washington, dove lui ha modo di prendere un bel personaggio (Macrinus, un ex-schiavo ora “agente di gladiatori” con in mente un piano per fare la rivoluzione) e portarlo a vette inimmaginabili per qualsiasi altro attore. Semplicemente, Il Gladiatore II è un film che permette a uno degli attori più carismatici di tutti i tempi di fare quello che gli viene meglio: occupare tutta la scena con la sua sola esistenza. Se anche ci fosse una sola ragione per vedere Il Gladiatore II (in realtà ce ne sono molte), quella ragione sarebbe Denzel Washington.
Nella mia classifica personale di “film di Denzel Washington” io lo metto ai vertici assoluti. Non proprio sulla vetta (quella, probabilmente, spetterà per sempre a Man on Fire), ma neanche tanto distante.
Scherzi a parte e fermo restando che Washington è il valore aggiunto assoluto di questa pellicola, per molti versi ne è anche uno dei punti deboli. Perché il suo carisma è tale che mette in ombra i due protagonisti e le loro ragioni. Anzi, non mi stupirei se anche voi, proprio come me, finirete il film parteggiando per il personaggio di Macrinus invece che, come previsto, per quello di Lucius.

In conclusione: facendo tutte le tare del caso (è un fantasy, è un film sciocco e un sequel non necessario, ha uno script debolissimo), per me Il Gladiatore II è un film da vedere e da vedere al cinema, perché è spettacolare, divertente, appagante, diretto benissimo, e con un grande cast.
Non quel tipo di film che vi farà sentire più colti e intelligenti, sia chiaro, ma che saprà divertirvi, stupirvi e emozionarvi. E vi assicuro, non è poco.