Cinema

Danny DeVito: gli ottant’anni del Pinguino per eccellenza

Pubblicato il 17 novembre 2024 di Giulio Zoppello

Danny DeVito compie ottant’anni. Lo fa da gigante (non è una battuta) della settima arte, di cui rappresenta un ambasciatore totale. Attore, stand-up comedian, regista, sceneggiatore e produttore, ha saputo distinguersi in mille modi diversi in una carriera lunga più di cinquant’anni. Eppure, tra tanti ruoli e personaggi, ancora oggi il più noto, iconico e memorabile resta uno dei villain più riusciti del mondo dei cinecomic: il Pinguino.

Un villain simbolo dell’odio verso il diverso dalla norma

Danny DeVito, nei panni del Pinguino, ha lasciato una traccia memorabile, talmente possente e gigantesca che persino la recente e bellissima serie TV della HBO, con Colin Farrell che ha ripreso il ruolo del celebre signore del crimine, non è riuscita a superarla. Lo stesso vale per Burgess Meredith e Robin Lord Taylor, che sul piccolo schermo hanno offerto due versioni diverse in epoche differenti, eppure complementari nel raccontare un cattivo assoluto, teatrale e astutissimo.

La caratterizzazione che Danny DeVito ha dato al personaggio creato da Bob Kane e Bill Finger è ancora oggi ricordata come una delle più scioccanti, sorprendenti e, in un certo senso, indipendenti dal personaggio dei fumetti. Nel 1989, Tim Burton con il suo Batman aveva fatto la storia del cinema, cambiando il concetto stesso di cinecomic, fino a quel momento ancora legato al Superman di Richard Donner. Il seguito, Batman – Il ritorno, aggiunse al Cavaliere Oscuro di Michael Keaton altri personaggi della DC Comics: un’eccezionale Catwoman interpretata da Michelle Pfeiffer, il Max Shreck di Christopher Walken, ma fu il Pinguino di Danny DeVito a lasciare di stucco pubblico e critica.

Burton modificò il personaggio del Pinguino in virtù della sua visione e semantica, legata al concetto di mostruosità, emarginazione e del male come reazione allo stimolo esterno. Fino a quel momento, Danny DeVito era conosciuto soprattutto per ruoli comici, ma la sua mimica, la sua presenza scenica e un make-up a dir poco raccapricciante lo resero il villain più centrale di quel secondo episodio. Qualcuno ritenne l’interpretazione dell’attore italoamericano solo leggermente inferiore al fenomenale Joker di Jack Nicholson. Sta di fatto che ancora oggi il suo Pinguino è un mix perfetto di pietà e disgusto: patetico e raggelante assieme, il figlio dimenticato e rifiutato di Gotham che cerca, soprattutto, di essere accettato per quello che è.

In un certo senso, anche grazie a Danny DeVito, il Pinguino diventa più un maledetto che un cattivo e basta. Ha più cose in comune con la Creatura di Frankenstein che con il personaggio dei fumetti. Eppure, proprio per questo, funziona così bene.

Un cattivo capace di rappresentare il peggio della società

Quando Bob Kane immaginò il Pinguino, si ispirò a vari gangster e signori del crimine, figure che, soprattutto durante il Proibizionismo o nell’America degli anni ’40 e ’50, avevano conquistato una fama pittoresca e scandalistica. In particolare, il Pinguino interpretato da Danny DeVito è un personaggio che cerca il potere, l’affermazione sociale, si mischia al meglio dell’alta società per riscattarsi dalla sua condizione naturale, dalla sua inferiorità fisica, dal suo aspetto ripugnante… Insomma, cerca di compensare una deformità che dal fisico è diventata chiaramente anche morale.

Il Pinguino richiama alla memoria gangster come Mickey Cohen e il mitico Al Capone, ma possiamo pensare anche al nostro Totò Riina. Oswald Chesterfield Cobblepot è però anche lo stesso personaggio che tenterà di far uccidere tutti i primogeniti di Gotham, una sorta di biblica legge del contrappasso per il rifiuto sofferto fin da piccolo. Violento e imprevedibile, ha come unici compagni i pinguini che vivono con lui nelle fogne, in un’imitazione di quel Killer Croc che Burton aveva inizialmente considerato come possibile antagonista del film.

Tuttavia, è innegabile che nel Pinguino ci sia anche qualcosa del Gobbo di Notre Dame interpretato da Charles Laughton, e quindi un’incredibile umanità, rappresentata soprattutto dalla sua volontà di essere amato e accettato dagli altri. Ma è condannato a essere un freak, un bizzarro elemento da deridere e disprezzare, come il fu Elephant Man nell’Inghilterra vittoriana. Non è un caso che la Gotham di Burton imiti di fatto la struttura sociale e i riti di quell’epoca, con il suo classismo e la sua superficialità.

Questo Pinguino di Danny DeVito è anche un politico, soprattutto un politico, che diventa, come i grandi seduttori di folle del totalitarismo, capace di manipolare le moltitudini e carpirne il favore. Lo fa presentandosi non come eccezionale, ma come apparentemente inferiore. Carismatico, opportunista e meticoloso tattico, verrà sconfitto dopo essere diventato addirittura un terrorista privo di ogni controllo.

Grazie a Danny DeVito, da 32 anni il Pinguino è fisso nella nostra memoria come un concentrato del peggio dell’animo umano: una miscela di mera volontà propria e reazione al mondo esterno. Mostruoso non per scelta, ma per ciò che accade quando qualcuno viene emarginato e trattato come un mostro: lo diventa.