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Parthenope, la recensione di Roberto Recchioni

Pubblicato il 25 ottobre 2024 di Roberto Recchioni

Parthenope è il decimo lungometraggio di Paolo Sorrentino (a cui vanno poi sommate le produzioni televisive, i cortometraggi e i documentari), un romanzo di formazione che racconta la storia di una ragazza (Parthenope, appunto) dalla sua giovinezza all’età adulta e oltre. Parthenope, nel film, è interpretata da Celeste Dalla Porta e da Stefania Sandrelli, e accanto a lei compaiono Daniele Rienzo (il tormentato fratello della ragazza), Dario Aita (il suo primo amore), Gary Oldman (nel ruolo dello scrittore John Cheever), Silvio Orlando (un burbero ma saggio professore universitario), Luisa Ranieri e Isabella Ferrari (nei ruoli di due attrici di grande successo e fascino, nello sfiorire dei loro anni), Alfonso Santagata (nel ruolo di Achille Lauro, l’armatore, non il cantante), Marlon Joubert (un camorrista) e Peppe Lanzetta (il vescovo che si occupa di far sciogliere il sangue di San Gennaro).

Il film ha un andamento cronologico, per quanto ondivago e onirico, e porta lo spettatore a compiere una lunga esplorazione del mistero (il mistero della femminilità, di Napoli, della fede, della bellezza, della vita e, in ultima analisi, della protagonista e del cinema di Sorrentino stesso), sovraccaricandolo di bellezza e di frasi perfette.

La pellicola si apre con una sequenza “scorsesiana” (che ricorda tanto l’apertura di Casinò quanto, per diretta discendenza, quella de Il Divo), che sembra quasi un piccolo spot di moda (vale la pena ricordare che il film è prodotto anche da Saint Laurent e che la cosa ha un certo peso), utile a settare il tono estetizzante con cui il regista ci racconterà una Napoli degli anni Cinquanta bellissima e impossibile, popolata esclusivamente da meravigliosi modelli e modelle, per dirci che in fondo questo Parthenope non è un film di realtà ma di sogni.

Da qui in poi, il film si distende nel suo racconto, ci mostra la nascita di Parthenope e poi, con un salto temporale, ce la fa ritrovare adolescente e bellissima, già consapevole del suo potere sugli altri, senza però riuscire ancora a comprendere appieno le responsabilità che quel potere comporta. Lo scoprirà poi, a caro prezzo e, assieme a questa scoperta, finirà la sua giovinezza (durata troppo poco) e inizierà la sua vita adulta, dove i temi del film saranno grossomodo gli stessi, ma affrontati in maniera più consapevole.

Ora, cosa dire del film? Sul piano estetico c’è davvero poco da appuntare: ricercatissimo, evocativo, sognante, materico, oscuro, sensuale, magico, squallido, repulsivo, attraente, bellissimo. Forse anche troppo, perché per certi versi il film non ti permette mai di riprendere fiato tra un’immagine ricercata e l’altra, e corre un poco il rischio di desensibilizzare lo spettatore a quella bellezza che vuole glorificare. Il cinema di Sorrentino non è nuovo all’estetizzazione del reale, ovviamente, ma qui la porta a un livello più alto e pervasivo, abiurando completamente il reale in favore di un mondo che pare sempre uscito da una (splendida) rivista di moda, anche quando ci mostra il degrado o la miseria. Funziona? In parte, sì. Perché Parthenope è in grado di rapirti anche con le sue sole immagini (accompagnate dalla solita, splendida, selezione musicale); in parte, no, perché questo “mondo bellissimo” crea un certo distacco emotivo con il cuore della storia e dei suoi personaggi.

Sul piano narrativo, invece, il discorso è più complicato. Il film è “sghagherato e sgangherabile” (la qualità dei capolavori, secondo Umberto Eco), costruito per momenti e “scenette” che si collegano l’una all’altra certe volte in maniera solida, altre in maniera labile. Ora, questa costruzione in “quadri” da una parte ha il vantaggio di rendere ogni “vignetta” un momento a sé, pienamente fruibile anche da solo, oltre che nella somma con tutte le altre. Di contro, inevitabilmente, non tutti questi frammenti sono allo stesso livello: alcuni rappresentano il miglior cinema di Sorrentino, altri sono una collezione dei suoi luoghi narrativi e grammaticali più abusati. Nell’insieme, però, personalmente ho trovato che ci sono più momenti buoni (alcuni, straordinariamente buoni) che momenti meno riusciti, e per questo penso che Parthenope sia complessivamente riuscito, per quanto gravato da qualche problema di approccio che Sorrentino dice di non avvertire ma che, magari, pubblico e critica percepiscono.

Il primo, ovviamente, è l’elefante nella stanza: può, oggi, un uomo di cinquantaquattro anni raccontare la storia di una giovane donna dal punto di vista della giovane donna stessa? In sostanza, può Sorrentino dire “Parthenope sono io”, come Flaubert diceva “Madame Bovary sono io”? Stando alle parole del regista (le trovate nell’intervista video allegata a questo pezzo), sì, può. Anzi, deve. Se lo chiedete a me, ho qualche perplessità in più. Come ho qualche perplessità sul personaggio di Parthenope in senso assoluto, definito nel corso della storia quasi esclusivamente dal suo rapporto con gli uomini (diciamo che il film, pur avendo come protagonista una donna, non supererebbe agevolmente il Test di Bechdel), a dirla tutta, sono anche perplesso sullo sguardo feticizzante che il regista applica alla splendida e bravissima Celeste Dalla Porta, uno sguardo tipico di un cinema che era (pensate, per dire, a Hitchcock e alle sue bionde, a Antonioni e Monica Vitti, a Tarantino e Uma Thurman) ma che forse non è più moneta corrente oggi.

Ma queste sono perplessità mie, che penso allo zeitgeist dell’oggi, e capisco benissimo che a Sorrentino non interessino, perché il suo cinema, e Parthenope in particolare, è disinteressato alla precarietà del presente e volto verso l’assoluto e il senza tempo.

Detto questo, cosa mi resta del film? Una domanda, la migliore che il film pone allo spettatore, secondo me: è un mistero o una truffa, Parthenope, la protagonista del film? C’è davvero qualcosa sotto la sua bellezza e la leggerezza con cui vive la vita, oppure ci sta ingannando tutti? È un mistero o una truffa la città di Napoli, con la sua meraviglia e la sua miseria? È un mistero o una truffa la religione che fa sciogliere il sangue di San Gennaro? È un mistero? È un mistero o una truffa, questo film? È un mistero o una truffa, il cinema di Sorrentino tutto?

Non ho risposta.
Ma penso che la domanda valga già di suo il viaggio.