Cinema roberto recchioni Recensioni
Longlegs è un buon film per mostrare come si costruisce un grosso successo (sia di critica che di pubblico) senza dover per forza avere un enorme budget, grandi talenti o un materiale d’origine particolarmente originale. Scritto e diretto da Oz Perkins, prodotto da C2 Motion Picture Group e, soprattutto, dalla Saturn Film di Nicolas Cage, distribuito da Neon, interpretato da Maika Monroe, Blair Underwood, Alicia Witt e Nicolas Cage, musicato da Elvis Perkins (sotto lo pseudonimo di Zilgi), fotografato da Andrés Arochi Tinajero e montato da Greg Ng e Graham Fortin, Longlegs racconta una storia ambientata tra i tardi anni settanta e gli anni novanta, muovendosi tra il “satan panic” (un periodo della storia americana in cui impazzava la psicosi del satanismo e delle sette dedite al diavolo e all’omicidio) e gli “anni d’oro” dei serial killer americani. Risulta abbastanza ovvio che i suoi principali riferimenti cinematografici si posizionino nella forbice tra questi due fenomeni, quindi tra Rosemary’s Baby (1968, Roman Polański) e Il silenzio degli innocenti (1991, Jonathan Demme). Tra questi due apici, la lezione stilistica di Ti West e del suo splendido The House of the Devil (2009) e dell’algido e quasi documentaristico Zodiac (David Fincher, 2007).
La trama in breve (e senza spoiler): una giovane agente dell’FBI, grazie al suo spiccato intuito che sfiora il paranormale, viene assegnata alle indagini su un pericoloso serial killer conosciuto come “Longlegs”, un misterioso omicida che sembra capace di indurre le persone a fare stragi delle loro famiglie e poi uccidersi. Quello che l’agente non sa è che tra lei e l’assassino esiste un legame e che questo legame la porterà a incrociare la strada con “l’uomo che vive al piano di sotto”.
Ora, tornando al discorso iniziale, esaminiamo le parti coinvolte in questo film, a cominciare da Oz Perkins, uno sceneggiatore e un regista che, fino a questo punto della sua carriera, si è distinto più che altro per il cognome (è figlio di Anthony Perkins, un attore straordinario e sfortunato, eternamente legato al suo ruolo più iconico, quello di Norman Bates nel capolavoro di Alfred Hitchcock, Psycho). Longlegs è il suo quarto film da regista e il sesto da sceneggiatore (tutti titoli più o meno horror o thriller), ma il primo che riesce a distinguersi davvero dalla massa e raggiungere un vasto pubblico. Per quanto riguarda le case di produzione e distribuzione, Longlegs è il primo film che ha raggiunto un successo davvero significativo. Il cast è composto da belle facce e bravi attori e attrici, ma, con l’eccezione di Cage (che comunque recita sotto un pesante makeup e senza mettere il volto sul cartellone), stiamo parlando di quasi completi sconosciuti. Al reparto fotografia e montaggio, nomi giovani di chi ha a stento una voce su Wikipedia. Insomma, sulla carta, nella migliore delle ipotesi, si poteva pensare che Longlegs sarebbe stato un prodotto professionale che avrebbe avuto una breve vita in sala per poi finire su piattaforma. Nessuno si sarebbe aspettato che si trasformasse, per citare una frase che sta venendo associata spesso alla pellicola, nel “più sconvolgente film dell’anno”. Eppure è successo. Com’è possibile?
Credo che questo meritato successo sia dovuto a un insieme di fattori, ma che due siano quelli che più hanno fatto la differenza. Il primo è, semplicemente, qualitativo. Oz Perkins forse non è un fulmine di guerra, ma ha studiato, fatto la sua gavetta e sa come si scrive e si gira il suo genere di elezione. In Longlegs, poi, ci ha messo qualcosa della sua storia personale (la sua infanzia non è stata facile, visti i problemi che ha avuto il padre) e ha fatto un balzo in avanti, passando da essere un mestierante a, se non proprio un autore, almeno un bravo professionista che ha qualcosa da dire e che sa come dirla. Il suo lavoro sul film è tanto solido e competente quanto personale, e questo il pubblico lo avverte nettamente. Ottima l’apertura del film, ben costruita l’atmosfera, tenuti sotto controllo i riferimenti e i rimandi, belli i giochi con il formato della pellicola, tenuta ottimamente la tensione (utilizzando tutti gli strumenti del caso, da quelli raffinati a quelli beceri), solida e appagante (seppur non straordinaria) la conclusione. In tutto questo, Perkins è stato aiutato da un buon cast di attori solidi, da un mattatore assoluto (ovviamente, Nicolas Cage, che si ritaglia una parte che, seppur piccola, resterà nella storia del genere), da un ottimo lavoro al montaggio, da una bella (e costosa) colonna sonora e da una fotografia semplicemente straordinaria (segnatevi il nome che diventerà uno grosso). Insomma, pur non reinventando la ruota, Longlegs è un bel film che intriga, spaventa, tiene con il fiato sospeso e ti manda a casa soddisfatto, con una storia che non ci ha girato intorno e che ti spiega tutto, non lasciando alcun punto oscuro (e questo, forse, è l’unico segnale che Perkins non è, e forse non sarà mai, un vero autore).
L’altro fattore che ha fatto la differenza per il film è la campagna di guerrilla marketing messa in atto da Neon, mesi e mesi prima del lancio. Pochissime informazioni precise sul titolo, brevi e misteriosi filmati lasciati trapelare sulla rete, reazioni di persone terrorizzate che guardano il film e mille altre idee, quasi tutte molto brillanti ed efficaci, che hanno generato un hype enorme. Con soli dieci milioni di investimento sulla campagna promozionale, Neon ha fatto sì che del film parlassero tutti prima della sua uscita nelle sale e che tutti volessero vederlo e scoprirne il mistero.
E qui sorge il solo problema di tutto Longlegs: non c’è alcun mistero, nessun finale da non spoilerare (nonostante il claim che accompagna il film in Italia), nessuna grande rivelazione, a parte quella di non essere il film che la macchina della promozione ha cercato di far credere che sia. E questa cosa potrebbe lasciare delusi quegli spettatori che entreranno in sala credendo di vedere il film che gli è stato promesso e trovandosene davanti agli occhi un altro. Un buon film. Anzi, più che buono, ma che non è quanto raccontato dalla promozione.
Quindi, mettiamola così: se ancora non lo avete visto, non date troppo credito ai racconti promozionali del film ma, alla stessa maniera, non date troppo retta neanche a chi lo ha già visto, credendogli, ed è uscito dalla visione del film deluso. Entrate in sala con la testa e gli occhi freschi e, semplicemente, guardate questo piccolo, intelligente, stiloso, asciutto e ben raccontato film horror.