Pur senza citarla direttamente, Never Let Go prende una celebre frase attribuita a Baudelaire – “Il più grande inganno del diavolo è farci credere che non esiste” – e ne fa il proprio fondamento narrativo. Sia chiaro, l’horror di Alexandre Aja non eccede mai nel didascalico, e anzi lascia al pubblico un certo spazio per l’interpretazione, ma è indubbio che il conflitto alla base della storia attinga al suddetto immaginario religioso.
Non a caso, all’inizio del film ci viene detto che il Male apparve per la prima volta alla protagonista sotto forma di serpente, come il diavolo nel giardino dell’eden: per quanto il demonio non venga mai menzionato, insomma, la simbologia è palese. Una madre senza nome interpretata da Halle Berry (anche produttrice) vive isolata insieme ai figli Nolan (Percy Daggs IV) e Samuel (Anthony B. Jenkins), in una casa di legno immersa tra i boschi. La loro vita è sottoposta a regole ferree: poiché il mondo – stando ai racconti della madre – è ormai caduto preda del Male, l’unico modo per sopravvivere è tra le mura di casa, recitando un mantra che ringrazia la dimora per la sua protezione. Se devono avventurarsi all’esterno in cerca di cibo, la mamma e i due bambini si annodano una corda attorno alla vita per restare sempre legati alla casa, sicché il Male non possa corromperli.
Questa entità imprecisata, però, si manifesta solo agli occhi della donna, che spesso la vede con le sembianze di sua madre. Il Male la minaccia, assicurandole che riuscirà a prenderla e le farà uccidere i suoi figli. Ma uno di loro, Nolan, comincia a dubitare della sua esistenza: nel bosco non ha mai visto nient’altro che piante e animali, come può essere sicuro che il Male sia davvero là fuori? Samuel invece non oserebbe mai mettere in discussione le parole della madre, ed è sempre rapido a eseguirne gli ordini. Nolan però continua a pensare che nel mondo potrebbero esserci altre persone, e che tra gli alberi non ci sia nulla da temere. La crisi parte da qui: una volta impiantato il seme del dubbio, il piccolo universo del trio va in pezzi, imboccando una strada sempre più violenta e radicale.
La sceneggiatura di KC Coughlin e Ryan Grassby, in effetti, è abile a scatenare l’escalation proprio a partire dai dubbi di Nolan, costringendo noi spettatori a farci le sue stesse domande; il Male di cui parla la madre esiste davvero, o è solo una sua costruzione schizofrenica? Ogni evento, ogni incontro sarà condizionato da questo interrogativo, tanto per noi quanto per i due bambini. Così, le manifestazioni mostruose restano sempre ambigue: con la loro varietà di aspetto e significato, non sappiamo se siano il frutto di una mente distorta o i trucchi di un’entità che scruta l’inconscio delle sue vittime. Certamente Aja sa il fatto suo in materia di horror, e riesce a imbastire qualche bello spavento, ma il fulcro di Never Let Go sta altrove. L’idolatria nei confronti della casa, ben esplicitata dal mantra che i protagonisti ripetono ogni volta, rimanda alle origini degli Stati Uniti d’America in quanto nazione: la casa, anche se messa insieme alla buona con quattro assi di legno, è sacra. È il santuario dell’individualismo perennemente assediato da forze esterne, poco importa che siano i nativi, un Male imprecisato o le idee progressiste di un mondo nuovo. Il film di Aja usa l’orrore per raccontare di un paese sempre più isolazionista, sempre più barricato nelle sue illusioni di giustizia ed eccezionalismo. La casa da difendere con ogni mezzo, anche al costo di uccidere chiunque osi oltrepassarne il confine.
A tal proposito, è significativo che la minaccia esterna peschi a piene mani dal misterioso passato della protagonista, che evidentemente non era così ligio a una certa idea (conformista e benpensante) di moralità. A perseguitarla è il peso della colpa, nutrito dall’antica oppressione familiare: basta ascoltare le parole di sua madre per rendersene conto, quando il Male ne assume le sembianze. Volente o nolente, il copione di Coughlin e Grassby parla molto dell’America contemporanea, presa nel conflitto fra le sue tradizioni conservatrici e un mondo che cambia. È anche la dimostrazione di quanto il fanatismo religioso possa essere distruttivo, con un punto di vista più lucido e critico rispetto a Bussano alla porta di Shyamalan (film con cui è inevitabile paragonarlo, vista l’impostazione). È vero che l’ultima inquadratura di Never Let Go suggerisce un’interpretazione definitiva, ma il film non imbocca lo spettatore con dialoghi espositori, fa scelte non banali – una in particolare – e riesce a nascondere i suoi limiti dietro la nebbia dell’incertezza: seminare indizi è più efficace che fornire soluzioni pronte all’uso, per quanto l’assenza di spiegazioni derivi anche da una certa confusione iniziale. Non è però un film irrisolto, tutt’altro. Comunque lo si interpreti, ha il merito di rintracciare nell’isolazionismo e nell’estremismo religioso la genesi di un Male diffuso, che contagia il prossimo e ci mette gli uni contro gli altri.