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Maldoror: recensione del film ispirato al Mostro di Marcinelle

Pubblicato il 03 settembre 2024 di Giulio Zoppello

Fabrice du Welz si conferma un regista particolare, molto particolare. Al Festival di Venezia il suo Maldoror è un’opera alquanto atipica, dalle mille sfaccettature e anime, non tutte però fuse assieme nel modo giusto. Film lungo e corposo, attraversato da un’interessante tensione senza freni, guidato da un Anthony Bajon in grande spolvero, Maldoror è un sanguinoso e fantasioso ipotetico film-verità, in realtà un’opera di fantasia al limite del logico, con tutti i pro e i contro del caso.

Un viaggio dentro l’orrore di un paese privo di giustizia

Negli anni ’90, pochi casi di cronaca a livello mondiale ebbero un impatto così folgorante come quello del Mostro di Marcinelle, al secolo Marc Dutroux, un serial killer responsabile del rapimento, stupro e omicidio di diverse bambine e ragazze, di età compresa tra gli 8 e i 19 anni. Evento tra i più traumatici di quel decennio, il caso del Mostro di Marcinelle lasciò un segno indelebile nella società e nella politica belga, a causa dell’inettitudine delle forze dell’ordine e della magistratura, di indagini confuse e incapaci, su cui in breve cominciò ad allungarsi il sospetto che ci fosse qualcosa di più della mera negligenza. Forse il mostro era parte di un sistema più grande, che coinvolgeva personalità di spicco nella politica e negli affari.

Non vi è nulla di certo, ma da quel fatto di cronaca, una ferita ancora aperta nell’opinione pubblica belga, Fabrice du Welz ha tratto un film di genere, che si connette spesso e volentieri al poliziottesco italiano e al crime americano, con un Anthony Bajon che si conferma uno degli attori più bravi e intensi della sua generazione, come ha dimostrato del resto in tante altre pellicole transalpine degli ultimi anni. Girato come un gigantesco labirinto, una sorta di caccia all’uomo e ai fantasmi che diventa anche cronistoria dei lati oscuri e ipocriti della società belga, Maldoror si arma talvolta di uno stile quasi semi-documentaristico, altre volte invece scivola nel viaggio psichedelico, nel thriller e spesso anche nell’horror, ma il taglio visivo scelto dal regista è tale da imprimere un’impronta naturalista che copre il tutto. Questo riguarda anche i momenti più estremi, più fantasiosi, verso i quali una parte del pubblico non potrà che provare una comprensibile sensazione di spaesamento.

Maldoror è un film sicuramente interessante, però reso meno convincente da un’eccessiva lunghezza, da digressioni che risultano assolutamente non necessarie, e da una volontà di esagerare che a volte appare controproducente.

Un film potente ma che non ha una vera identità ed equilibrio

Maldoror è un racconto nauseante abitato da canaglie, reietti, orchi, che fa montare una rabbia crescente nello spettatore che segue l’agente Paul Chartier (Anthony Bajon), deciso a non far finta di nulla. Il film punta il dito sia contro la rete di pedofili, su cui il protagonista alla fine si troverà a indagare sostanzialmente da solo contro tutti, sia contro il sistema giudiziario e le forze dell’ordine belghe, divise all’epoca da una guerra interna dovuta a volontà politiche di accentramento.

Non si capisce perché il regista insista tanto sulla dimensione privata del protagonista, un uomo sposato con una donna appartenente alla minoranza italiana, fatta di emigrati calabresi e siciliani. Forse per cercare un corrispettivo tra l’ipocrisia delle forze dell’ordine e quella della realtà familiare e sociale? Non appare chiaro e non aggiunge nulla al percorso; era qualcosa che poteva tranquillamente restare a latere. Ad ogni modo, la prima metà del film funziona egregiamente nel donarci l’idea di un gigantesco apparato fatto di inefficienza, incompetenza, codardia e mancanza di professionalità. A mano a mano che si va avanti, Maldoror diventa una caccia ai fantasmi di un intero paese: più si va in alto, più il puzzo aumenta, poi ecco che il regista, lasciando libero spazio alla fantasia, anche quella più truculenta, cala l’asso, e ci parla di ricatti, di un Belgio classista e pieno di putredine, di giochi e scontri di potere, di corruzione sistematica. Il sospetto circa un giro di pedofili internazionali, usato per ricattare i politici, non è nuovo né inedito in storie di questo tipo. Serve a dare una spiegazione alle indagini che devono andare a rilento, ai colpevoli che vengono aiutati a fuggire, ma Paul continua a stargli dietro, fino a quando il tutto non si colora di venature di ossessione che connettono il film a Zodiac, a James Ellroy.

Peccato però che Maldoror sia troppo lungo, le scene d’azione mal gestite, e il tono realistico, quando infine si decide di abbandonarlo per andare verso la fiction totale, lo faccia con malagrazia e rozzezza. Peccato, perché il film spreca un ottimo protagonista e una descrizione sociale del Belgio degli anni ’90 pungente e senza filtri. Se ci fosse stato un po’ meno manierismo, una scrittura meno sfilacciata e un finale meno prevedibile, sarebbe stato un film da ricordare in questa Venezia 2024.