Love del norvegese Dag Johan Haugerud è il secondo capitolo della trilogia Sex Kjærlighet Drømmer, ovvero Sesso Amore Sogno: non si tratta però di una saga dotata di continuità narrativa, bensì di una trilogia tematica sui rapporti umani, con capitoli indipendenti gli uni dagli altri. Torna subito alla mente la Trilogia di Oslo del connazionale Joachim Trier, ma Haugerud ha uno sguardo molto peculiare che lo distingue dal collega, e le similitudini si fermano all’ambientazione cittadina.
Love si svolge infatti tra Oslo e il villaggio di Nesodden, collegato alla capitale norvegese da un traghetto. Marianne (Andrea Bræin Hovig) e Tor (Tayo Cittadella Jacobsen) sono rispettivamente un medico e un infermiere che lavorano nello stesso reparto, accomunati dalla propensione a evitare le relazioni convenzionali. Una sera, i due si incontrano per caso a bordo del traghetto: Marianne è appena stata a casa di Ole (Thomas Gullestad), geologo divorziato e con due figlie che la sua amica Heidi (Marte Engebritsen) voleva farle conoscere; Tor, invece, ha l’abitudine di prendere il traghetto per fare incontri fortuiti con altri uomini, usando Grindr come bussola. Intrigata dai racconti di quest’ultimo, Marianne mette sempre più in discussione i rapporti tradizionali, e dopo un appuntamento con Ole – che sembra già molto preso da lei – la donna passa la notte con un altro uomo conosciuto proprio sul traghetto.
La trama si sviluppa attraverso lunghe scene dialogate, in un film dove la scrittura è l’aspetto dominante: Love è un film di personaggi che si raccontano gli uni agli altri, ma Haugerud non scivola mai nel didascalico, e i dialoghi stessi non sconfinano mai nell’esposizione pura; al contrario, il suo copione fa parlare i protagonisti con grande naturalezza, giocando sull’intimità delle confidenze reciproche. Sono dialoghi che, per gradi, riescono sempre a svelare qualcosa di nuovo sui personaggi, sulla loro visione del mondo e dei rapporti. Esemplare il confronto tra Marianne e lo sconosciuto con cui trascorre la notte, le cui ambiguità – per non parlare della sua misoginia – emergono proprio nel corso della conversazione. Altrettando significative, però, sono le schermaglie con Heidi, sconvolta dalla promiscuità di Marianne e dal suo rifiuto delle relazioni ordinarie. Heidi è la voce della tradizione: una donna sposata che lavora per il comune di Oslo (sta preparando i festeggiamenti per il centenario della capitale), e all’inizio del film elogia i fregi del municipio per la loro modernità culturale, tra madri single e rapporti e tre. Peccato però che il progressismo di Heidi si fermi alle parole, considerando la sua reazione alle scelte di Marianne.
Eppure, sia Tor sia Marianne hanno il coraggio di esplorare territori nuovi, senza nuocere a nessuno. Anzi, entrambi dimostrano una spiccata empatia per il prossimo: Marianne – che intanto comincia una relazione con Ole – si preoccupa del benessere delle sue figlie e persino della sua ex moglie, mentre Tor prende a cuore un paziente che aveva incontrato sul traghetto. Love, in effetti, è anche un film che parla di fisiologia maschile e di malattie che colpiscono specificatamente gli uomini (Marianne è urologa), con una trasparenza che riscontriamo raramente altrove. I discorsi in proposito sono espliciti, mai forzati né tantomeno leziosi. Che si tratti di riflettere sui rapporti romantici o sulle conseguenze di un tumore, Haugerud mantiene un tono placido e consapevole, sempre ben ragionato. È anche questo sguardo pragmatico a rendere Love così singolare, come se il regista avesse isolato un frammento di vita – la storia si dipana nell’arco di alcuni giorni, preceduti da cartelli a schermo – per renderlo cinema.
Impossibile non pensare a Il raggio verde di Rohmer (per la scansione temporale durante l’estate), come pure a Il gioco del destino e della fantasia di Hamaguchi (per la funzione dei dialoghi nello sviluppo della trama). Anche in Love, fra l’altro, emerge il tema della solidarietà femminile: Marianne la mette al primo posto, confermando il suo approccio disincantato verso i legami romantici, e l’impulso ad abbracciare una visione più ampia e inclusiva. In una società che sta prendendo coscienza del suo egoismo, essere felici a scapito di qualcun altro è inaccettabile.