C’è una scena di Diva futura in cui Éva Henger (Tesa Litvan) parla con il marito Riccardo Schicchi (Pietro Castellitto) della possibilità che lei reciti in un film pornografico. È il gennaio del 1994, e Silvio Berlusconi sta annunciando la sua “discesa in campo” per le successive elezioni politiche: il celebre discorso è udibile in sottofondo, mentre Éva e Riccardo discutono fra loro. Nulla di strano, il film di Giulia Louise Steigerwalt è pieno di momenti dove l’attualità socio-politica italiana filtra nella storia, ma il controcanto di Berlusconi in quel momento non è affatto casuale. L’operato di Schicchi come imprenditore del porno cavalca proprio l’edonismo della nuova Italia berlusconiana, quella promossa dal Cavaliere con le sue reti televisive, e fatta di disimpegno, colori sgargianti, mercificazione del corpo femminile: anche per questa ragione, Diva futura si concentra soprattutto sulle vicende degli anni Novanta, decennio che ha consacrato (sul piccolo schermo e in politica) proprio quell’Italia lì, quella visione del mondo lì.
Sia chiaro: Schicchi ha un’origine diversa. Come racconta il film, basato sul libro Non dite alla mamma che faccio la segretaria di Debora Attanasio, la sua carriera è iniziata negli anni Settanta durante l’ascesa delle radio libere, quando conduceva la trasmissione Voulez-vous coucher avec moi con Ilona Staller (la futura Cicciolina) su Radio Luna. La sua utopia dell’amore libero deriva dalla filosofia hippy, che Schicchi cerca di diffondere attraverso spettacoli erotici dal vivo, programmi TV e l’eponima agenzia Diva Futura, la prima in Italia dedicata ai talenti del porno. Nascono così le più celebri star del cinema a luci rosse italiano, compresa Moana Pozzi (Denise Capezza), in una specie di grande famiglia che include anche la sopracitata Attanasio (Barbara Ronchi), segretaria dell’agenzia.
Nel ritrarre questa allegra banda di pirati del porno, Giulia Louise Steigerwalt mette in scena situazioni buffe e paradossali, dimostrando anche una certa brillantezza nella scrittura dei dialoghi. Al contempo, però, non perde mai di vista il focus del racconto: Diva futura contribuisce a rielaborare l’immaginario degli anni Novanta nella nostra coscienza collettiva, quando la distanza temporale favorisce ormai un certo distacco critico. Così facendo, illumina i coni d’ombra di un’industria spesso misteriosa, dove il prodotto finale oscura completamente la sua realizzazione, e il dietro le quinte è ignoto ai più. Schicchi ne esce come un utopista romantico, addolcito dall’interpretazione di Castellitto, e quasi inconsapevole delle sue contraddizioni: l’idea è di “rivoluzionare il costume alla luce del sole”, ma i film porno da lui prodotti contribuiscono alla reificazione del corpo femminile, sono frutto di uno sguardo maschile che si rivolge ad altri uomini. Per quanto Schicchi tuteli sempre la salute psicofisica delle attrici (fatto che purtroppo non è scontato, considerando le derive umilianti e violente di altre produzioni), i suoi film non hanno niente a che fare con il post-porno di Annie Sprinkle e di altre artiste/interpreti/attiviste femministe, per intenderci.
Tramite la voce di Debora Attanasio, Steigerwalt sottolinea proprio questo aspetto: nonostante l’approccio attento e rispettoso, l’operato di Schicchi rientra in un problema più ampio, legato alla suddetta mercificazione della donna. In tal senso, Diva futura riflette consapevolmente sulla percezione del femminile in un mondo dominato dagli uomini, dove le pornostar sono viste solo in quanto tali, e i conduttori televisivi si rivolgono a loro con piglio derisorio e provocatorio. Quest’ultimo elemento ha un ruolo cruciale: la regista sceglie infatti di inserire le sue attrici nei filmati d’archivio, sfruttando gli ottimi effetti digitali per calarne le immagini nelle vecchie trasmissioni TV (come fece Zemeckis con Tom Hanks in alcune scene di Forrest Gump). Così, oltre a evitare il contrasto fra i personaggi reali e quelli del film, Steigerwalt ci ricorda quanto il sessismo sia radicato nel dibattito pubblico, comunicazione giornalistica compresa. D’altra parte, “Gli uomini impazziscono per le donne disinibite, purché non siano mogli o madri” dice Schicchi in una scena, sottolineando la tradizionale misoginia di chi considera la donna solo nel dualismo santa/seduttrice.
Non è però un film ammonitore, tutt’altro. Steigerwalt osserva l’ingenuità di Schicchi con una certa simpatia, anche nelle sue incongruenze, pur seminando un paio di lacune su questo frangente: alcuni risvolti della trama, come la truffa subita da parte di un suo amico e l’assunzione dello stalker di Éva Henger, vengono accennati senza troppe spiegazioni. Ma non ha una grande importanza. Ciò che conta è lo sguardo affettuoso e non giudicante dell’autrice su questo gruppo di avventurieri, “amorali ma non immorali”, in lotta contro l’ipocrisia di un paese fossilizzato e decrepito.