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Love Lies Bleeding, la recensione di Roberto Recchioni

Pubblicato il 22 agosto 2024 di Roberto Recchioni

La trama in sintesi e senza spoiler.
Siamo nei tardissimi anni Ottanta o nei primissimi anni Novanta (la pellicola ci tiene a farci sapere che al cinema è appena uscito Die Hard – Trappola di Cristallo, dandoci così una ben precisa coordinata temporale), in una piccola cittadina del New Mexico dove la vita passa noiosa tra serate al poligono di tiro o alla road house di turno. Jackie (Katy O’Brian) è una giovane bodybuilder scappata di casa e senza tetto, con il grande sogno di vincere qualche concorso in giro per gli USA e poi andare a Los Angeles per farsi assumere come istruttrice. È bisessuale, che sarebbe un’informazione ininfluente se non fosse che è una cosa importante per la trama. Beth (Kristen Stewart), invece, è una ragazza che gestisce la palestra locale, cinica, con una situazione familiare a dir poco incasinata, fumatrice incallita e lesbica (anche questo è importante per la trama). Lou (Ed Harris) è un tipo poco raccomandabile e un boss della zona: possiede il poligono locale e la palestra, traffica in armi, uccide e getta in un canyon chi gli si mette contro, ha in tasca la polizia locale ed è il padre di Beth. Jackie fa sesso con JJ (un tipo viscido che ha conosciuto in un locale) per ottenere un lavoro nel poligono di tiro, poi se ne va in palestra e conosce Beth, inconsapevole che il suo nuovo datore di lavoro è il padre della ragazza e che JJ è il suo violento cognato e che Jackie odia sia suo padre che JJ. Le due finiscono a letto insieme, si innamorano e decidono di vivere assieme. Lou fa le uova per Jackie e le procura gli steroidi mentre Jackie si allena e sogna un futuro migliore. Troppi steroidi, però, fanno male e quando JJ pesta quasi a morte la sorella di Beth, le cose si incasinano di brutto e si fanno anche parecchio violente. Il passato di Beth e il rapporto con suo padre emergono. Intanto, l’FBI si aggira nella zona.

Love Lies Bleeding

Il film è scritto da Rose Glass (che lo ha anche diretto) e da Weronika Tofilska (che, principalmente, fa la regista anche lei ma che qui è in veste di pura sceneggiatrice) e si vuole rifare a quella invasione di crime nerissimi che, tra la metà degli anni Ottanta e i primi anni Duemila, invase i cinema. Una stagione che possiamo idealmente aprire nel 1984 con Blood Simple dei fratelli Joel e Ethan Coen e chiudere sempre con loro e il magnifico Non è un paese per vecchi, del 2007. In mezzo, tanti altri gioielli assoluti: ancora i Coen con Arizona Junior, Crocevia della morte e Il grande Lebowski; Lynch con Velluto Blu, Cuore selvaggio, Strade perdute e Mulholland Drive; Tony Scott con Revenge e True Romance; Paul Verhoeven con Basic Instinct; William Friedkin con Vivere e morire a Los Angeles e Jade; le sorelle Wachowski con Bound; Dennis Hopper con il suo bellissimo (e, purtroppo, misconosciuto) The Hot Spot… e si potrebbe continuare a lungo. La cosa interessante è che questa lunga e durevole ondata di noir moderni (per i loro anni) non nasceva dal nulla ma riprendeva i temi, gli stilemi e le atmosfere di una similare corrente che aveva travolto Hollywood negli anni Quaranta e Cinquanta e che aveva sfornato capolavori assoluti come La fiamma del peccato (Billy Wilder, 1944), La morte corre sul fiume (Charles Laughton, 1955), L’infernale Quinlan (Orson Welles, 1956), Il grande sonno (Howard Hawks, 1946), Il grande caldo (Fritz Lang, 1953), Il mistero del falco (John Huston, 1941)… anche qui una lista completa sarebbe lunga. Ma non solo, i noir del periodo compreso tra la metà degli Ottanta e gli inizi del 2000 sono stati anche il propellente stilistico per pellicole che ancora possiamo definire moderne come Drive (Nicolas Winding Refn, 2011) e per cui è stata coniata la definizione di “neon-noir”.

E veniamo a Rose Glass e Weronika Tofilska, che, ben conscie di tutto quello che c’è stato prima del loro film, decidono di costruire un’opera fortemente derivativa tanto nella sostanza quanto nella forma, cercando un colpo di coda sul finale per dare al tutto un sapore nuovo, diverso e in linea con lo spirito del tempo. L’operazione riesce loro solamente per due terzi. Purtroppo, il terzo che manca è proprio quel colpo di coda finale che avrebbe dovuto garantire al film la sua identità.

Love Lies Bleeding

Chiariamoci, le due autrici sono bravissime a farci capire quali sono stati i loro modelli di riferimento: il cinema dei Coen, l’estetica di Refn (in particolare del Refn che spende un capitale in luci al neon) e gli squarci onirici alla Lynch. E sanno anche replicarli abbastanza bene, mescolando le carte quanto serve per non risultare stucchevoli. Il problema è che poi, quando devono stringere e dimostrare che non sono solo brave emulatrici della forma ma che hanno anche capito la sostanza, falliscono miseramente. I meccanismi del noir sono del tutto traditi e vilipesi, in una serie di svolte di sceneggiatura prive di senso logico che non riescono a risolvere in maniera soddisfacente i guai irrisolvibili in cui i personaggi sono stati avvinghiati. E quindi, la locura, il colpo di matto, il surreale, l’onirico, la non spiegazione, che a Lynch viene benissimo (perché non è qualcosa fatta a caso, giusto per fare lo strano o trarsi d’impiccio in qualche maniera, ma è la materia stessa e il senso della sua opera) ma a Rose Glass e Weronika Tofilska proprio no. Il risultato finale, duole dirlo, è l’incarnazione di quel luogo comune che vuole che i film da Sundance e, in particolare, i film da Sundance della A24, siano oggetti tutta forma e niente sostanza, opere fighette e vuote, dalle altissime pretese e dai pochissimi muscoli. Che per un film che parla (anche) di bodybuilding, sembra un beffardo paradosso.

Dispiace, perché il cast è straordinario, la regia (fino all’insensato finale) piuttosto buona, la fotografia (di Ben Fordesman) molto bella, la colonna sonora ispirata, il montaggio solido (fino al terzo atto: poi si sfalda come un castello di carte mal costruito, seguendo l’andamento dello script e della regia) e la sceneggiatura intrigante fino a quando si capisce che le autrici non avevano la minima idea di come risolverla.

Quindi, vale la pena di vederlo?
Sorprendentemente, sì. Perché Kristen Stewart, Katy O’Brian e Ed Harris sono davvero straordinari e perché c’è davvero molto di buono prima del terribile sbaglio. Alla peggio, prendetelo come un manuale su come non si costruisce un film di genere e portatevi a casa una bella lezione.

Love Lies Bleeding arriverà nelle sale italiane il 12 settembre, distribuito da Lucky Red.