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Il Corvo: James O’Barr, Brandon Lee e un CD che abbiamo ascoltato all’infinito

Pubblicato il 26 agosto 2024 di DocManhattan

Don’t look, don’t look, the shadows breathe, cantava Robertino Smith dei Cure in Burn. Che vi importi o meno del remake in uscita tra due giorni, The Crow – Il corvo di Rupert Sanders, alla fine dell’agosto di trent’anni esatti fa, nell’estate del 1994, tutti parlavano di un film che si era guadagnato la fama di pellicola maledetta ancor prima di arrivare nei nostri cinema. Quel film, Il corvo (The Crow) di Alex Proyas, stava per cambiare per tanti ragazzi dell’epoca il modo di vestire, i fumetti da leggere, la musica da ascoltare. Aggiungerei anche un “per fortuna” per le ultime due cose.

Il corvo 1994 brandon Lee

IL FIGLIO DEL DRAGO

Il 31 marzo del 1993, Brandon Lee, figlio del grande Bruce (scomparso vent’anni tondi prima), muore per un clamoroso incidente con un revolver di scena, sul set di una pellicola a basso budget della Dimension Films intitolata The Crow. La notizia fa il giro del mondo e catalizza sull’opera seconda del regista australiano Alex Proyas l’attenzione morbosa di tutto il pianeta. Si vuole sapere cos’è successo, come hanno completato le riprese senza Brandon, se quelle con il sosia e la CGI appiccicata funzionano.

Il 13 maggio del ’94, un anno abbondante dopo la morte del suo protagonista, Il Corvo esce nelle sale USA. Il 22 settembre dello stesso anno, preceduto da una consistente campagna promozionale in TV – è pur sempre un film la cui distribuzione nostrana è in mano a Mediaset – Il Corvo arriva anche nei cinema italiani. “L’ultimo film di Brandon Lee”, il Brandon Lee di Resa dei conti a Little Tokyo e Dragon Fire, il figlio di Bruce.

Nell’immaginario globale, il povero, sfortunato Brandon da quel momento in poi sarà sempre e solo l’attore con il cerone e quel nero in faccia, i capelli lunghi e la maglia attillata coperta di nastro adesivo del ruolo che, allo stesso tempo, gli è costato la vita e lo ha consegnato all’immortalità. Quanto può essere bastarda la vita.

Il corvo 1994 brandon Lee

IL MITO

Il Corvo si rivela il fenomeno che tutti si aspettano, un’icona perfetta per l’immaginario pop. E quanto meno, qualunque cosa si pensi oggi del film – che pur con tutto l’affetto del mondo e dato il giusto merito a Lee e Proyas, i suoi tratti da B-movie li conserva orgoglioso – ha una soundtrack che spinge all’epoca tanti a scoprire i Cure e magari, attraverso quella cover dei Nine Inch Nails, anche i Joy Division. Meglio tardi che mai, oh.

I Cure, i Joy Division… La colonna sonora che qualche anno prima faceva compagnia a James O’Barr al tavolo da disegno, quando ha riversato in un fumetto tutta la disperazione per il dramma che stava vivendo: la sua fidanzata era stata travolta e uccisa da un camionista ubriaco. The Crow, un fumetto su un antieroe oscuro e folle, poetico e violento, distrutto e distruttivo, che se ne va in giro con un gatto sulla spalla, appare per la prima volta sulle pagine di Caliber Presents 1 (gennaio 1989), e viene poi pubblicato negli anni successivi negli USA da Tundra Publishing e Kitchen Sink Press.

il corvo james o barr fumetto

COME DAILANDOG

Facciamo un salto in avanti. Poche settimane dopo l’uscita del film in Italia, quando nella stanza di chi scrive, esattamente come in quella di milioni di altri coetanei, è già appeso un poster della pellicola di Proyas, esce in edicola Il Corvo della General Press. La casa editrice romana, che ai tempi pubblica alcune testate dell’universo super-eroistico Ultraverse, come Strangers e Freex, lancia una miniserie di tre numeri per presentare il fumetto di O’Barr. È il delirio.

Il Corvo diventa uno dei pochi fumetti di quegli anni a buttar giù il confine tradizionale tra chi i fumetti li legge abitualmente e chi non lo fa. Come Dylan Dog (“dailandog”) una manciata di anni prima e come Dragon Ball qualche tempo dopo, Il Corvo è un’opera generazionale, al contempo una moda da seguire e l’incarnato di un sentimento.

Il posterino in camera, lo spolverino di pelle e il CD con il corvo su campo bianco per riascoltare venti volte Big Empty degli Stone Temple Pilots o Color Me Once dei Violent Femmes, o i pupazzetti della McFarlane a farti compagnia tra portapenne e libri, non bastano. Il Corvo della General Press, e il mondo di disperazione che racchiude, che espande quello del film, non è un fumetto, non è solo carta stampata: è lo zeitgeist dell’autunno del ’94 per una nuova generazione insofferente, già orfana di Cobain e praticamente del grunge, e pronta a gettarsi tra le braccia di MTV.

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O’BARR IN ITALIA E IL CORVO PRESENTA

Il Corvo ha un successo clamoroso, tanto che la miniserie da tre numeri diventa una mini da quattro, perché tra la prima e la seconda uscita salta fuori anche il Numero Zero, un flipbook con due storie extra di O’Barr e dei redazionali con cui i curatori della testata, Pasquale Ruggiero e Francesco Cinquemani, raccontano del rapporto tra O’Barr, i Cure e i Joy Division, la genesi del film grazie all’intuito dello scrittore e sceneggiatore John Shirley e del produttore Jeff Most, gli effetti speciali e quella storia del software Dream Quest impiegato nella celebre scena dello specchio in frantumi.

A dicembre esce il terzo e ultimo numero della miniserie, ma più che una fine è un nuovo inizio. James O’Barr viene invitato in Italia per una mostra di tavole originali del Corvo (al Palazzo delle Esposizioni di Roma, dal 17 dicembre all’8 gennaio), e la General Press annuncia la pubblicazione da gennaio di una nuova testata che prenda il testimone de Il Corvo. Si chiamerà Il Corvo Presenta, la numerazione ripartirà da uno, e offrirà uno sguardo al fumetto indipendente USA.

Questo nuovo magazine parte ovviamente da James O’Barr, da altre sue storie altrettanto tetre e se possibile ancora più disperate, come la recente Hard Looks, pubblicata negli USA da Dark Horse (“Visioni Adulte”). Il Corvo continua ad apparire in copertina, e lì rimarrà per tutti i primi due anni di vita del contenitore, grazie anche alla presenza della miniserie The Crow Dead Time (di O’Barr, John Wagner e Alexander Maleev). Ma arrivano anche Stray Bullets di David Lapham, Kabuki di David Mack, Billi 99 di Tim Sale, l’Hellboy di Mignola. E soprattutto, a partire dal quarto numero de Il Corvo Presenta, la Vertigo. Il meglio della migliore etichetta editoriale della DC Comics. Si parte da Kill Your Boyfriend di Grant Morrison e Philip Bond, poi seguono Sandman, Hellblazer, Prez, Death.

E, soprattutto, un certo Preacher.

Dal numero 37, il titolo della pubblicazione è di fatto Preacher: il logo dell’esplosivo fumetto Vertigo di Garth Ennis e del compianto Steve Dillon campeggia in copertina. Il numero 50 (agosto 2000) è anche l’ultimo de Il Corvo Presenta, perché la testata contenitore diventa Vertigo Presenta, concentrandosi sul solo materiale Vertigo. Si andrà avanti per altre 50 uscite, fino al maggio del 2006, con tutta Preacher, 100 Bullets, Lucifer, Hellblazer, Fables

lucca 2018 o barr

CERTO CHE PUÒ PIOVERE PER SEMPRE

Nel frattempo, i film del Corvo sono diventati quattro – dopo il primo è stata la volta de Il corvo 2 (1996), Il corvo 3 – Salvation (2000) e Il corvo – Preghiera maledetta (2005) – e ha fatto a tempo a nascere e morire pure una serie TV, Il corvo (The Crow: Stairway to Heaven, 1998-1999). Molti anni dopo, tra i vari nuovi fumetti legati ad altre versioni del personaggio, ne arriva pure uno dall’anima italiana, la miniserie Il Corvo: Memento Mori, di Roberto Recchioni, Werther Dell’Edera e Giovanna Niro (Edizioni BD).

Gli anni sono scivolati già via fino al 2018, e a quella Lucca Comics & Games, proprio allo stand BD incontro O’Barr. Mi disegna uno schizzo veloce di un Eric Draven su un volume e vorrei dirgli tante cose. Su quello che quel fumetto ha rappresentato per me da ragazzo, e su tutto quello che si è tirato dietro. Ma un po’ mi vergogno, un po’ è che c’è la baraonda solita del padiglione Napoleone e non si sente a un centimetro di distanza. Prendo il mio volume sketchato, lo ringrazio e gli sorrido. Fuori, in barba a quello che ti ripetono nel film, ovviamente piove e continuerà a farlo, perché, beh, è Lucca.

Trent’anni dopo quell’estate del 1994, non è facile spiegare cosa sia stato Il Corvo per noi wild boys post-adolescenti  e ancora privi di Internet, a quei tempi. Non solo una moda. Non solo un costume facile per Halloween (c’erano già le feste di Halloween, sì). Non solo un trend darkettone per chi dark non lo era mai stato. Era una parte di noi, quel triste sogno goth tetro e romantico e con un signor accompagnamento sonoro, un sogno che tanti non sapevano di avere dentro.

O quello che vi pare, ma qui comunque è tutta la mattina che riascolto a nastro quella compilation con il corvo nero su campo bianco in copertina.