Cinema roberto recchioni Recensioni
Prima di iniziare, due premesse e un cliffhanger.
Premessa uno: amo davvero molto Richard Linklater, il regista di questo film, e il suo cinema. Che non significa che mi siano piaciuti tutti i suoi film (anche perché, statisticamente sarebbe anche difficile visto sono davvero molti per un regista che, stranamente, viene percepito come poco prolifico), ma perché ogni suo film porta con sé la medesima idea di cinema e di racconto che intercettano la mia sensibilità. Linklater è un regista autoriale, questo è fuor di dubbio, ma questo per lui si traduce in uno stile, una poetica e una voce ben distinguibili in ogni genere di opera che affronta, non in una voglia elitaria di essere per pochi. Linklater è Linklater quando realizza cose piccole e indipendenti come Slacker, SubUrbia o La vita è un sogno, quando porta a schermo trilogie ambiziose come Before Sunrise, Before Sunset e Before Midnight, quando lavora su opere pazze in animazione rotoscopica (Waking Life, A Scanner Darkly, Apollo 10 e mezzo), quando fa film sperimentali come Boyhood, quando realizza opere commerciali come School of Rock. Il suo approccio alla materia narrativa e il suo rispetto per la stessa è sempre il comun denominatore di opere anche diversissime per intenti e scopi: una profonda attenzione al racconto e alle storie solide e ben raccontate, un approccio apparentemente semplice e sobrio ma in realtà profondo e stratificato, figlio di lunghe riflessioni, un tono intelligente ma mai compiaciuto di esserlo e, soprattutto, una leggerezza complessiva che non si fa mai superficialità.
Nel cinema di Linklater il dramma non è mai solo un dramma, ma anche divertimento (spesso stralunato) e il divertimento non è mai solo comicità, ma anche riflessione.
Per questo, pur non essendo convinto di un suo film da oltre dieci anni, ero in fremente attesa di vedere questo Hit Man.
Premessa due: non stravedo per Glen Powell e, per quanto Hollywood me lo stia imponendo a forza come il prossimo grande divo che prenderà il posto di Brad Pitt, Tom Cruise e Ryan Gosling, io non sono per nulla convinto che lui sia all’altezza di queste grandi aspettative.
E ora, il cliffhanger: dopo aver visto Hit Man, ho cambiato opinione su una di queste due premesse. Alla fine del pezzo vi dico su quale.
Il film in due righe: Hit Man si basa (in parte) sulla vera storia di Gary Johnson, un professore di psicologia e filosofia che, per anni, ha collaborato con la polizia di New Orleans come “falso sicario”. In sostanza, Johnson si spacciava come killer a pagamento e faceva incastrare quelli che lo assoldavano per uccidere qualcuno. Nella sua vita ha messo a segno centinaia di arresti.
E qui finisce il rapporto con la realtà del film di Linklater che poi, per imbastire la sua storia, costruisce per Johnson una complessa trama da noir classico, con tanto di femme fatale e omicidi.
Il film di autodefinisce una “screwball comedy” (il nome deriva dall’espressione del baseball che sta a indicare i lanci di palla a effetto, quindi imprevedibili e un poco pazzi) e il film lo è a tutti gli effetti. È bizzarro, con un tono divertito e divertente, pieno di sviluppi originali e imprevisti, ma questo è tutto merito dell’approccio al racconto di Linklater perché, lo stesso identico script, in mano a un altro regista, sarebbe potuto diventare tanto un thriller alla Hitchcock (e molti sono i rimandi al cinema del vecchio zio Alfred), sia un noir alla maniera de La fiamma del peccato (Billy Wilder, 1944) o alla Blood Simple (dei fratelli Coen, 1984), e questo senza cambiare una riga di quanto scritto nel copione. Questo cosa significa? Che la sceneggiatura è non solo brillante e divertente, come ogni screwball comedy deve essere, ma è anche solidissima, ben strutturata, credibile e pienamente funzionante a ogni livello: un perfetto meccanismo a orologeria che rispetta sempre la logica di causa ed effetto, portando avanti anche un non comune approfondimento della psicologia dei personaggi e un tema (per nulla scontato) come quello dell’autodeterminazione della propria identità.
Ma il film non è solo questo perché Hit Man ha anche un livello metatestuale che mette al centro del suo discorso l’attore e la domanda: “Cosa significa interpretare qualcun altro? Come ci cambia?”. Il film ha almeno un paio di momenti (straordinari per intenzioni e resa) che si focalizzano proprio sulla recitazione, sia in termini narrativi (i protagonisti della storia sono costretti dagli eventi a recitare una parte per ingannare qualcuno, improvvisando sul momento) sia in termini metanarrativi (gli attori recitano personaggi che stanno recitando) ed è in questi momenti che probabilmente si vede la mano di Glen Powell (che ha scritto la sceneggiatura assieme a Linklater) e che ha saputo crearsi le giuste occasioni per brillare come interprete e non solo come mero, attraentissimo, corpo cinematografico. Va detto che Powell non è da solo e nel cast è affiancato da una incredibilmente magnetica Adria Arjona (i due hanno una chimica sexy da mozzare il fiato, sullo schermo) e da un guasconesco Austin Amelio, che dimostra (una volta e per tutte) che razza di straordinario caratterista è.
In conclusione, Hit Man è un film che funziona (e funziona bene) su qualsiasi livello, come commedia divertente e sexy, come character study, come noir, come thriller, come esplorazione dell’io e come riflessione sull’arte del recitare. È spassoso, è appassionante, ha una regia sobria ed elegante che non fa nulla di più e nulla di meno del necessario, un grande cast, una bellissima e naturalistica fotografia e una bella colonna sonora. È un film che vi fa far pace con il cinema, se per caso ci aveste litigato e che al cinema va visto (almeno da noi qui in Italia, dove abbiamo la fortuna di poterlo fruire in sala e non su Netflix, come negli USA).
E ora, veniamo alla risoluzione del cliffhanger: su quale delle due premesse il film mi ha fatto cambiare idea? Non certo sulla mia passione per Linklater, perché con Hit Man l’autore torna ad esprimersi al suo meglio. Ovviamente, ho cambiato idea su Glen Powell: con la parte giusta e un bello script che gli permette di andare oltre al ruolo del “bel manzo un poco smargiasso”, è davvero un bravo attore, ricco di sfumature e complessità. Poi, sia chiaro, “bel manzo” lo resta comunque e non è che sia una cosa brutta.
In conclusione: Hit Man è davvero un bel film, bello in maniera discreta e sobria, alla maniera di Linklater, che merita di essere visto e amato.
Andate in sala.
Hit Man arriverà nelle sale italiane il 27 giugno.