Bad boys, bad boys
Whatcha gonna do?
Whatcha gonna do when they come for you?
Bad boys, bad boys
Whatcha gonna do?
Whatcha gonna do when they come for you?
Ho il vago sospetto di sapere di cosa vuoi parlare oggi, mio amico immaginario e facilmente influenzabile dall’hype…
Il quarto Bad Boys, ovviamente! Bad Boys: Ride or Die.
Sicuro? Guarda che è una storia lunghetta…
Ma come lunga? Che c’è da dire?! Sono quattro film d’azione dove esplodono le cose.
Sì, anche, non solo. In realtà, sono una specie di cardine attorno a cui il genere action è rinato e poi tornato a morire, tra la metà degli anni novanta e i primi anni duemila. Ma per capire tutto, bisogna partire da più indietro, dal 1983, grossomodo e da un film insospettabile…
Quale?
Flashdance.
Quello della tipa che balla?
Sì. Jennifer Beals.
Oddio, ma che c’entra?
C’entra, è la chiave di tutto, per molti versi. Dunque, prima ho parlato del 1983 (anno dell’uscita di Flashdance, appunto) ma, in realtà, tutto ha origine dal 1981, da quando negli USA nasce il canale Music Television, meglio noto come MTV.
MTV impatta sulla società americana come un tifone e i ragazzini ne diventano ossessionati: se una cosa sta su MTV è figa, se non ci sta, è come se non esistesse. MTV impone un linguaggio e una estetica nuova dove non sono solo gli adesso visionari e costosissimi videoclip musicali a farla da padrone, ma anche gli stacchetti psichedelici, il ritmo dei programmi e, ovviamente, gli spot. Tutto è “cool” se sta su MTV. Tutto è “non cool” se sta fuori da MTV. E il cinema è fuori da MTV. Hollywood, ovviamente, reagisce alla cosa come fa sempre…
Ovvero?
Va nel panico e inizia a urlare che il mondo sta finendo, che nessuno andrà mai più al cinema e che è tutto finito. Poi, come sempre capita, arriva qualcuno che gli mostra la via. E quel qualcuno, in questo caso, è Sylvester Stallone.
Stallone?
Stallone, che è un uomo che in quegli anni ha le orecchie davvero molto dritte e che capisce che nei video musicali c’è qualcosa che intercetta il tempo. Così, nel 1982, esce Rocky III, la seconda pellicola dedicata al pugile italoamericano scritta e anche diretta da Stallone stesso. Il film contiene un’intuizione. Non ancora una vera e propria idea costituita, ma un’intuizione. Che in parte è figlia della grammatica della serie stessa sin dal primo film (i montage musicali dedicati alle fasi di allenamento) ma che è anche qualcosa di diverso e nuovo. In poche parole, dentro Rocky III, c’è un lungo momento che è sostanzialmente un video che accompagna un potente pezzo hard rock (Eye of the Tiger dei Survivor). È una porzione del film che ha uno stile di regia diverso, una qualità delle immagini diversa e che, volendo, si potrebbe estrapolare e rendere autonoma. Come detto però, quella di Stallone è più un’intuizione, non una cosa ragionata che si fa metodo, per questo dobbiamo aspettare l’anno seguente e due giovani e rampanti produttori: Don Simpson e Jerry Bruckheimer.
Che fanno di speciale?
Jerry Bruckheimer ha già azzeccato un film grosso, Ufficiale e Gentiluomo, ma si muove ancora nei confini del cinema di qualità tradizionale americano. Don Simpson, invece, è alla sua prima esperienza come produttore quando si associa con Jerry e porta un carico di idee piuttosto estreme. Insieme i due capiscono che per combattere MTV, c’è solo una maniera: diventare MTV.
Cioè?
Cioè produrre film che abbiano il ritmo, l’estetica e il tono dei video musicali di MTV e da cui, soprattutto, si possano estrarre dei video musicali, da far passare proprio su MTV.
Non ho capito…
Immagina un film che contenga al suo interno molti pezzi di musicisti di moda e che questi pezzi facciano da colonna sonora a sequenze narrative raccontate però con la stessa grammatica dei video musicali… se estrapoli solo questi momenti, cosa ottieni?
Ehm… dei video musicali?
Esatto. E se quei video musicali vengono passati dalla televisione più di moda del momento, cosa ottieni?
Dei lunghi trailer pubblicitari del tuo film che vanno in onda gratis?
Ancora meglio: dei lunghi trailer pubblicitari che MTV ti paga per poter trasmettere.
Simpson e Bruckheimer erano dei geni!
Sì, lo erano. Si sono inventati un modo per portare il cinema su MTV, per renderlo figo agli occhi degli spettatori (in modo da spingerli a tornare in sala) e, in più, per guadagnare da tutto il processo. Ma per fare tutto questo hanno bisogno del film giusto, una pellicola pensata in origine per contenere quei momenti e diretta con lo stile giusto. E arriviamo al Flashdance di Adrian Lyne, che non è un regista scelto a caso dal mazzo.
Perché?
Perché Lyne viene dalla pubblicità, è un super esteta, patinato, raffinato, erotico e ossessionato dal ritmo e dal montaggio. In pratica, è un regista di videoclip.
È l’autore perfetto per il film che Simpson e Bruckheimer hanno in mente. E, infatti, tutto va secondo i loro piani: Flashdance è un successo, i video musicali del film (passati su MTV) sono un successo, la colonna sonora è un successo. La formula funziona e viene immediatamente capita da Hollywood che inizia a replicarla, a cominciare proprio da Stallone che, ovviamente, capisce subito che Simpson e Bruckheimer hanno avuto la sua stessa intuizione e che sono stati capaci di metterne a frutto il pieno potenziale. Ecco quindi prima Staying Alive e poi Rocky IV. Poi sono Simpson e Bruckheimer a tornare in cattedra con quello che è il “film MTV” assoluto: Top Gun di Tony Scott. Successo commerciale senza precedenti che non solo sbanca al botteghino, ma piazza anche un’infinita serie di singoli ai vertici delle classifiche musicali mondiali. Intanto escono Ghostbusters di Ivan Reitman, che lancia almeno tre grandi hit (sostenute da altrettanti video) e, nel 1996, Adrian Lyne gira 9 settimane e mezzo (una pellicola che è praticamente una serie di video incollati l’uno con l’altro). Ovviamente, Simpson e Bruckheimer non restano con le mano in mano e sempre con Tony Scott portano avanti il loro discorso: prima con Il sequel di Beverly Hills Cop e poi con Days of Thunder, che è Top Gun con le auto. In quegli anni, il terzetto Simpson-Bruckeimer-Scott definisce e impone uno stile, un’estetica, un ritmo e un suono che, fino al 1990, dominerà il botteghino e influenzerà tantissime altre produzioni.
E poi che succede?
Poi le cose, come sempre capita, cambiano.
Come mai?
Si potrebbe sintetizzare con: arriva il grunge e i Nirvana sostituiscono i Guns N’ Roses nel cuore del pubblico. Oppure si potrebbe dire che lo zeitgeist del tempo è cambiato e quel tipo di cinema non intercetta più il sentire del pubblico che ora vuole qualcosa di diverso. Fatto sta che tra il 1990 e il 1995, Simpson e Bruckheimer raccolgono le idee per capire come tornare a essere nel presente. Alcuni punti forti del loro approccio, restano fermi: la volontà di essere energici, le immagini patinate e l’approccio estetizzante, il ritmo e soluzioni visive da videoclip. Altri elementi, invece, spariscono, come il momento prettamente musicale. Le storie, inoltre, si fanno più drammatiche e mature. Ne è un ottimo esempio la pellicola Crimson Tide (Allarme Rosso da noi), del 1995, diretta sempre da Tony Scott e interpretata da due attori straordinari come Denzel Washington e Gene Hackman (e con Quentin Tarantino, non accreditato, alla scrittura dei dialoghi).
Ma tutto questo davvero ha a che fare con Bad Boys?
Ci arrivo, ci arrivo, te lo avevo detto che era lunga. Ora, per quanto i tempi siano cambiati e Simpson e Bruckheimer lo abbiano capito, di fatto restano sempre i toxic twins (a causa delle loro non sanissime abitudini in fatto di droghe) di Hollywood e, a loro, il cinema esagitato e sopra le righe piace e sono convinti che abbia ancora mercato, così, nello stesso anno di Allarme Rosso, esce anche un altro film che porta la loro firma: Bad Boys.
Alleluja!
Ora, a questo punto avrai capito che a Simpson e Bruckheimer, Tony Scott piace molto, giusto? E che con lui e con la sua maniera di fare cinema, hanno una grossa affinità, giusto?
Giusto.
Scott ha però un problema: è solo uno. E se sta in alto mare a girare Allarme Rosso, non può essere anche a Miami a girare Bad Boys. Quindi ci vuole qualcuno come lui, ma che non sia lui. E per trovarlo, il duo di produttori va a cercare indovina dove?
Dove?
Tra i registi di video musicali. Trovando un ragazzotto che si è fatto notare parecchio negli ultimi anni: tale Michael Bay.
Boom!
Precisamente. Bay ha girato alcuni video di grande successo e molto cinematografici per Meat Loaf (che in Italia è praticamente sconosciuto ma che negli USA è un Dio dorato, oltre a essere uno degli artisti che ha venduto più album al mondo) e dal suo stile si capisce chiaramente che adora lo stile visivo di Tony Scott per quanto, nella maniera di girare, somigli più a James Cameron. Simpson e Bruckheimer lo reclutano e gli affidano un film piccolino e poco rischioso, Bad Boys.
Perché poco rischioso?
Perché si tratta, sostanzialmente, di una pellicola a basso budget con Martin Lawrence, un comico televisivo, e Will Smith, un comico televisivo e un cantante, nel ruolo dei protagonisti (entrambi scelti in seconda battuta). In linea teorica, Bad Boys dovrebbe essere in parte una commedia (degli equivoci), in parte un buddy-cop movie e, in parte, una parodia. Il tutto servito da una bella colonna sonora, immagini patinate e qualche blando momento action. Ma le cose vanno diversamente…
Perché?
Perché hanno chiamato Michael Bay a dirigerlo e Michael Bay cambia tutto. Il regista impone da subito la sua visione, sposta il film da New York a Miami e, segretamente, decide di girare una versione black di Miami Vice, riscrivendo i personaggi in quest’ottica e riempendo il film di momenti action e drammatici non previsti. Inoltre, Bay detesta le battute del copione e chiede a Lawrence e Smith di improvvisare gran parte dei loro dialoghi, non lesinando sull’umorismo più volgare. Il film per famiglie che doveva essere, diventa qualcosa di molto diverso. In sostanza, l’idea di Bay è quella di girare un action movie alla maniera di Arma Letale (nonostante gli action movie sia in una fase di stanca al botteghino in quegli anni) e lo vuole fare secondo la sua ottica senza compromessi. Arriva al punto di pagare di tasca proprio un paio di shot particolarmente esplosivi e costosi.
Il risultato però, è sorprendente, perché Bay non riesce solamente a ridare spinta e vitalità a un genere che si credeva ormai finito, ma riesce pure a trasforma Will Smith, il divertente principe di Bel Air, in un convincente duro cinematografico, sboccato, atletico, ammazzasette e tremendamente sexy. Quando Bad Boys esce al cinema diventa la sorpresa dell’anno, lanciano la carriera di Bay, reinventando quella di Smith (che da quel momento in poi, diventa un divo) e permettendo a Lawrence di diventare un volto molto forte al cinema (in Italia, no, ma in USA ha fatto milioni e milioni con le sue commedie successive).
Insomma, Bad Boys è un bel film?
Sì e no. È un ottimo action quando le cose si muovono, i proiettili fischiano nell’aria, le gomme stridono e le auto esplodono. Ed è anche un film molto divertente quando Lawrence e Smith interagiscono a ruota libera. Tutto il resto, invece, il meccanismo dell’equivoco che fa da motore per la storia, le sequenze di transizione e collegamento tra un momento d’azione e l’altro, il ritmo nella parte centrale, funziona poco. A Bay il copione non piace e si capisce abbastanza bene dal suo disinteresse per tutto quello che non gli permette di mettere in luce le sue straordinarie capacità di regista di movimento. Comunque, costa una ventina di milioni (ma a schermo sembrano cento), ne incassa centocinquanta, è un successo enorme e Bay diventa il nuovo regista feticcio di Simpson e Bruckheimer, a cui affidano subito il loro prossimo titolo di punta: The Rock, con Nicolas Cage e Sean Connery, un film grosso questa volta (settantacinque milioni di budget), con una buona storia, una bella sceneggiatura, mezzi e tempi infiniti, due divi cinematografici famosi e prettamente action. Praticamente il paradiso per Bay che voleva proprio tutto questo (no, la buona storia non è che proprio la volesse perché a lui delle storie interessa poco ma, se c’è, tanto meglio).
Anche The Rock è un successo, giusto?
Enorme (trecentoquaranta milioni al box office del 1996). Per Simpson e Bruckheimer, le cose non potrebbero andare meglio. Se non fosse che Don Simpson ha la bella pensata di morire per overdose (in quel periodo spendeva sessantamila dollari al mese in droga), lasciando il suo socio da solo a continuare a fare milioni, prima con Con Air (diretto da Simon West, un clone in piccolo tanto di Tony Scott, quanto di Michael Bay) e poi con Armageddon, nuovamente con Michael Bay alla regia. Il film sul meteorite grande come il Texas che se la deve vedere contro Bruce Willis (uno scontro impari, diciamolo) è un successo senza precedenti (in cui, oltretutto, riaffiorano i momenti da video musicale di MTV, tanto cari a produttore e regista) e a quel punto, il cielo diventa l’unico limite. Ovviamente, come qualsiasi storia di ascesa ci racconta, quando arrivi a questi livelli, pecchi di hybris e ti bruci. Il film successivo di Bruckheimer e Bay è Pearl Harbour, che al botteghino va anche molto bene, ma che viene criticato più duramente di qualsiasi altro film della coppia (che non è che è mai piaciuta molto ai critici). Così, per la pellicola successiva, si torna su un terreno sicuro, e si mette in cantiere Bad Boys II. La formula, in teoria, sarebbe sempre la stessa: Lawrence e Smith sono sempre due litigiosi poliziotti di Miami, alle prese con dei criminali spietati. Toni da commedia, molte battute sboccate, grandi scene d’azione. Solo che a Bay non basta. Ormai si è abituato ad andare sopra le righe e con Bad Boys II vuole arrivare al suo apice. E ci riesce.
Che intendi dire?
Che tutto in Bad Boys II è oltre. Il film si spinge dove nessuna action-comedy aveva mai osato arrivare. L’umorismo è terribile, volgarissimo, di cattivo gusto sempre (una gag riguarda il gettare cadaveri da un furgone in corsa, un’altra è su un “divertente” fraintendimento omosessuale), lo stile di regia è visionario oltre ogni limite e l’azione… mio dio, l’azione. Nessun action ha mai avuto prima delle scene del genere (realizzate davvero, con un ridottissimo ausilio della CG) e nessuno ce le avrà dopo. Tra camion che lanciano auto sull’autostrada, barche che esplodono (dopo essere state lanciate sull’autostrada pure loro), elicotteri che si infilano in tunnel, sparatorie folli e un terzo atto che trasforma la pellicola in un vero e proprio film di guerra, Bad Boys IIq è, semplicemente, il più esagerato, folle, impossibile, film d’azione mai girato, la cappella Sistina di Micheal Bay in quanto a tecnica e occhio registico. Un apice talmente irraggiungibile da rappresentare, per molti versi, la pietra tombale del genere action degli anni duemila. Semplicemente, è impossibile fare di più o meglio. E lo stesso Bay se ne rende conto, decidendo di cambiare tipo di film dopo questo, e separandosi dal suo produttore storico per “volare da solo”.
E poi che succede?
Un sacco di roba. Bay prova a fare un film serio di fantascienza (The Island), dove per metà della pellicola, le cose non esplodono. Poi si annoia e, nella seconda parte, esplode tutto, anche i cestini della carta. A quel punto, Steven Spielberg, uno dei grandi fan dell’occhio cinematografico di Bay, lo arruola per dare nuova vita alla saga dei Transformers, dicendogli: io ti spiego come metterci il cuore nei tuoi film, e tu fai tutto il resto che ti viene così bene. Il primo Transformers è un successo incredibile e Bay rimane invischiato nella saga per altri quattro pellicole dedicate alla lotta tra gli Autobot e i Decepticon. Nel mezzo, gira due film piccoli (per i suoi standard) e bellissimi: Pain & Gain e 13 Hours: The Secret Soldiers of Benghazi. A Bruckheimer le cose vanno altrettanto bene per parecchio tempo (è l’uomo dietro al successo de I Pirati dei Caraibi), poi incappa nel disastroso flop di Lone Ranger, che quasi lo rovina e così decide di tornare a un franchise sicuro del passato: Bad Boys. Bay passa la mano perché ha voglia di fare cose sue (ma garantisce una consulenza e un sostegno spirituale) mentre Will Smith accetta (anche lui è alla ricerca di un rilancio nel cinema commerciale). A Martin Lawrence non serve nemmeno chiederlo: lui pagherebbe per esserci. Come registi, vengono chiamati Adil El Arbi e Bilall Fallah. Il loro curriculum è solido e sono grandi fan di Bay. Non ne hanno il talento e la visionarietà, ma sono più capaci nel costruire un impianto emotivo a sostegno dell’azione.
È un bel film?
Mmm, non proprio. È scritto maluccio e diretto in maniera anonima. La serie, privata degli eccessi visionari e di (cattivo) gusto di Bay, diventa un banale buddy-cop movie con poco da dire. Diciamo che è un film che lascia il tempo che trova ma, forte del cast e del nome, fa uno striminzito primo posto in classifica in un periodo abbastanza morto al botteghino USA. Bene ma non benissimo, insomma, se non fosse che poco dopo la sua uscita, il mondo finisce in lockdown e Bad Boys For Life diventa uno dei maggiori incassi del 2020 (perché i titoli forti che sarebbero dovuti uscire quell’anno, vengono rimandanti). Un primo posto è comunque un primo posto e Hollywood pretende una quarta iterazione, che arriva sui nostri schermi proprio in questi giorni, sostanzialmente con lo stesso cast artistico e tecnico. Il titolo è Bad Boys: Ride or Die e, te lo anticipo, non sposta la palla di una virgola rispetto al capitolo precedente. È un film competente, con scene d’azione non brutte e la solita buona chimica tra Lawrence e Smith (invecchiati e imbolsiti ma ancora capaci di tenere bene lo schermo) ma se cerchi qualcosa di speciale, lascia perdere. Diciamo che il segreto di Bad Boys era Michael Bay e che, senza Michael Bay, questa IP ha davvero poco da dire.
Quindi, non vado a vederlo?
Dipende. Se cerchi un discreto action di livello medio, vai pure. Ma se vuoi qualcosa di davvero speciale… rivediti Bad Boys II, sullo schermo più grande che trovi, con il volume al massimo: è il Quarto Potere del cinema action e nulla potrà mai eguagliarlo.
Non starai esagerando?
Certo che sto esagerano, come Michael Bay!