C’è un prima e un dopo Up di Pete Docter, come c’è un prima e dopo i film di Don Bluth o il Rinascimento Disney oppure Il Castello Errante di Howl. L’animazione è fatta di momenti, di fasi, di istanti, questo che compie 15 anni è uno dei più incredibili che abbiamo avuto il privilegio di avere di fronte a uno schermo.
Up è stato un terremoto emotivo, è stato uno dei film d’animazione per i quali la parola capolavoro è tutto tranne che retorica, scontata oppure inesatta. A 15 anni di distanza dalla sua uscita in sala, bisogna riconoscere che da certi punti di vista, rappresentato l’apice di un percorso, quello della Pixar, che era stato capace di fare già la storia fin dall’inizio, con quel Toy Story che per primo, aveva coniugato non solo un’animazione avveniristica, ma anche la volontà di unire sensibilità, ironia e tematiche tutt’altro che banali o scontate. Quel percorso oggi si è inceppato, inutile negarlo, non si è più trovato quell’equilibrio che lo stesso Bob Iger aveva indicato come la strada da ritrovare, quel far divertire le persone e non dare lezioni. Up tutto questo invece lo sapeva fare benissimo, in virtù di una sceneggiatura di Pete Docter, Bob Peterson e Tom McCarthy, che seppe donarci la riscoperta dell’immagine e il suo dominio sulla parola, di comprendere che più che spiegare, bisogna mostrare. La stessa concezione di un eroe appartenente alla terza età, a pensarci ancora oggi appariva quasi un suicidio, ma tutto naturalmente cambia nel momento in cui si sanno dire le cose in un certo modo, in cui si comprende come Carl Fredricksen, burbero, distrutto dalla vita, può essere un personaggio incredibile per le emozioni universali di cui si fa carico, per la capacità di far arrivare a chiunque di ogni età, un percorso fatto di normalità, ma non di banalità. Up si connette al genere adventure, strizza l’occhio a Verne, Haggard, Doyle, la sua stessa essenza visiva è a metà tra sci-fi e fantasy d’annata. Parliamo di un film in cui risplende un fortissimo legame con il cinema muto, la commedia slapstick, nonché la narrativa di Woody Allen. Qualcuno però fa giustamente anche notare come la malinconia insita nel personaggio, quella sensazione di un paradiso perduto, la centralità totale di una colonna sonora che diventa elemento diegetico e narratore emotivo, siano rimandi a Sergio Leone. Ed ecco perché definirlo capolavoro è tutto tranne che gratuito e strumentale.
Up ci mostra un uomo collerico e misantropo, come lo sono molti anziani e il tema dell’anzianità è importante, perché se uno ci fa caso, vede che quasi mai è stato affrontato dal cinema, gli eroi sono sempre giovani e belli, lui invece è basso, rugoso, ma anche lui è stato giovane, anche lui sognava di conquistare il mondo, di cambiarlo, ma il mondo ha cambiato lui. Up si colloca infatti in un XXI secolo dove già all’epoca si cercava di essere ragazzini fino ai quarant’anni, sentirsi grandi significa forse la fine di un’avventura? Carl ne è convinto, è convinto che deve solo aspettare di raggiungere la sua amata Ellie, quella che in un incipit/finale semplicemente geniale, prima di morire, gli lascia un biglietto, gli spiega che non è finita finché non è veramente finita. Un cartone per bambini che ci parla della morte, del ricordo che diventa un fardello, della solitudine totale, chi l’avrebbe mai pensato? Con tutto il male che si può dire dell’industria dell’intrattenimento targata Disney, bisogna riconoscere che fino a pochi anni fa era capace di donarci grandi racconti ed emozioni, sapeva unire in modo perfetto intrattenimento con profondità. Chissà quanti adulti avranno ripensato ai propri genitori, magari dimenticati in qualche ospizio, guardando la solitudine che Up ci rende la vera, grande, matrice del vecchio, della sua squadra strampalata, persino del suo villain, Charles F. Muntz. Può esistere l’amicizia tra Carl e il giovanissimo Russell? Perché il vero nemico in Up è dentro i protagonisti, dentro Carl e la sua emotività, il suo modo di guardare il mondo. Ma non c’è un dito puntato in nessun momento, c’è comprensione, empatia, il tutto all’interno di un racconto che dal punto di vista visivo è semplicemente incredibile, un inno alla pop culture e ai colori. Le Cascate Paradiso erano dentro Carl, i ricordi sono importanti ma possono impedirti di volare, gli oggetti sono solo tali alla fine. Ed i sogni hanno mille strade per realizzarsi, perché come insegnava Matrix, non è il cucchiaio a piegarsi, ma siamo sempre noi a farlo. Non proprio poca roba per un film d’animazione, quanto in realtà un film sulla vita, su cosa la rende tale, sul fatto che va esplorata e non capita.