Sono tanti anni che Nicolas Cage non sceglie un film in grado di funzionare da solo, per scrittura e regia, e che, allo stesso tempo, non sia costruito su di lui e sulla sua capacità ormai di rendere il trash estremo intellettuale. Tutte le altre volte sono stati film brutti, al massimo medi, niente di memorabile. Il vento è cambiato? Difficile dirlo. Certo è che The Surfer, selezionato fuori concorso al Festival di Cannes 2024, è un bel punto di (ri)partenza.
The Surfer è girato in un’unica location, una spiaggia australiana e il suo parcheggio alle spalle, in un breve arco temporale, qualche settimana e con una manciata di personaggi, molti senza nome, tra cui quello interpretato da Cage. Pochissimi elementi per una trama, abbastanza però per il regista Lorcan Finnegan (già autore dell’interessante Vivarium) e lo sceneggiatore Thomas Martin per cominciare a scavare e rendere la vicenda del protagonista – un papà (il Surfer del titolo) che sta per comprare una casa su quel promontorio dove lui stesso crebbe da bambino, – una metaforica storia di resistenza ed esistenza.
Dall’altra parte, a rappresentare l’ostilità verso il forestiero, c’è una banda di surfisti uniti dal motto “Se vivi qui, surfi qui”. Se ti opponi, invece, le prendi. E puoi insistere quanto vuoi, non c’è limite agli atti di bullismo che ti faranno provare. A capitanarli c’è una sorta di santone (Julian McMahon) che sui social afferma l’esigenza del maschio di riprendersi il proprio ruolo nella società. Non uno pronto a piegarsi o lasciare andare. Il surfista però non lascia andare. Vuole surfare sulla spiaggia in cui, anni prima, morì il padre. Ed è anche un po’ sfortunato. Una serie di scelte sbagliate lo costringono a rimanere nei dintorni, perdendo poco a poco tutto ciò che ha, anche, forse, la salute mentale.
Mescolando sapientemente noir, dramma e anche un’ironia tipica dei B-Movie (e che la presenza di Cage contribuisce a sottolineare) TheSurfer, riesce gradualmente a portare lo spettatore dentro una spirale in cui tutto ciò che appare può avere un senso. Gli animali sullo sfondo sono cibo, le cose buttate a terra una possibile arma, le pozzanghere delle riserve di acqua. Gli occhi di Nicolas Cage rendono tutto credibile e brutale: credi alla sua ossessione, sei pronto ad accettare le ragioni per cui ha deciso di non tornare a casa, sempre che una casa ce l’abbia davvero. Potrebbe essere tutto un delirio? Il dubbio, nonostante un finale abbastanza canonico, rimane così come la sensazione di aver visto un film di valore.