Ciao, mio sapiente amico!
Ciao, scommetto che oggi mi vuoi chiedere de Il pianeta delle scimmie.
Come hai fatto a capirlo?
Perché è arrivato un nuovo film al cinema e perché tu sei solo uno strumento creato dalla mia immaginazione, utile per darmi modo di scrivere questi botta e risposta divulgativi.
Così però mi ferisci. Credevo ce noi due avessimo un legame…
Zitto e attieniti al tuo ruolo.
Va bene, allora: ho visto che in sala è arrivato Il regno del Pianeta delle scimmie e ho cercato di capirci qualcosa con tutti i film di questa serie, ma sono confuso.
Non stento a crederlo visto che, a oggi, il franchise dedicato alle scimmie sapienti che domineranno il mondo, è composto da un romanzo che ha dato origine al tutto (La Planète des singes, del francese Pierre Boulle, pubblicato nel 1963), cinque film di quella che viene definita “la saga originale”, realizzati tra il 1968 e il 1973, una serie televisiva di quattordici episodi, realizzata nel 1974, una serie animata di due stagioni, andata in onda tra il 1975 e il 1976, un manga (del 1973), una serie a fumetti della Gold Key Comics, varie altre collane a fumetti realizzate e pubblicate dalla Marvel Comics e altri adattamenti a fumetti di editori di tutto il mondo, un remake del 2001, una serie reeboot che – al momento – è composta da quattro film e quattro videogiochi.
Oddio, e devo guardare e leggere tutto per capirci qualcosa?
Fortunatamente, no. Ti ho fatto questa lista solo per illustrarti due cose: la prima è la popolarità di un franchise estremamente longevo e multiforme.
E la seconda?
Che gli americani hanno una passione smodata per le scimmie al cinema e in televisione.
Scherzi?
No, no, sono serissimo. Sin dal Tarzan del 1932 e dal King Kong del 1933 , il cinema americano ha portato a schermo un numero improbabilmente alto di scimmie sullo schermo, in film d’azione, drammatici, comici, horror e via dicendo. E lo stesso è successo in televisione. Scimmie investigatrici, scimmie agenti segreti, scimmie camioniste, scimmie amiche, scimmie nemiche, scimmie in universi di sole scimmie e scimmie che fanno da spalla a grandi attori. E questo cosa significa?
Non lo so, cosa significa?
Che possa essere fulminato sul posto se ne ho idea. Mi ci interrogo da anni. L’unica cosa che mi viene da pensare è che Hollywood ha la memoria lunga per le cose che hanno funzionato e portato soldi e visto che, per un motivo o per l’altro, tanti film con delle scimmie protagoniste sono andati bene, gli studios si sono convinti che una scimmia è una valore solido su cui investire.
Comunque sia, l’enorme successo del franchise del Pianeta delle scimmie, non fa altro che confermare questo fatto.
Ma come è nato tutto quanto?
Dal romanzo di un francese, come ti dicevo. I diritti sono stati comprati (ancora prima che il romanzo fosse pubblicato) da Arthur P. Jacobs che ha poi piazzato il progetto alla 20th Century Fox. Il testo originale è stato pesantemente rimaneggiato dal regista scelto per il film, Franklin J. Shaffner (che vincerà un Oscar per Patton, nel 1970 e che porterà sullo schermo lo splendido Papillon, nel 1973) e rifinito da quel geniaccio di Rod Serling, che gli donerà il suo tocco speciale.
Chi?
Rod Serling, il creatore della serie televisiva The Twilight Zone (Ai confini della realtà, da noi), un’opera nota per i suoi incipit fulminanti e per i suoi plot twist finali del tutto spiazzanti. Ed è proprio grazie al suo plot twist inaspettato (e poi diventato iconico) che Il pianeta delle scimmie diventerà un film cult.
Immagino che se me lo racconti, mi rovini il film, vero?
Esattamente. E sarebbe un peccato perché la prima pellicola del franchise è ancora oggi ottima, con una bella sceneggiatura, costumi evocativi e un granitico Charlton Heston in una delle sue interpretazioni di maggior successo. Se vuoi conoscere il franchise, il primo film è la maniera migliore per iniziare a farlo, specie se sei all’oscuro del suo colpo di scena finale.
Anche i film successivi della saga originale sono buoni?
Meno. Un poco perché, appunto, l’effetto sorpresa è svanito, un poco perché i sequel, a quel tempo, non si facevano investendoci di più, ma di meno. L’idea era che il film originale fosse “l’opera” e che i seguenti fossero solo degli inevitabili e profittevoli prodotti commerciali. Un modo come un altro per sfruttare la vacca grassa fino all’osso. Nel caso del Pianeta delle scimmie però, va detto che la saga originale, nel suo complesso, riesce sempre a rimanere abbastanza dignitosa e che non perde mai il fuoco sulla questione di fondo di tutta la faccenda.
Che sarebbe?
Il tema razziale. Come spesso capita alla buona fantascienza, anche Il pianeta delle scimmie è in realtà un film che parla del presente, mascherato da qualcos’altro. Nel caso specifico, il tema di tutto il primo arco di film è quello razziale e il ribaltamento narrativo, dove le scimmie sono la specie dominante e gli uomini i sottomessi, è utile per dire allo spettatore: “Prova a vedere la questione da un punto di vista diverso! E se fossi tu, uomo bianco, lo schiavo?”
Questo tema si riflette anche nelle opere successive?
Molto meno nella serie televisiva, ovviamente per nulla in quella animata per bambini.
Ma la serie televisiva è buona?
Insomma. Noiosa anche per l’epoca e priva della spettacolarità dei film.
E del remake del 2001 che dici?
È un film diretto da Tim Burton in una fase molto oscura della sua vita. È un film brutto, con poche idee e anche molto confuse e un finale imbarazzante.
Lo salto?
Per me, tranquillamente. Anche Burton sarebbe d’accordo.
Quindi, dopo viene il reboot?
Esattamente. Che riesce nel miracolo di riportare in vita il franchise. Merito soprattutto di alcuni fattori.
Quali?
Prima di tutto, lo sviluppo degli effetti speciali in digitale, in special modo la motion capture, che ha permesso a Andy Serkis di dare vita all’incredibile personaggio di Caesar, poi al buonissimo script di Rick Jaffa, che rinnova il franchise togliendo di mezzo la necessità del “colpo di scena” che ha sempre caratterizzato la serie, e partendo dai giorni nostri e non dal futuro. Infine, anche la regia di Rupert Wyatt è solida e sicura. Insomma, L’alba del pianeta delle scimmie è un ottimo film, sia da solo che come nuovo starting point.
E quelli dopo?
Ancora meglio, perché alla regia di Dawn of the Planet of the Apes (scusa, mi rifiuto di usare il titolo italiano) arriva Matt Reeves (hai presente l’ultimo film di Batman? Lui). È con il secondo film della serie reboot che il franchise esplode letteralmente, sia dal punto di vista immaginifico che da quello della realizzazione tecnico-artistica. La serie si arricchisce di nuovi colori, significati e metafore, consacrando Caesar come un personaggio enorme, ricco di sfumature e dalla statura iconica. Tutti valori che si confermano in War for the Planet of the Apes, sempre di Reeves e Bomback (alla scrittura anche del capitolo precedente), che chiude la trilogia con un finale degno di Apocalypse Now (da cui prende pesantemente ispirazione).
E ora…
Ora arriva un quarto film, Kindgdom of the Planet of the Apes, che vorrebbe essere l’inizio di una nuova trilogia e di un nuovo ciclo narrativo, capace di andare oltre Caesar.
E ci riesce?
Sotto il piano visivo, il film è davvero molto bello e la regia di Wes Ball è solida. Meno significativa la sceneggiatura di Josh Friedman, che porta a schermo una storia molto piccola e non così necessaria e che, soprattutto, patisce la mancanza di un personaggio come Caesar (e pure un terzo atto particolarmente confuso).
Quindi vale la pena di vederlo?
Non è un disastro e visivamente è di altissimo livello. È che, forse, non si capisce tanto la necessità di realizzare un ulteriore capitolo, pur non avendo moltissimo da dire. A parte l’interesse economico di continuare a sfruttare una franchise di successo, ovviamente.
Insomma, da dove comincio?
Dal film originale. Per non rovinarti il bel colpo di scena. Se ti piace tantissimo, continua con le altre pellicole della saga classica, oppure salta direttamente alla prima trilogia del reboot. Poi, se hai ancora la scimmia addosso, recupera tutto il resto.
Hai fatto una battuta?
Sì.
Non farne più, ti prego.
Ok.