Nei giorni scorsi vi abbiamo raccontato la storia di Nothing, Except Everything, cortometraggio del diciannovenne Wesley Wang che ha riscontrato un grande successo su YouTube: girato dal giovane regista durante l’ultimo anno delle superiori, il corto è diventato ben presto un fenomeno virale, suscitando persino l’attenzione di Darren Aronofsky. Sarà proprio la sua Protozoa Pictures a trasformare il film in lungometraggio, lanciando Wang – che nel frattempo stava studiando ad Harvard – tra le luci abbaglianti di Hollywood.
Le ragioni di tale successo non sono difficili da isolare. Nothing, Except Everything ruota attorno a Miles (David Mazouz, il giovane Bruce Wayne di Gotham), studente dell’ultimo anno che non ha ancora deciso quale università frequentare, ed è ossessionato dal numero 7: all’inizio del corto, è lui stesso a chiederci di scegliere un numero fra l’1 e il 10, prima di spiegarci che una persona su tre opta proprio per il 7. Questa costante, seppure inesplicabile, gli permette di trovare un minimo di ordine nel mondo caotico in cui viviamo, e che lo spaventa con la sua imprevedibilità. Cos’altro possiamo fare, se non “scegliere un college, trovare un lavoro e morire”? Miles frequenta Harper (Lily Chee, la piccola Elektra di Daredevil), una compagna di classe con cui intreccia un rapporto profondo, ma è perseguitato dall’apparente futilità dell’esistenza, come pure dal ricordo di un caro zio che si è tolto la vita.
Ci troviamo a metà strada fra π – Il teorema del delirio (guarda caso proprio di Aronofsky) e Noi siamo infinito, con le carrellate veloci del primo Paul Thomas Anderson e una commistione di linguaggi tipica del pastiche: le rotture della quarta parete si alternano a intermezzi animati, momenti da teen comedy, segmenti da filmino amatoriale e scene intimiste, componendo un’opera magmatica e molto eterogenea. Alla fine, Miles pare assestarsi su una sorta di “nichilismo attivo”, per quanto paradossale possa sembrare. La fine è inevitabile, la conosciamo tutti, quindi tanto vale godersi il viaggio.
Il risultato appare pretenzioso e cringe, com’è lecito aspettarsi da un diciottenne che trasfigura in cinema la sua irrequietezza adolescenziale. Un esempio su tutti: il discorso di Miles alla cerimonia dei diplomi è quasi irritante per il suo eccesso di consapevolezza, urlato e paralizzante, che sembra rinunciare a qualunque tipo di riflessione critica. Siccome “è tutto inutile” e “non c’è alcuna morale alla fine della storia”, l’unica soluzione è concentrarsi sul presente.
Eppure, nonostante i suoi limiti, Nothing, Except Everything dà voce a una generazione che si sta affacciando in questo momento sul mondo reale, ed è spaventata dai cambiamenti climatici, dalle guerre, dall’erosione delle antiche garanzie sociali e familiari. Una generazione (la famigerata Gen-Z) che si nutre di contenuti al fulmicotone, su piattaforme come TikTok e Instagram, da cui Wang trae l’idea di scene tendenzialmente brevi, con un montaggio serrato e personaggi che parlano alla velocità della luce. Di fatto, il corto si esprime con la stessa lingua del suo pubblico ideale, non solo in termini di registro stilistico, ma anche nella visione dei rapporti: esemplare il fatto che Miles e Harper non si scambino nemmeno un bacio, neanche quando dichiarano di volerlo fare, e si limitino a stare sdraiati nel letto (vestiti) parlando di come ricorderanno l’un l’altra in futuro. D’altronde, la Gen-Z è una generazione che in buona parte ha rinunciato al sesso, o quantomeno lo ha limitato.
Non c’è quindi da stupirsi che Nothing, Except Everything sia stato protagonista di un successo virale: è un’opera da cui moltissimi spettatori si sono sentiti rappresentati. Qualcosa di simile – ovviamente con modalità e ragioni diverse – è accaduto anni fa in ambito letterario a Cat Person di Kristen Roupenian. Sappiamo bene che i racconti, come i cortometraggi, faticano a trovare una diffusione su ampia scala, ma questi due casi dimostrano come la presenza di un contenuto forte, in cui il pubblico possa riconoscere le proprie esperienze personali, sia fondamentale per ottenere popolarità. “I felt seen” potrebbe dire un utente dei social condividendo una di queste opere: l’idea di “sentirsi visti e ascoltati”, e quindi “presi in considerazione”, pizzica le corde più intime del fruitore, lo fa sentire meno solo. La fama dei meme attinge anche da questo.
È proprio tale “viralità” a rendere unica la vicenda di Nothing, Except Everything. Perché, ricordiamolo, non è la prima volta che Hollywood nota un giovane regista grazie a un cortometraggio: pensiamo ad Ataque de Pánico! di Fede Álvarez o Mamá di Andy Muschietti, entrambi realizzati con molte meno risorse, ma capaci di lanciare le carriere hollywoodiane dei due cineasti grazie agli interessamenti di Sam Raimi e Guillermo Del Toro. Stavolta c’è però un elemento generazionale, che supera la narrativa di genere e si fa costume: compito di Wesley Wang, ora, è di confermare questo legame con il suo pubblico anche nel lungometraggio.