Con dieci film all’attivo, la saga cinematografica de Il Pianeta delle Scimmie è ormai lontanissima dal romanzo di Pierre Boulle che l’ha ispirata. D’altra parte, il reboot del 2011 ha saputo allinearla ai migliori blockbuster contemporanei, sia in termini tecnici (CGI e motion capture sono ai vertici dell’industria) sia come rielaborazione più articolata di un immaginario preesistente. Se Il Regno del Pianeta delle Scimmie appare superfluo, è perché la trilogia iniziata da Rupert Wyatt – e proseguita brillantemente da Matt Reeves – lascia un innegabile senso di compiutezza: la parabola di Cesare traccia infatti un arco completo, dalla genesi al sacrificio finale, narrando al contempo la rovina di un mondo e la nascita di un altro. Il regista Wes Ball, che nello scorso decennio si è fatto le ossa con la saga di Maze Runner, ha però il merito di ambientare la storia centinaia di anni dopo la morte di Cesare, spalancando le porte all’esplorazione di uno status quo tutto nuovo.
I vecchi insediamenti umani sono stati ormai reclamati dalla natura, che ha inglobato strade, grattacieli e tutte le altre vestigia della nostra civiltà. Lo scimpanzé Noa (Owen Teague) appartiene a un clan di allevatori di aquile, pacifico e nascosto a sguardi ostili. Ora le scimmie hanno acquisito il linguaggio verbale, mentre gli sparuti umani sono regrediti a uno stato selvaggio, vivono in branchi e hanno perso l’uso della parola. La tranquillità del villaggio è turbata dai soldati di Proximus Caesar (Kevin Durand), re autoproclamato di un regno vicino, lungo la costa. Proximus ha bisogno di sudditi per i suoi oscuri fini, e i soldati rapiscono l’intero clan: soltanto Noa, creduto morto nello scontro, rimane indietro. Il giovane scimpanzé parte quindi alla ricerca dei suoi cari, e lungo il cammino incontra due preziosi alleati: il saggio orango Raka (Peter Macon), appartenente all’Ordine di Cesare; e l’umana Mae (Freya Allan), che dimostra di saper parlare.
Quella di Ball, come accennato prima, è un’intuizione vincente. Ambientare la storia “molte generazioni” più tardi gli permette di immaginare le conseguenze a lungo termine delle gesta di Cesare, quando gli eventi della trilogia precedente si sono fatti “mito”. Ne deriva il risvolto più interessante del film: gli insegnamenti di Cesare vengono sbandierati indistintamente da Raka e da Proximus, ma con effetti diversi; se il primo ne mantiene la purezza solidale e pacifista, il secondo li distorce in senso autoritario. Quante volte lo abbiamo visto succedere nel mondo reale? Tanto le democrazie quanto le tirannidi possono appropriarsi delle figure messianiche, interpretandone le lezioni secondo i propri interessi. È esattamente ciò che succede ne Il Regno del Pianeta delle Scimmie, dove Proximus sfrutta le parole del grande eroe per riunire le scimmie sotto un giogo oppressivo, eliminando le individualità e la libertà («Scimmie insieme forti»). Ma per Raka e Noa, quelle stesse parole sono sinonimo di fratellanza e solidarietà, non di sottomissione.
La sceneggiatura di Josh Friedman non approfondisce molto la questione, che però è ben presente negli sviluppi della storia. Certo, l’assenza di una backstory per Proximus e il suo regno è un po’ limitante: non sappiamo come sia salito al potere, né come abbia appreso dell’esistenza di Cesare. Senza un passato, rischia di avere una caratterizzazione schematica, priva di origini e di vere motivazioni. È però significativo il fatto che, grazie al suo servitore umano Trevathan (William H. Macy), il re si interessi di storia romana, e finisca per compiere gli stessi errori degli uomini che l’hanno preceduto. Il Regno del Pianeta delle Scimmie gioca infatti sull’eterno ritorno della violenza, e accenna alla scoperta delle armi da fuoco come se fosse il peccato originale, la scintilla capace di innescare orrore e sopraffazione. Un concetto che, curiosamente, era stato esplorato anche dal remake di Tim Burton.
In ogni caso, l’antagonista ha solo la funzione di far partire la trama, come accade spesso nei primi capitoli di una saga, o in quelli transitori. Il Regno del Pianeta delle Scimmie sembra voler dare origine a una nuova era del franchise, e l’epilogo è piuttosto chiaro: per quel che ne sappiamo, potrebbe essere l’inizio di un’altra trilogia, dove l’ambiguità morale degli umani giocherà un ruolo fondamentale. Il risultato è un classico viaggio dell’eroe, forse più convenzionale rispetto ai film precedenti, ma godibile sul piano narrativo e davvero sontuoso dal punto di vista tecnico. La CGI delle scimmie è talmente fotorealistica da rendersi quasi invisibile: ci dimentichiamo di avere davanti dei personaggi digitali, peraltro molto espressivi. Una visione post-umana nella forma, ma ancora riconoscibile nella sostanza.