Kevin Costner sta investendo personalmente 100 milioni di dollari per la realizzazione di Horizon, saga western di quattro capitoli (per ora ne sono stati girati due) il cui primo, di oltre tre ore, è stato presentato al Festival di Cannes 2024. Non avesse fatto così, nonostante l’appoggio di Warner Bros e di altri finanziatori, il progetto non avrebbe mai preso vita. È, insomma, il lavoro di una vita per l’attore e cineasta statunitense che probabilmente si augura di ripetere anche solo la metà del successo ricevuto con il suo debutto alla regia, Balla con i lupi, sette premi Oscar nel 1991, un apice neanche sfiorato dai suoi unici altri due successivi lunghi: L’uomo del giorno dopo (1997) e Terra di Confine (2003). Ci riuscirà?
Horizon: An American Saga è un film corale. Ci sono varie linee narrative che, almeno nel primo capitolo, non sempre si incrociano. L’obiettivo è gettare le fondamenta per raccontare la fase finale della colonizzazione del cosiddetto far west da parte degli abitanti della costa est. Anno 1859: un gruppo di coloni misurano i lotti di terra nella Valle di San Pedro in Arizona. Vorrebbero costruire abitazioni vicino al fiume. Dall’alto, nascosti. un gruppo di Apache li guarda. Non possono permetterlo, è la loro terra. È massacro. Passano quattro anni. E sempre lì, un altro gruppo di coloni sta cercando di costruire una città. Sono molto di più di prima, ma poco cambia. Quello è un territorio che i nativi sentono proprio. E così attaccano, uccidono, distruggono. Un sopravvissuto riesce ad avvertire l’esercito che arriva, ma quando ormai è troppo tardi. Tra le sopravvissute ci sono una vedova (Sienna Miller) e la figlia. Che vita le si prospetta? Una banda di cacciatori di taglie si mette alla ricerca dei responsabili della strage. Gli Apache non si nascondono, ma internamente dibattono se attacchi del genere siano la strategia giusta. Contemporaneamente una carovana di coloni pieni di merce e aspettative verso una non precisata meta attraversa il Kansas con tutte le difficoltà che il paesaggio in una zona desertica possono presentarsi e un laconico pistolero (Kevin Costner) prende sotto la sua ala una giovane prostituta (Abbey Lee).
Giudicare la solidità narrativa di un progetto così ambizioso dopo solo un episodio su quattro non sarebbe corretto. Si è assistiti solo alle premesse di una serie di storie che probabilmente diventeranno un’unica in futuro. Certo è che la sempre difficile rappresentazione dei nativi, in un film che bene o male sceglie il punto di vista dei coloni bianchi, è equilibrata, non indulgente, ma logicamente, neanche accusatoria. E questo è un merito.
Qualche discorso in più si può fare sull’impianto visivo. Costner gira il suo western alla John Ford, Anthony Mann e Budd Boetticher, in maniera classica. Non gli interessa innovare, gli piace quel cinema americano degli anni ’50. Il suo Horizon: An American Saga rispetta in pieno le aspettative. Complici le bellissime location, le scene di combattimento sono avvincenti. Si respira la ferocia dell’epoca così come quella percezione di territori vergini da popolare che sicuramente ebbero molti dei coloni.
Il film ha ricevuto una lunga ovazione al Festival di Cannes 2024 dove è stato presentato. Forse 7 minuti sono anche troppi, sicuramente l’impegno economico personale di Kostner, il desiderio di rendere tributo a un cineasta pronto a tutto per fare il film che vuole, ha aiutato. Horizon: An American Saga però è un film che ha un suo pubblico e non lo delude.