Cinema roberto recchioni Recensioni
Dunque, a seconda di che tipo di spettatore siete, potreste percepire questo Boy Kills World di Moritz Mohr, in maniera diversa: se fate parte di quel pubblico un poco casual che intercetta le pellicole un poco come vengono, magari facendosi un’idea solo dal poster o dal trailer, allora è probabile che penserete che il film è solamente uno dei tanti action a base di arti marziali e sparatorie, tornati abbastanza di moda dal successo di The Raid e John Wick in poi, senza divi particolarmente famosi e dalle ambizioni modeste. Se foste, invece, parte di un gruppo di spettatori più interessati e consapevoli, è probabile che ascrivereste il film a quella specifica ondata di opere post-moderne, piene di riferimenti e strizzate d’occhio alla cultura pop (specie quella legata ai videogame e agli anni ottanta) e fortemente ironiche: quei tipi di film che si sentono fighi perché fanno finta di essere b-movie ma che sono intimamente convinti di essere molto superiori al tipo di film che omaggiano-parodiano: titoli come Kung Fury, Turbo Kid, Commando Ninja, Hobo with a Shotgun, Sky Captain and the World of Tomorrow, Iron Sky e via dicendo, insomma.
In entrambi i casi, non avreste torto perché Boy Kills World è in effetti entrambe le cose: è un film di arti marziali e pistole che si muove pienamente nel segno della new wave dell’action americano, aperta da autori come Gareth Evans, Chad Stahelski e Derek Kolstad. E, senza alcun dubbio, è un film che gioca con la cultura pop degli anni ottanta e novanta, con particolare attenzione ai videogame del periodo, continuando a strizzare l’occhio e a dare di gomito ai suoi spettatori, tutti sagaci e consapevoli come gli sceneggiatori e il regista.
Però è anche (e un poco sorprendentemente) anche un’altra cosa: un bel film, più complesso, stratificato e originale di quanto appare, con un buon budget a disposizione, delle scene d’azione nettamente sopra la media, alcuni momenti davvero spassosi, un paio di approfondimenti drammatici non trascurabili, ottime interpretazioni, una bella regia, una buonissima fotografia e, in generale, una scrittura non così scontata.
La storia in due righe: un ragazzo senza nome, addestrato come un’arma da uno sciamano dei boschi, vuole vendicare la sua famiglia, uccisa dalla spietata dittatrice di in un mondo distopico.
La trama di un qualsiasi action degli anni ottanta o di un picchiaduro generico, insomma, che però riserva qualche interessante sorpresa negli sviluppi e che, sopratutto, è declinata in maniera piuttosto interessante grazie all’uso di una voce narrante (espediente che di solito odio) molto brillante. Ora, capiamoci, i primi dieci minuti di film, se siete allergici alle opere fighette e post-moderne, sono difficili da digerire, ma poi il film fa emergere la sua vera voce e all’infinita serie di rimandi alla cultura pop, associa degli elementi che lo elevano ben sopra la media: le scene action non solo sono ben girate e ben eseguite (ma quando tra gli interpreti c’è il Yayan Ruhian di The Raid, la cosa è quasi scontata) ma sono anche nettamente più violente e sanguinose della media, i momenti umoristici funzionano sempre molto bene e c’è una gag in particolare che è assolutamente irresistibile (non ve la spoilero), il cast è un grande spolvero, a cominciare da una Famke Janssen a cui non pare vero di non essere coinvolta nell’ennesimo film di serie Z, passando per un Brett Gelman che brilla con particolare intensità nel ruolo più sfumato e complesso del film, per una Michelle Dockery che si diverte ad andare sopra le righe per una volta nella vita, per un sempre fantastico e respingente Sharlto Copley, fino a un Bill Skarsgård, tirato come una corda di violino, preparatissimo nei suoi stunt e straordinario nel portare a schermo i sentimenti di un personaggio muto come Link di Zelda (cosa che fa davvero ben sperare per il prossimo film del Corvo, di cui sarà protagonista) e, infine, c’è lo scritp, che più procede, più trova raffinatezza e spessore, consegnandoci alla fine un film che sembra una cosa ma che, in realtà, è ben altro. A conti fatti, l’opera che più mi pare vicina a questo Boy Kills World non è il terribile e fastidioso Kung Fury quanto il fantastico Scott Pilgrim vs. the World di Edgar Wright, con cui condivide il solo apparente approccio leggero e pop.
Insomma, il consiglio è di non fermarvi alle apparenze e di guardare Boy Kills World non tanto perché il personaggio è vestito come un personaggio di Contra, o di Fatal Fury, o di Double Dragon, quanto perché è un grande film di azione ed arti marziali, che ha delle cose da dire e le dice benissimo.
E segnatevi il nome del regista perché questo diventerà qualcuno.