Cinema roberto recchioni Recensioni
Zack Snyder è uno di quei registi che devi giustificarti se non ne parli male.
L’altro campione di questa sfortunata categoria è Michael Bay.
Se non dici peste e corna di questi due, ti strappano il tesserino immaginario del club dei critici che ne capiscono, lo imburrano e te lo fanno mangiare, a meno che tu non ti ravveda e abiuri questi due registi che, stranamente, lavorano da decenni, ai massimi livelli, solitamente con budget faraonici, andando sempre bene o molto bene al botteghino.
Sul serio, se volete far parte dei giusti, dovete parlare bene di qualsiasi produzione A24 (che sta dietro a tantissimi grandi titoli che amo io per primo, ma che ha anche realizzato un normale numero di film brutti, come tutti) e dovete aver passato una parte del vostro tempo a criticare aspramente Bay e Snyder, deridendo la loro estetica e stilemi visivi, il loro gusto, il loro stile, arrivando persino a dire che “non sanno girare”. Se poi, nelle vostre tirate, userete anche qualche parola chiave come “fumettone” o “americanata” o qualche concetto come “buco di sceneggiatura”, allora sarete davvero gente che sa dove sta l’asciugamano (per citare il buon Douglas Adams).
Detto questo, a me Snyder piace.
Non sono un fan e mi piace molto meno di Bay (che ritengo un maestro assoluto e per cui sono pronto a battermi a duello con chiunque, scrivetemi in privato per fissare luogo e ora) ma non ho per nulla un’opinione negativa sul lavoro del regista di 300, seppure con con moltissimi distinguo da fare.
Gli riconosco, per esempio, un occhio-cinema raro e distintivo, una grande capacità di creare immagini estremamente evocative, una certa capacità di portare a schermo l’azione, una buona gestione dello spazio, e capacità tecniche molto, molto, alte. Poi c’è la sua poetica distorta, il suo bizzarro senso del mito, il suo disinteresse per lo script, la sua cronica incapacità di creare personaggi empaticamente rilevanti, i suoi tradizionali problemi di ritmo e una certa tendenza a credere che la ruota quadrata non sia stata inventata non perché è una pessima idea che non funziona, ma perché nessuno prima di lui (che è un genio) ci aveva mai pensato prima.
In senso assoluto, credo che Snyder abbia una voce sua e solo sua, che lo distingue dalla massa di validissimi mesterianti che popolano le produzioni blockbuster del cinema americano. Che è, in sostanza, un autore e che faccia cinema d’autore (anche se incredibilmente costoso e rivolto al mercato di massa) con tutti gli estremi e gli eccessi, in positivo e in negativo, che questa cosa comporta.
E la prima parte di Rebel Moon mi è abbastanza piaciuta, pur con tutti i limiti che un’operazione come quella voluta da Snyder ha comportato.
E, sorpresa, sorpresa, questa seconda parte mi è parsa anche migliore, più a fuoco nel portare in scena una storia molto semplice (a conti fatti è, semplicemente, il terzo atto de I sette samurai e de I magnifici sette, solamente spostato in una galassia lontana, lontana), meglio diretta nel suo complesso e con più idee visive (e già nel primo, se c’è una cosa che non mancava, erano le idee di regia), con soluzioni più personali e ricercate, con effetti migliori e con un andamento più coeso e funzionale.
Di fatto, si tratta solo del racconto di un singolo scontro, preceduto da una sorta di lungo prologo dedicato alla preparazione del campo di battaglia e a (ri)presentarci i non proprio indimenticabili protagonisti e con in coda uno striminzito epilogo, necessario per fare da volano ai capitoli successivi (se ci saranno: ho qualche dubbio). In mezzo, c’è solo l’azione e la sua spettacolare resa visiva, che è la cosa che a Snyder viene meglio. Quindi, visto che ho già detto che Snyder mi piace, come potrebbe non piacermi un film dove il regista impiega gran parte delle sue energie nel fare quello in cui è un campione? Certo, se i personaggi fossero anche solo vagamente più simpatici, significativi e interessanti, magari avrei apprezzato di più le singole scene di flashback dedicate a ognuno di essi (comunque bellissime e visionarie, a vedersi). Alla stessa maniera, se la storia fosse stata meno scontata e io avessi creduto appena un poco di più al mondo raccontato e ai suoi drammi, forse la scena della mietitura del grano (un bel Kodak moment di quelli che pigliano a Snyder quando si convince di essere Terrence Malick) avrebbe avuto un ben diverso impatto emotivo. Ma, a conti fatti, non penso che questa roba infici più di tanto la qualità di un film che non trova il suo senso nella storia, nel mondo, nei personaggi o nelle emozioni, quanto nella figaggine eccessiva dei raggi al plasma delle armi portate in scena.
Quindi, a parer mio, Rebel Moon – Parte 2: la sfregiatrice, è una pellicola sensibilmente migliore del suo primo capitolo non perché lavora meglio sulle cose che nella parte precedente funzionavano poco, ma perché, semplicemente, le toglie di scena.
Semplificando il suo cinema fino all’osso, Snyder riesce a consegnarci una pellicola in cui c’è solamente il lato buono del suo cinema e manca tutto il resto. Che, purtroppo, sono la storia, i personaggi, i dialoghi, il senso e i sentimenti… ma poco conta, mica si può aver tutto, no?
Certe volte, è bello anche solo vedere il mondo bruciare, e come lo brucia Snyder, pochi altri.