Cinema roberto recchioni Recensioni
La storia del franchise di Omen (Il presagio da noi) non è troppo complicata da spiegare: nel 1973, il cinema americano venne sorpreso e travolto dal successo mondiale dell’Esorcista di William Friedkin, prodotto da Warner e basato sul romanzo di William Peter Blatty e la 20th Century Fox disse: “facciamolo anche noi!”.
Tre anni dopo, nel 1976, uscì The Omen. Nel concepire il film, lo studios replicò esattamente gli stessi meccanismi del capolavoro del regista del Braccio violento della legge: una storia serissima che coinvolgesse tanto la chiesa quanto il diavolo, una vecchia star di classe (Gregory Peck in questo caso, a prendere il posto di Max Von Sydow), un bambino inquietante, un’atmosfera sinistra e oppressiva, un regista giovane ma solido e ruvido, a conferire alla pellicola il realismo necessario che, in quegli anni, era diventata la regola per il nuovo cinema americano, un finale amarissimo. Ed esattamente come successo all’Esorcista, anche Omen trovò un enorme successo, che giustificò la realizzazione di alcuni sequel.
Purtroppo, in quegli anni, a parte qualche nobilissima eccezione (la saga del Padrino) il concetto di sequel era indissolubilmente legato a quello di opere secondarie, utili per mungere la vacca fino a quando dava del latte ma non certo pensate per preservare la qualità e il valore di una proprietà intellettuale. Così, esattamente come capitato all’Esorcista, anche Omen ebbe la sua razione di sequel, sempre meno ambiziosi, sempre più piccoli, sempre più insignificanti, fino all’estinguersi dell’interesse da parte del pubblico.
Vennero realizzati due sequel diretti e abbastanza ravvicinati, Damien: Omen II (La maledizione di Damien, in Italia) del 1978, e The Final Conflict (Conflitto finale) del 1981. Poi, nel 1991, il film per la televisione Omen IV: The Awakening (Omen IV – Presagio infernale) e, nel 2006, un debole e subito dimenticato tentativo di remake intitolato, semplicemente, The Omen (Omen – Il presagio, dalle nostre parti). Poi il franchise è stato messo nel freezer, in attesa di tempi migliori. Quando, nel 2023, la Blumhouse ha resuscitato la saga dell’Esorcista con il discutibilissimo The Exorcist: Believer (L’Esorcista: il credente), la 20th Century Fox si è detta: “facciamolo anche noi!”. Poi però ha aggiunto: “Ma facciamolo meglio!”. E c’è riuscita.
Perché, ve lo anticipo, The First Omen (Omen – L’origine del presagio) è il miglior capitolo della serie, dopo quello originale.
A differenza del nuovo film dell’Esorcista, il nuovo Omen non è un sequel diretto del primo capitolo ma un prequel e la sua storia prende avvio pochi mesi prima della nascita di Demian, l’Anticristo, raccontando proprio gli eventi che porteranno a quella natività in nero (per citare i Black Sabbath). Il film, quindi, si ambienta in Italia e subito arriva la prima sorpresa: perché la ricostruzione storica del nostro paese negli anni settanta è assolutamente valida, accurata, e lontana dai luoghi comuni tipici delle produzioni americane che raccontano il bel paese.
A dirla tutta, è una rappresentazione migliore anche di tantissimi film italiani che portano in scena quel preciso momento italiano, scosso dalle rivolte studentesche e operaie, dal terrorismo rosso e nero e dalla violenza della polizia. Tutti elementi che il film racconta (anche bene) e che mette in relazione con la trama della pellicola (non è una cosa scontata). La seconda sorpresa del film è la sua violenza, il suo gore e i numerosi momenti di body horror che vengono mostrati con molto coraggio e spietatezza. Non è un film per stomaci deboli, insomma, il che è assolutamente un bene perché di piccoli horror addomesticati e spaventati da un visto censura favorevole ce ne sono ancora sin troppi. La terza sorpresa è che questo prequel riesce a ricatturare l’atmosfera particolarmente pesante, sinistra e opprimente del capitolo originale, limandone nel contempo gli elementi meno riusciti (tutta la deriva fantasy-cristologica legata ai sette pugnali e via dicendo).
Il tutto è merito di una buonissima storia (di Ben Jacoby) che si tiene sul semplice ma mette in scena tutto quelle che serve e qualcosa di più, di una sceneggiatura solida (la lista dei nomi coinvolti in fase di scrittura è troppo lunga, perdonatemi) e, soprattutto, della mano felicissima alla regia di Arkasha Stevenson (qui al suo esordio cinematografico ma che potreste conoscere per il primo episodio della serie Brand New Cherry Flavor). Menzione speciale per il produttore David S. Goyer che ha difeso l’integrità del film con le unghie e con i denti (e si vede).
Buona la colonna sonora, interessante il lavoro fatto sul sound design e molto valido il reparto attoriale, con Charles Dance, Bill Nighy e Sônia Braga a fare i cavalli di razza ma, sopratutto, con una straordinaria Nell Tiger Free (tenetela d’occhio, non è appariscente ma diventerà qualcuno) a caricarsi sulle spalle il peso di un film che la vede come protagonista assoluta, presente a schermo dall’inizio alla fine.
Insomma, per farla breve, questo nuovo Omen è una grande ripartenza per il frachise (e lo script si opera per dare modo alla storia di dipanarsi oltre le rotte che già conosciamo) che ha forse l’unico difetto di essere un prequel sin troppo rispettoso del materiale originale e quindi risultare, un poco prevedibile nello svolgimento perché, come dire, “la fine è nota”.
Consigliato a chiunque è alla ricerca di un horror serio, disturbante, cupo e violento.
Sconsigliato a chi non sopporta il body horror e ha il terrore delle suore inquietanti.