Una volta tanto le promesse sono state mantenute. Prime Video con Fallout spezza quell’incantesimo che l’aveva vista in questi anni raccogliere oggettivamente pochino quando si trattata di serie o cinema di ambito fantascientifico. Lisa Joy e Jonathan Nolan ci regalano qualcosa che piacerà sicuramente ai fan della serie videoludica così come al pubblico meno edotto ma comunque desideroso di una serie di alta qualità.
Fallout ci porta approssimativamente nel 2170 e rotti, in una realtà alternativa, la Terra è ridotta ad una sorta di inospitale deserto sulla cui superficie, ciò che resta dell’umanità cerca come può di sopravvivere. La causa di tutto è una Guerra Nucleare, scoppiata 219 anni prima. “Tuttavia l’umanità era sopravvissuta” (citazione non per pochi) non solo all’aperto, abbracciando una sorta di medioevo-western steampunk, ma anche sottoterra. Nei numerosi bunker sotterranei costruiti dalla Vault, diverse comunità cercano un equilibrio esistenziale che pare un mix tra Gli Antenati e il corpo dei Boy Scouts. In uno di questi vive Lucy MacLean (Ella Purnell), figlia del capo del Vault 33. Quando vengono attaccati da dei predoni, per riportare il padre Hank (Kyle MacLachlan) a casa lascerà la comunità che, come scoprirà suo fratello Norm, (Moisés Arias) nasconde diversi scheletri negli armadi. Contemporaneamente, in superficie, La Confraternita d’Acciaio, setta tecno-religiosa di esaltati, ha nello scudiero Maximus (Aaron Moten) un diverso dalla norma che scoprirà quanto diversa sia la realtà da come ha sempre pensato. Il tutto mentre dal lontano passato della civiltà perduta, avanza inesorabile e semi-cadaverico il cacciatore di taglie Cooper Howard (Walton Goggins), sorta di fossile vivente testimone dell’Olocausto Nucleare. Fallout prodotta da Geneva Robertson-Dworet e Graham Wagner, è una serie con una grande ambizione, a cui fa accompagnamento una cura a livello di sceneggiatura, maestranze e regia a dir poco ammirevole. Fin dal primo episodio la fedeltà visiva e semantica alla saga videoludica creata da Interplay Entertainment a fine anni ’90 si lega ad una chiara visione d’insieme, con cui portare il pubblico generalista dentro un mondo capace di essere ad un tempo familiare ma anche sorprendente ed innovativo. Il tutto mentre ci arriva una sorprendente avventura con continue citazioni a grandi caposaldi dello sci-fi, del fantasy e naturalmente de western.
Fallout beneficia fin dall’inizio di un tono in cui il black humor domina decostruendo la seriosità e sacralità del genere, ma non completamente. In realtà è solo apparenza, perché il tono è dannatamente serio pur se diluito appena ve ne sia l’occasione. La narrazione episodio dopo episodio vede la Lucy della Purnell prendersi il ruolo più importante, nella sua metamorfosi da ragazza ignara della realtà al di fuori del suo piccolo mondo, a donna fatta e finita costretta a misurarsi con ogni genere di pericolo. Una sorta simile, ma declinata in modo diverso, spetta al Maximus di Moten, sorta di parodia dei vari Mad Max e simili, del concetto di salvatore in un futuro fatto di empietà e caos. Quel caos ha il volto di Walton Goggins, il miglior character actor della sua generazione, che qui si lascia andare ad una performance istrionica a metà tra il recupero dei personaggi della filmografia di Sergio Leone ma è anche la porta principale per i significati politici più audaci di Fallout. Il continuo spaziare tra passato e presente, diventa una strada con cui la serie mette alla berlina la società americana in toto. Si va dal clima maccartistico e psicotico da accerchiamento dell’America anni ’50, terrorizzata dal comunismo, a quei Vault, dentro cui si mette in mostra il volto integralista, bigotto, religiosamente ipocrita di tanti segmenti che compongono l’american dream. Goggins appare come villain, ma in realtà è più un anti-eroe a metà tra Leone e Tarantino, ma soprattutto il volto di una resa dei conti non da nulla. I Vault, la Confraternita d’Acciaio, le mille strane creature e sette di predoni, non sono altro che il volto di una fede assolutistica nel leader e nel “sistema”, in una società dove non esistono domande o dubbi ma solo ubbidire ciecamente. Tutto questo però è inserito in un iter narrativo avventuroso di grande respiro e di grande impatto visivo, per quanto ovviamente un po’ scolastico come caratterizzazione dei singoli personaggi. Ma Fallout ha così tanta fantasia, ironia, così tanta anche cura dell’aspetto scenografico e del world building, che questo aspetto passa in sordina, mentre guardiamo questa ucronia, questo mix tra retrofuturismo e steampunk così familiare, che in certi momenti pare quasi di guardarsi allo specchio. Ed è in quell’istante che un brivido ci corre lungo la schiena.