Cinema

Dev Patel e quell’eroe action che è cambiato totalmente

Pubblicato il 04 aprile 2024 di Giulio Zoppello

Monkey Man per Dev Patel è una scommessa non da nulla, visto il suo ruolo anche di produttore, regista e sceneggiatore di un action scatenato, adrenalinico, in linea con i dettami di ciò che è diventato il genere oggi. Oriente e Occidente si sono incontrati a metà, hanno unito varie componenti ed ideologie, hanno saputo creare personaggi in grado di trascendere i cliché e assieme elevarli, di fare della fisicità il trait d’union e la maggior qualità di uomini simili eppure diversi, in cui risplende l’eredità dei divi del passato.

Dalle praterie ai vicoli, inseguendo il mito dell’eroe solitario

Monkey Man di fatto è un altro concentrato di adrenalina, ma anche una metafora di quella diseguaglianza sociale, che ancora oggi è una piaga in India. Il Kid di Dev Patel è una sorta di incrocio tra Robin Hood, Bruce Lee e i tanti ammazzasette che da decenni sul piccolo e grande schermo raddrizzano torti e esercitano giustizia sommaria. Dare uno sguardo a come l’eroe dell’action si è evoluto nei nostri giorni, significa bene o male anche fare i conti con un percorso lungo decenni, durante il quale la figura dell’eroe action si è spostata verso l’antieroe, addirittura verso il villain in cerca di redenzione. Fare una mappa è cosa impossibile? Non proprio. C’è un legame innegabile tra il western e l’eroe action, non fosse altro perché è nato prima Tom Mix di tutti gli altri. Alan Ladd è stato il grande padre di tutti gli eroi action, che bene o male dello Straniero Senza Nome hanno spesso ripreso iter e caratteristiche. Il suo Il Cavaliere della Valle Solitaria è un pilastro del cinema per topoi e significati. L’era del gangsterismo però, donò alla fantasia popolare altri miti, sempre al western connessi. C’erano stati i Fratelli James, Billy The Kid, Butch Cassidy e Sundance Kid, che il cinema della Golden Age ritrasse spesso benevolmente, non andò in modo diverso con Al Capone, Joe Dillinger e soci. Ma è stato il grande Humprey Bogart in decine di pellicole a rendere unico il percorso di canaglie votate al riscatto, perdenti malinconici ma indomiti. I carcerati di San Quentin così come i poliziotti di ogni Stato, gli mandarono lettere ammirate per quanto fosse realistica e assieme epica la sua capacità di personificarli. Dopo di lui, nulla fu più lo stesso, le città diventarono le nuove praterie, il trench coat sostituì lo stetson dei cowboys. Qualcosa che persino la grande cinematografia francese avrebbe ripreso in modo tanto elegante quanto iconico.

Tra eleganza e adrenalina, trasformazione ed evoluzione

Le Samourai di Jean-Pierre Melville, data 1967, ha avuto un peso pareggiato solo da Bruce Lee nel ridisegnare l’identità dell’eroe action. Dalla saga di John Wick ai personaggi che John Woo ha reso leggenda sulle fattezze di Chow Yun Fat, dall’ispettore Callaghan di Eastwood fino ai duri di Charles Bronson, tutto dipende o da uno o dall’altro. Spesso, come nella saga di Stahelski, sono un ibrido in cui la disciplina più totale, il perfezionismo più maniacale legato ad un codice rituale sacro, si accompagna alla capacità di essere la morte nelle sue forme più incredibili e adrenaliniche. Caos e ordine, immobilità e velocità, gli eroi action devono essere entrambi, sempre seguendo il famoso iter di equilibrio-squilibrio-equilibrio. Sulla scia di Bruce Lee e del suo alter ego Sonny Chiba (che portò la violenza a livelli inediti), abbiamo poi avuto ammazzasette che hanno permesso ad attori mediocri come Jean-Claude Van Damme, Steven Seagal, Dolph Lundgren di diventare idoli generazionali. Intanto però l’action si univa spesso alla commedia, anche solo di striscio, con Jackie Chan, con i personaggi di Bruce Willis. A guardare gli ultimi anni, ancora una volta è stato l’Oriente a insegnarci qualcosa, non più da Hong Kong o con Takeshi Kitano e la sua rielaborazione dell’hard boiled, ma con l’Indonesia della saga di The Raid, la Thailandia di Tony Jaa, come risposta a quella virtualità gigantesca che aveva avuto in The Matrix delle Wachowski l’apice e assieme la negazione della trasversalità iconica del genere action. In mondo sempre più digitale, vogliamo respirare sangue, sudore, vogliamo eroi action feriti pur se incapaci di fermarsi. John Wick è il papà di Monkey Man, ma a sua volta è figlio di ciò che vi è stato prima. Il nuovo Furiosa speriamo sia all’altezza di Mad Max: Fury Road, a sua volta erede della saga di Interceptor. Nulla scompare, nulla nasce, tutto si trasforma nel cinema, ma mai come nell’action, che sceglie sempre una nuova pelle, nuovi volti e una nuova idea di sguardo e ritmo per manifestarsi.