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Drive-Away Dolls, la recensione del film di Ethan Coen

Pubblicato il 07 marzo 2024 di Lorenzo Pedrazzi

Se dobbiamo credere ai loro film solisti, Joel Coen ne esce come il fratello più serioso e riflessivo della coppia, mentre Ethan sembrerebbe il più buontempone. D’altra parte, il primo ci ha regalato un’affascinante rilettura metafisica del Macbeth, mentre il secondo ha diretto lo spassoso Drive-Away Dolls, forse più vicino al registro consueto del loro cinema (seppure condotto alle estreme conseguenze). La differenza, in effetti, è che Ethan Coen ha scritto la sceneggiatura con sua moglie Tricia Cook – l’idea risale addirittura ai primi anni Duemila – e la queerness che ne deriva è una ventata d’aria fresca per il regista americano, come pure i suoi riferimenti cinematografici.

Siamo nel 1999, a Philadelphia. Jamie (Margaret Qualley) diventa improvvisamente single quando la sua fidanzata Sukie (Beanie Feldstein) ne scopre i molteplici tradimenti. L’amica Marian (Geraldine Viswanathan) è invece il suo opposto: non ha una relazione da più di tre anni, e piange ancora un amore perduto. Consapevole della sua frustrazione, decide di andare a Tallahassee per far visita a una zia, lasciandosi alle spalle lo stress del lavoro e della città. Jamie, che ha bisogno di cambiare aria, è ben lieta di accompagnarla. Si rivolgono quindi a un servizio di drive-away, che fornisce automobili gratis a chiunque sia disposto a portarle in una determinata città. Guarda caso, ce n’è una che deve andare proprio a Tallahassee… ma il bagagliaio contiene due misteriosi articoli cui dà la caccia una stramba coppia di sicari, e le ragazze si ritrovano al centro di un intrigo che coinvolge figure molto potenti.

Insomma, l’impasto di thriller e commedia rimanda ai classici dei fratelli Coen, con i tratti ricorrenti della loro poetica: personaggi bizzarri, dialoghi al fulmicotone, situazioni stranianti, sublimazione della violenza in un grottesco stilizzato e surreale. Ethan preme però sugli elementi caricaturali, al punto che Drive-Away Dolls assume un tono quasi cartoonesco, come dimostrano sia il lavoro sugli effetti sonori sia il montaggio della stessa Tricia Cook. Le transizioni fra una scena e l’altra sono molto giocose, allineate a un’opera felicemente sopra le righe, dove persino il marcato accento texano di Margaret Qualley ha un’aria stralunata.

Una gradita variazione rispetto a molte storie lesbo recenti, spesso intrise di una drammaticità che sfiora il sadismo. Al contrario, Drive-Away Dolls è un’avventura che non si prende sul serio, ilare e piena di libertà. Il copione ci trascina via con le sue battute scoppiettanti, svelando per gradi il punto centrale del film: la valigetta nascosta nel bagagliaio dell’auto è solo un MacGuffin, oppure svolge un ruolo effettivo nella trama? Ethan Coen verrà accusato di imporre un punto di vista troppo maschile, e per certi aspetti è vero, ma il “fallocentrismo” di Drive-Away Dolls è funzionale alla satira di una cultura reazionaria e maschilista che idolatra i propri attributi come reliquie. Le gesta di Marian e Jamie non fanno altro che demistificarli, privandoli della loro supposta unicità e preziosità. Non a caso, una dedica sui titoli di coda ricorda Cynthia Plaster Caster, scomparsa nel 2022: il motivo non è difficile da capire.

L’impressione è di assistere a un film d’altri tempi, con una durata da exploitation (uno degli ovvi riferimenti è Faster, Pussycat! Kill! Kill! di Russ Meyer) e il piglio romantico di cult lesbo come Go Fish e Gonne al bivio. La storia peraltro getta un ponte tra il 1999 e gli anni Sessanta, rievocati attraverso variopinti segmenti lisergici che ospitano un prestigioso cameo. Da un lato si parodia la Summer of Love con i suoi cliché, dall’altro si fa una ricostruzione non stereotipata della fine del millennio, optando per il naturalismo in luogo dell’artificiosità; e il merito è anche delle scelte musicali non scontate, come i brani di Funkadelic, Linda Ronstadt e Diana Krall. Ci si diverte parecchio, ma mai a scapito delle guascone protagoniste.

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