All’inizio di Past Lives c’è una scena che pare completamente avulsa dal resto del film. Nora (Greta Lee) è seduta fra Arthur (John Magaro) e Hae Sung (Teo Yoo) al bancone di un bar, ma l’inquadratura in campo totale suggerisce un punto di vista esterno: non a caso, sentiamo in sottofondo le voci di una coppia che osserva i personaggi, chiedendosi quali siano i rapporti fra loro. Una donna asiatica con il marito occidentale e il fratello? Una coppia asiatica con un amico americano? Avvicinandosi, l’inquadratura stringe lentamente su Nora, che all’improvviso si gira e guarda in macchina, ci fissa negli occhi: sa che ci stiamo facendo le stesse domande, proprio come l’ignota coppia di osservatori.
La regista Celine Song è ben consapevole di quanto il pubblico sia per lo più tradizionalista, e nutra curiosità verso tutto ciò che esula dalla “media”, sia esso un amore interrazziale o poligamo. Tale avvio in medias res mette a nudo proprio l’interesse morboso dello spettatore, che non vede l’ora di scoprire la verità dietro quel trio. Prima, però, bisogna fare un salto indietro nel tempo fino all’anno 2000, quando la dodicenne Na Young (Seung Ah Moon) e il coetaneo Hae Sung (Seun Min Yim) sono compagni di classe a Seul, in Corea del Sud. È chiaro che provano qualcosa l’una per l’altro, ma Na Young sta per trasferirsi in Canada con i genitori, e i due si perdono di vista per 12 anni.
Nel 2012, Na Young è una giovane scrittrice che vive a New York City, e ha modificato il suo nome in Nora. Intanto, Hae Sung ha appena finito il servizio militare in Corea, e sta cercando la sua vecchia amica su Facebook senza sapere che ha cambiato nome. Lascia quindi un messaggio sulla pagina ufficiale del padre, che è un regista piuttosto noto, e Nora lo viene a sapere. I due cominciano a sentirsi tramite videochiamata, ma la distanza è frustrante per la ragazza, che decide di sospendere i contatti nonostante la palese attrazione fra loro. Durante un ritiro per scrittori, Nora conosce Arthur, e dodici anni dopo li ritroviamo sposati a New York. È a quel punto che Hae Sung, divenuto nel frattempo ingegnere, si rifà vivo con Nora e va negli Stati Uniti per incontrarla, riportando a galla i vecchi sentimenti.
Dietro Past Lives si cela un’urgenza che può nascere solo da un vissuto personale, e infatti Celine Song attinge alla sua stessa vicenda di amore ed emigrazione per questo folgorante esordio cinematografico. Nora è il suo doppio sotto ogni aspetto: come quest’ultima, Song si è trasferita con i genitori in Canada quando aveva 12 anni, ha intrapreso la carriera di drammaturga a New York, si è sposata con uno scrittore americano e ha vissuto un triangolo amoroso molto simile. È anche per questo che il film suona così autentico nel raccontare la delicatezza di un amore inespresso, materia impalpabile e quindi complessa da trattare. Song sa bene che, per farlo, deve lavorare soprattutto sui silenzi, sui non detti, sui “vuoti” più che sui “pieni”. E infatti, nei dialoghi tra Nora e Hae Sung assume più importanza ciò che i due personaggi non dicono, ovvero tutto quello che si ferma un attimo prima di affiorare in superficie.
Così, Past Lives riesce a mettere per immagini una delle sensazioni più sfuggenti in assoluto: quel vuoto che proviamo tutti quando ripensiamo a un amore perduto o mancato, rimasto in potenza. Sia Nora sia Hae Sung sono perseguitati da un’assenza irrisolvibile, capace di influenzare persino l’ambiente esterno, come si vede nelle inquadrature dolenti che Song dedica a New York e Seul (spesso al tramonto). L’eleganza della regia si rispecchia nel passo contemplativo della narrazione, nello spazio che lascia ai piccoli imbarazzi di un dialogo tra innamorati, ma anche nella sensibilità con cui ritrae ogni componente del trio. È evidente che l’autrice prova un enorme affetto sia per Hae Sung sia per Arthur, immagini riflesse dei suoi veri amori: il copione suggerisce tanto la solitudine del ragazzo coreano quanto la toccante discrezione di Arthur, che accoglie la sofferenza di Nora senza rancore né giudizi. «Sogni in una lingua che non posso capire, è come se ci fosse un luogo in cui non posso andare» dice l’uomo alla moglie, preoccupato di non essere abbastanza per lei, e di non poterla raggiungere in ogni anfratto del suo mondo segreto. «Rendi la mia vita molto più grande, e a volte mi chiedo se anche io lo faccio per te.»
I tre personaggi sono quindi costretti a riconoscere un’amara verità: talvolta i sentimenti prendono direzioni che la vita non può seguire. La parola in-yun, citata da Nora nel film, è espressione di questa consapevolezza. In coreano, in-yun significa “provvidenza” o “destino”, ma si riferisce nello specifico ai rapporti tra le persone e alla reincarnazione. È quella connessione che si riverbera potenzialmente all’infinito da una vita all’altra, ma che non sempre si esprime nel pieno di un legame romantico. Past Lives, insomma, rievoca un’idea antica per mettere in scena l’amore nei nostri tempi, dipendente da una tecnologia che in teoria ci avvicina, divora le distanze, ma nei fatti genera anche frustrazione e impedisce di elaborare la perdita. Eppure, l’in-yun ritorna nell’intuizione finale di Hae Sung, che ribalta completamente la prospettiva di una storia senza speranza. Ciò che ne risulta è un film davvero stupendo, capace di rinnovare il melò alla luce di un’epoca confusa e frammentata, dove l’amore stesso è destinato a parcellizzarsi. Senza per questo perdere la sua viscerale intensità.