Dune torna in sala il 28 febbraio con il secondo episodio diretto da Dennis Villeneuve, per la gioia di un vasto pubblico, che conta moltissimi tra i fan di ciò che Frank Herbert ci donò nel 1965. Dune però può vantare anche qualcosa di più della fantasia: la capacità di essere metafora della nostra Storia, quella fatta di potere, guerre, di uomini e donne capaci di cambiare il mondo, di deboli contro forti. Tutto si ripete, nulla è nuovo, ed Herbert questo lo sapeva benissimo, mentre creava quel mondo così differente eppur simile al nostro.
Con Dune Frank Herbert fin dall’inizio sposa una narrazione in cui verosimiglianza e fantasia vanno di pari passo, nel parlarci dell’anno 10.000, di una civiltà futura in cui la struttura portante si rifà alla storia antica, ai grandi imperi che hanno insanguinato e creato il mondo. Vi è una tecnologia che per quanto avanzata, si è ora legata al misticismo, ad una religiosità foriera di una rigidità esistenziale e politica estreme, dopo una guerra combattuta contro l’intelligenza artificiale. Meraviglie della tecnica convivono al fianco di lance e spade, viaggi tra pianeti sono fatti sotto l’effige di casate in lotta per la supremazia, ed in cui il concetto di vendetta, così come di onore, non possono che far ripensare al Giappone medioevale. Atreides, Harkonnen, la casa Corrino, nella mente di Herbert hanno molti più punti in comune con la storia extra europea di quanto si pensi, visto che non è tanto l’Impero romano, le complicate dinastie del Rinascimento italiano o la Guerra dei cent’anni a rivivere su Harrakis, quanto le diverse lotte che insanguinarono l’Islam fin dagli albori. Il legame con la storia araba è linguistico ma non solo, i fremen ricordano i beudini, le varie popolazioni mediorientali e fedeli al Profeta che ressero l’urto della colonizzazione europea. Viene chiamato in causa anche il Mahdi, figura centrale nella storia e mitologia islamiche. La connessione tra ordini religiosi, gilde, classi mercantili e casate nobiliari, a molti parve richiamare il periodo delle guerre civili inglesi, così come quello della Rivoluzione francese, entrambi eventi che cambiarono profondamente la visione dello Stato e delle sue componenti. Ma ecco che anche legami con l’Impero persiano, conquistato da Alessandro il Grande, si fanno evidenti, con l’eccesso di confidenza dei discendenti di Ciro il Grande che costò la sopravvivenza stessa della loro casata, contro un nemico che consideravano (così come lo sono i fremen) inferiore per nascita e cultura. Ma è anche nei vari protagonisti, in particolare in lui, Paul Atreides, che Dune ancora si connette alla Storia, a chi l’ha forgiata e influenzata più di tutti, a figure che ancora oggi sono leggendarie al di là del bene e del male.
Paul in sé racchiude l’iter di tanti uomini che hanno plasmato la storia confrontandosi con culture e genti diverse. Le connessioni più evidenti sono con Alessandro Magno, con Lawrence d’Arabia, e ancor di più e forte la connessione con quel Gengis Khan, che come Paul ebbe il padre assassinato da una congiura ordita da nemici infidi e sprezzanti di ogni codice. Come Gengis, anche Paul conoscerà fuga, paura, insanguinerà il mondo dando alla propria crociata per la conquista, una connotazione sacra, in cui i crani dei nemici diventavano tributi ad una grandezza tellurica e religiosa, ma ancor più ad una totale rivoluzione del mondo allora conosciuto. Dune ci propone un universo dove la crudeltà è un mezzo utilizzato da tutti, anche dai protagonisti, così come la menzogna, la manipolazione e la mancanza di lealtà. La stessa concezione della casa Corrino di fatto, richiama alla mente persiano certo, ma la sensazione forte di un qualcosa di marcio e di decadente a dispetto di potenza e gloria passate, non può non aver avuto origine anche in ciò che capitò all’Impero romano, a quello bizantino e anche all’Impero Ottomano. Sultani, imperatori, uomini buoni o cattivi, lì salivano solo per cadere, l’esercito e lo Stato erano in totale sfacelo, con ordini religiosi che cominciavano a voler guidare dall’interno il sistema di potere temporale. Se pensiamo anche solamente ai Sardaukar, in loro non è possibile non scorgere ciò che furono i giannizzeri, la guardia variaga, i pretoriani, gli stessi samurai. >Dune di fatto nelle mani di Frank Herbert diventa anche una metafora dell’occupazione che fallisce, la stessa che pochi anni fa ha visto gli Stati Uniti, l’impero dei nostri giorni, ritirarsi dai deserti di quell’Afghanistan, abitato da popolazioni che nei secoli, hanno respinto chiunque così come i fremen. Lo hanno fatto forti di un deserto in cui magari non ci sono i giganteschi vermi di Herbert, ma dove il clima e l’ambiente sono altrettanto spietati. Tra citazioni al ciclo arturiano, al mito greco, allora corposa visione profetica forte dei grandi monoteismi, Herbert ha mischiato la sua fantasia, la sua volontà di donarci un racconto che sentissimo ad un tempo familiare e anche sconosciuto. Perché in fin dei conti, anche l’uomo ama sentire bene o quasi sempre storie simili, in cui viene rappresentata la sua epopea, in tutta la sua drammatica ciclicità.
QUI trovate la nostra recensione di Dune – Parte Due
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