Cinema

Quattro Matrimoni e un Funerale: i trent’anni del simbolo della Cool Britannia

Pubblicato il 20 gennaio 2024 di Giulio Zoppello

Nessuno ci avrebbe scommesso su Quattro Matrimoni e un Funerale. Nessuno pensava che sarebbe diventato l’apripista di un intero filone che perdura ancora oggi, capace di fare del cinema inglese la patria della nuova commedia romantica. In quel 1994 scoprimmo anche lui, Hugh Grant, che poi avrebbe continuato per decenni assieme allo sceneggiatore Richard Curtis a dominare i sogni di milioni di donne, a diventare il protagonista di tanti figli e figliocci di ciò che fu questo film, il simbolo però anche della nuova Cool Britannia anni ’90.

Una nuova idea di commedia e un nuovo eroe romantico

Quattro Matrimoni e un Funerale rimane ancora oggi un momento topico e assolutamente imprescindibile nella storia del cinema. Vi sembra un’affermazione azzardata? Parliamone. Di fatto, quel film trent’anni fa apre dal punto di vista cinematografico, la stagione della Cool Britannia, l’epoca in cui il Regno Unito, appena uscito dal thatcherismo, torna a far risplendere gli stadi della nuova Premier League, domina le classifiche musicali con il suo pop, con il suo rock, scalza dal piedistallo il grunge americano, assorbe la botta del rap dei ghetti ma soprattutto, comincia a mostrare nei cinema qualcosa di diverso. Quel qualcosa si chiama Hugh Grant, premiato con il Golden Globe. Ha la faccia da bravo ragazzo un po’ fesso, un po’ ingenuo, di quelli che vengono travolti dalla vita, due occhioni azzurri e tante buone maniere. Quattro Matrimoni e un Funerale pur con un cast fantastico con Andie MacDowell, Kristin Scott Thomas, James Fleet, Simon Callow, John Hannah, Charlotte Coleman e il futuro “Mr Bean” Rowan Atkinson, ha avuto il grande merito soprattutto di farci scoprire lui, il futuro fidanzatino perfetto. Ma la realtà, è che Quattro Matrimoni e un Funerale ha stabilito uno standard, quello relativo alla commedia moderna, che poi sarebbe diventata soprattutto la commedia romantica inglese, il vero, grande, innovatore della narrazione cinematografica popolare degli anni ‘90. Di fatto il film di Mike Newell, pur senza fare a meno della ferocia, dell’umorismo più sboccato, è stato poi incorporato nella commedia di demenziale anche americana, quella che poi si è trasformata nella classica guerra delle coppie, che fino a un decennio fa, garantiva risultati enormi al botteghino e che ha fatto la fortuna di altre carriere: Owen Wilson, Matthew McConaughey, Jennifer Aniston. Ma tutto è partito da lì, da quell’Inghilterra che esce sonnacchiosa della sua periferia e dalla Lady di Ferro, da quella Londra che diventa Babilonia multiculturale, soprattutto multigenerazionale, che manda a quel paese l’ideale di vita borghese, classista che anche questa commedia mette alla berlina. Ed è in questa essenza, in questa disamina dell’ipocrisia della società anglosassone, che risiede ancora oggi il maggior fascino di questa farsa, nominata agli Oscar come Miglior Film e Miglior Sceneggiatura. L’inizio di un sodalizio tra Academy e Londra che avrebbe avuto in Shakespeare in Love l’immeritato esempio massimo.

La distruzione del maschio alpha e dei capisaldi della società british

Quattro Matrimoni e un Funerale ci parla di coppie che scoppiano e si accoppiano, prende il dramma borghese e lo fa diventare un circo impazzito, negli stessi anni in cui tra l’altro la monarchia inglese non è che se la passi proprio benissimo. C’è un profondissimo legame tra le vicissitudini di Carlo, Diana, la casata dei Windsor, con i vari scandali finanziari e sessuali e ciò che il giovane Charles vede attorno a sé, mentre insegue eternamente l’amore impossibile, mentre a tutti attorno a lui sembrano realizzare il sogno della loro vita, quella che lui non sa se vuole o se deve avere, eternamente indeciso. Di certo il personaggio cinematografico inglese più accattivante, credibile, più verosimile che quel decennio ci abbia dato, l’anti maschio alpha per definizione. Quattro Matrimoni e un Funerale in tutto questo riesce, al contrario di tante altre pellicole, a farci dimenticare che stiamo parlando bene o male di privilegiati. Le loro miserie sentimentali e umane sono così profonde, la loro vita è così disgraziata, votata ad una mancanza di felicità sempre dietro l’angolo, che i ricevimenti sfarzosi, i pacchiani abiti londinesi, passano in secondo piano. Ma soprattutto, questo film è anche una ferocissima disanima della società inglese, dell’apparenza, di quanto essa condizioni non solo come gli altri ci vedono, ma anche come noi vediamo noi stessi. Tutto questo ci arriva nella tragica morte di Gareth (Simon Callow), stroncato da un infarto, il cui funerale rimane non solo uno dei momenti più belli della cinematografia inglese di quegli anni, con la poesia recitata dal fidanzato Matthew (John Hannah) ma anche il primo, vero, manifestarsi della comunità LGBTQ in quell’Inghilterra che tanto a lungo li avevo ostracizzati e messi in un ghetto. Oltre a loro c’è anche David (David Bower) personaggio affetto da sordità. Mica poco per una commedia. Anche per questo, Quattro Matrimoni e un Funerale ha fatto la storia, bene o male diventò anche metafora di quella Terza Via, che avrebbe avuto in Tony Blair e gli altri pifferai magici. Lo stesso per Hugh Grant, da quel momento in poi divenuto prigioniero di quel genere, di quel personaggio, a dispetto della vita privata abbastanza burrascosa, del suo odiare profondamente quello stereotipo, di quanto volesse fare altro. Eppure, proprio sul finale, con chi troverà la sua metà, chi invece rimarrà da solo o da sola, c’è il suo grande lascito, quello di una commedia strepitosa perché capace di parlarci della vita, quella vera, che è diversa dai sogni, dalle canzoni, da tanti altri finali che il cinema ci ha dato, così stupidamente consolatori.