#ADV
L’1 febbraio arriva nelle sale italiane Argylle – La Superspia, ma soprattutto arriva Matthew Vaughn, uno di quelli che sono difficilissimi da leggere, da prevedere, un cineasta unico nel suo genere, che o si ama o si odia, ma che non lascia mai indifferenti. Presto per dire se questa comedy action dalle tinte pastello e fumettistiche sarà un asso pigliatutto, ma una cosa è certa: Vaughn non è un regista qualsiasi, la sua visione, il suo linguaggio, sono molto particolari e l’hanno reso uno da prendere sempre con le molle.
In principio fu Quentin Tarantino, o perlomeno lo fu per loro due: Guy Ritchie e Matthew Vaughn. L’anno è il 1998, esce Lock & Stock e l’anno dopo Snatch del suo partner in crime Guy Ritchie, ma c’è lui, Vaughn come produttore. Lo sarà anche per Travolti dal Destino, poi per altri registi del Regno Unito, sempre al servizio di quel mix tra comedy splapstick, demenziale, action movie e buddy movie che lui ama alla follia, così come ama inserirvi l’omaggio agli anni ’60 e ’70, alla pop culture agli albori. Qualcosa che non sempre gli ha portato fortuna sia chiaro, il suo è un pubblico particolare, ma certo Vaughn è uno che sa come accarezzare l’occhio del pubblico, come rendere l’azione motore di un divertimento che però, spesso nasconde anche altre atmosfere, molto più dark e seriose. The Pusher, per molti ad oggi il suo miglior film, fu molto più serioso di quanto la sua cinematografia in seguito sarebbe stata. Daniel Craig, nei panni di un piccolo signore della droga, si guadagnò lì probabilmente la sua chance come 007, ma fu soprattutto un grande crime, dove risplendeva lo stile dei maestri degli anni ’70, cupo, violento, ma non privo di una certa ironia, per quanto sotterranea. Nel 2007 scivola leggermente con Stardust, che meritava forse maggior fortuna, ma arrivò nel momento totalmente sbagliato, quando il fantasy era in discesa. Detto fatto, ecco che mentre Ritchie stupisce tutti con il suo Sherlock Holmes, con Rock N’ Rolla, lui prende e mette a segno una perla del cinema di genere come Kick-Ass. In quel film, Vaughn fa a pezzi e assieme elogia il supereroe per come la narrativa americana classica, da Spider-Man agli X-Men, da Batman a Superman, ce li aveva fatti conoscere, sovente come variazione del teen movie. Lì codifica ancora di più il suo stile violento, visivamente connesso a movimento a seguire, alla slow motion e all’accelerazione sincopata che avrà poi nella saga di Kingsman l’apogeo vero e definitivo, la sua forma più alta di espressività personale. Questo anche in virtù della sua grande abilità di sceneggiatore, una doppia identità che nel cinema di oggi va più che a sparire, a deperire qualitativamente.
Prima di Kingsman però, c’è X-Men – L’inizio, probabilmente uno dei più bei cinecomic di sempre e anche qui, Vaughn ci mette dentro gli anni ’70, il suo amore per il film corale ed il buddy movie. Ma dimostra anche come sa affrontare temi seri come vendetta, tradimento, solitudine, creando un perfetto mix tra l’identità della creatura di Stan Lee e la necessità di rinnovare il genere. Di fatto quel film aprirà la strada ad una nuova saga della Fox, capace di dare grandi soddisfazioni. Ma poi, ecco che arriva Kingsman, che unisce in sé la nuova fluidità dell’action orientale (Indonesia e Thailandia soprattutto), con il gioco della steadycam, creando una frattura nel genere spy movie. Vaughn prende James Bond, lo unisce con Tarantino, con ciò che il suo amico Ritchie ha fatto negli anni, poi ci ficca dentro quello che il fumetto era per Miller e per Eisner (visivamente) ed ecco che da quel frullato viene fuori l’action inglese del XXI secolo. I due seguiti sono stati anarchici, folli, spudorati e kitsch, ma anche capaci di donarci una Prima Guerra Mondiale orribile, una de-americanizzazione totale del genere, personaggi degni di ciò che Carpenter o Hill avevano fatto nel passato, ma nuovi come caratterizzazione estetica e situazionale. Gioca con la storia, da ex studente della materia, ma sa come sfruttarla e non come limitarne l’uso. Incredibilmente eccessivo, giocherellone oltre ogni pudore, a volte fin troppo narcisista con il suo cinema dell’assurdo reso normalità, Vaughn è stato capace con Kingsman di armonizzare anche l’adventure classico british, con la necessità di andare oltre i canoni di una narrazione individualista solo di maniera. In tutto questo, si ha avuto a volte l’impressione che per lui lo stile contasse più della sostanza, l’effetto più dell’equilibrio di trame cinematografiche in cui la comicità è stata talvolta involontaria e poco puntuale. Tuttavia, Argylle – La Superspia, ma soprattutto arriva Matthew Vaughn sembra promettere un’altra decostruzione di genere, un altro circo impazzito di personaggi con cui mettere alla berlina un genere, la spy story, che è e rimane quello inglese per eccellenza assieme al film in costume.
Argylle, la nuova spy story di Matthew Vaughn arriverà nelle sale italiane l’1 febbraio.
Nel cast troviamo Henry Cavill, Bryce Dallas Howard, Sam Rockwell, Bryan Cranston, Catherine O’Hara, Dua Lipa, Ariana DeBose, Samuel L. Jackson e John Cena. Dua Lipa farà il suo debutto come attrice e ha inciso brani originali per il film.
Nel film Bryce Dallas Howard interpreta Elly Conway, autrice di una serie di romanzi di spionaggio best-seller. La sua idea di felicità è trascorrere una serata tranquilla a casa al computer con il suo gatto Alfie. Tuttavia, quando le trame dei libri di Elly, incentrate sull’agente segreto Argylle e la sua missione di smascherare un’organizzazione criminale globale, iniziano a riflettere le azioni di un’organizzazione di spionaggio reale, le tranquille serate a casa diventano solo un ricordo lontano. Accompagnata da Aiden (Sam Rockwell), una spia allergica ai gatti, Elly (che porta Alfie nello zaino) corre per il mondo cercando di stare un passo avanti agli assassini, mentre il confine tra il mondo immaginario e quello reale inizia a svanire.