Come ogni anno i Golden Globes regalano sorprese, conferme, ma soprattutto discussioni, anche polemiche, perlomeno per chi pensava che l’allineamento tra pubblico e critica non conosca mai eccezioni. Da molto tempo si è capito che i Golden Globes forniscono una traccia importante per ciò che sarà la serata degli Oscar, ma non sempre è così, e la sua tradizione è ricca di colpi di scena, ma a guardare le ultime edizioni, ciò che ci ha detto questa edizione conterà moltissimo anche per la consegna delle statuette più ambite nel panorama cinematografico internazionale.
Christopher Nolan è stato asso pigliatutto di questi Golden Globes. Il suo Oppenheimer ha rastrellato più statuette di qualsiasi altro, forte non solo di un successo di pubblico travolgente, a dispetto del tema che per molti era un’incognita, ma anche di una critica che lo ha sostanzialmente elevato in modo unanime. Cillian Murphy e Robert Downey Jr. vanno a premio, poi ecco che arriva Miglior Film Drammatico, Miglior Regista, Colonna Sonora e tanti saluti. Poi ecco spuntare anche Holdovers con Da’Vine Joy Randolph e Paul Giamatti, che vincono tra il plauso generale, pur se arrivati in realtà forse un po’ alla chetichella rispetto ad altri titoli forti, Barbie su tutti. Greta Gerwig è la grande sconfitta, incassa solamente due piccoli premi di consolazione, quello per il miglior incasso e quello per la miglior canzone ad una Billie Eilish che, oggettivamente, non è che proprio avesse fatto impazzire, come nessuna del resto delle canzoni in gara. Sicuramente farà discutere, anzi lo sta già facendo, perché Barbie è stato visto come il femminista a livello mainstream, soprattutto oltreoceano, ma certo, non sono mancati i premi in grado di togliere argomenti a questa polemica. Poor Things, trionfo veneziano di Yorgos Lanthimos ha raccolto il giusto riconoscimento per una bravissima Emma Stone e Miglior Film Musicale, così come è stato per il sempre più galoppante Anatomia di una Caduta di Justine Triet. Due opere femministe, potenti e attualissime, soprattutto il film della Triet, che vince Sceneggiatura e Miglior Film Internazionale, si conferma l’opera autoriale dell’anno. Insomma, non stiamo proprio parlando di una premiazione priva di giudizio di equilibrio, anzi per quello che si è visto è stata probabilmente una delle più meritocratiche degli ultimi anni, soprattutto contando il riconoscimento adatto anche al maestro Miyazaki. Il Ragazzo e l’Airone sta incantando il mondo intero. La vera domanda ora se la Triet assieme a The Holdovers possa essere l’outsider in grado di fare concorrenza ad Oppenheimer e Barbie che quest’anno hanno letteralmente saccheggiato i botteghini di tutto il mondo. The Killers of the Flower Moon di Scorsese ha vinto con Lily Gladstone come Miglior Attrice Drammatica, ma è difficile che la spunti sulla lunga distanza.
A livello di serialità televisiva ha trionfato anche qui la qualità indiscussa. La HBO ora avrà il suo bel daffare per sostituire una serie iconica come Succession. Riconosciuta come Miglior Serie Drammatica, si porta a casa anche il premio a Sarah Snook e Kieran Culkin come Migliori Protagonisti e come Miglior Non Protagonista a MacFadyen. The Bear, marcata Hulu, sbanca tutto nel genere Commedia, portando sugli allori Jeremy White, Ayo Edebiri e naturalmente il Premio di Categoria come Miglior Serie Commedia o Musical. Soddisfazioni però anche per Netflix, anche se non da The Crown, che è calata molto nel corso degli anni qualitativamente. Elizabeth Debicki però vince come Miglior Attrice di Supporto, ma è messa in un angolo da Steven Yuen e Ali Wong che ci ricordano che The Beef ha avuto in loro i Migliori Protagonisti della Miglior Miniserie Drammatica dell’anno. Tre premi tutti e tre meritatissimi per questo viaggio assurdo dell’odio. Poi ecco che spunta Ricky Gervais, invocato in silenzio dal mondo al posto del deludentissimo Jo Koy, che ha fatto disperare tutti. Gervais si è rifatto con il suo Armageddon, premiato come Miglior Stand-Up Comedian. E chi sennò? Questa è una premiazione che sicuramente ridà linfa e autorità ai Golden Globes anche più di quella dell’anno scorso, una bella risposta al mare di critiche, polemiche, metodi di votazione non sempre trasparenti e anche la sensazione di essere fin troppo influenzabile. Forse proprio per i fucili puntati addosso c’è stata questa inversione di tendenza, una bellissima sorpresa e ora occhio agli Oscar. Il nostro Io, Capitano di Matteo Garrone resta a bocca asciutta, il 23 si saprà se almeno sarà riuscito ad arrivare dentro la cinquina per l’Oscar, ma certo la concorrenza è enorme e non andrà meglio poi alla Francia. La Passione di Dodin Bouffant per quanto pregevole, meraviglioso dal punto di vista visivo, conferma come i transalpini non riescono a trovare mai una commissione selezionatrice in grado di capirci qualcosa. Non serviva essere Napoleone per capire che era il film di Justin Triet era da preferire, e che anche quest’anno chi di dovere ha sbagliato tutto il possibile. La magra consolazione è che proprio Anatomia di una Caduta forse potrebbe portarsi a casa altre statuette ma sarebbe più una vittoria personale che dell’industria cinematografica d’oltralpe. Certo, gli Oscar sono chiamati a risorgere, da anni ormai, hanno perso credibilità per la loro incapacità di andare oltre l’immagine, l’autoconservazione del sistema, l’incapacità di premiare il vero merito artistico. Gli ascolti sono in calo precipitoso vista la sensazione che sia diventato un circolo chiuso che ondeggia a seconda di paura e sondaggi, spesso andando completamente fuori fase.
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