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Saltburn è Il Talento di Mr. Ripley dei nostri giorni

Pubblicato il 22 dicembre 2023 di Giulio Zoppello

Saltburn potrebbe essere l’outsider di questa stagione cinematografica, ha tutto per esserlo. Sopra ogni cosa, il film di Emerald Fennell è arrivato al momento giusto, nel modo giusto, per diventare la fiaba oscura che, ciclicamente, il mondo anglosassone usa per esorcizzare la propria struttura sociale, i propri difetti e le proprie anime oscure. Al netto di un eccesso di manierismo e di un eccessivo amore per la propria creatura, Saltburn è senza ombra di dubbio un film che sa come porsi come sferzante critica alla società, come perfetto esempio di thriller psicologico socialmente centrato.

Un giovane emarginato e un giovane privilegiato ad Oxford

Protagonista di Saltburn è il giovane Oliver Quick (Barry Keoghan), che in un 2006 febbricitante e confuso, ha il suo bel daffare ad Oxford. Poco attraente, poco carismatico, ma soprattutto apparentemente povero in un ambiente classista e privilegiato, a parte l’altrettanto emarginato Michael (Ewan Mitchell) non ha sostanzialmente amici o compagnia. Tutto cambia nel momento in cui fa la conoscenza del popolarissimo Felix Catton (Jacob Elordi), classico “player” tutto fisico statuario, carisma e soldi. Per una serie di coincidenze i due diventano amici, a dispetto del fatto che il circolo di Felix non apprezzi quello che considerano uno sfigato. Felix, infine, si troverà ad essere invitato nella residenza sfarzosa della famiglia Catton, dove conoscerà Sir James Catton (Richard E. Grant), Elspeth Catton (Rosamund Pike), i genitori di Felix, sua sorella Venetia (Alison Oliver), suo cugino Farleigh (Archie Madewke) e Pamela (Carey Mulligan). Sarà proprio lì, in quella tenuta principesca dove il tempo pare essersi fermato all’epoca vittoriana, che tutto precipiterà, rivelandoci il vero volto di Felix, le sue vere intenzioni e come tutto sia parte di un gigantesco disegno mirante ad un obiettivo ben preciso. Saltburn è la seconda prova sul grande schermo della talentuosa Emerald Fennell, scrittrice, attrice, sceneggiatrice e regista da tenere assolutamente d’occhio. Qui, dopo Killing Eve e Una Donna Promettente, mette a segno un’altra creatura che si muove facendosi forza di uno script di altissimo livello, dove nulla è ciò che sembra e dove è palese il connettersi innanzitutto alla narrativa di Patricia Highsmith e in particolare il suo “Il Talento di Mr Ripley”, ma anche ad Hitchcock, Sydney Lumet, a Scorsese. Ma vi è anche molto di un certo cinema asiatico moderno, quello capace di parlarci della doppia faccia e doppia moralità nei tempi moderni. E su questo, Saltburn è veramente intrigante, soprattutto grazie ad un Barry Keoghan che si conferma uno dei talenti più puri della sua generazione. Per carità, Oliver non è forse il suo personaggio più originale come genesi, ma come lui sa renderlo credibile, misterioso, ed infine inquietante per la gelida strategia, la manipolazione e la simulata fragilità, c’è veramente da togliersi il cappello.

Una feroce disamina della società british in senso storico

Saltburn è da subito molto cinico nella descrizione dei rapporti umani. Oliver è ciò che molti di noi sono stati: invisibile, in base ai superficiali canoni della gioventù universitaria. Fin da subito la descrizione di quel mondo è spietata come lo sarà anche quella famigliare, poi anche istituzionale, del resto Saltburn è l’occasione perfetta per mettere alla berlina l’alta società, ma la stessa Inghilterra che non cambia mai, quella delle upper class che sono nido di vipere. Ma c’è una vipera più vipera di loro, un Koeghan magnetico, camaleontico dietro la maschera immutabile di sfinge sfigata. Fotografia laccata, glamour, molto carica quella del film, che così facendo espande colori, luci, ombre. E nell’ombra Oliver sta sempre, ci trascina chiunque sia vicino a lui, soprattutto Felix, ennesima prova a dirla tutta che Elordi ci prova ma non ci riesce ancora ad essere qualcosa in più di un fusto che recita. Dialoghi taglienti e frizzanti, impietosa disamina del nulla su cui si basa la supponenza e il dominio dell’Inghilterra dei titoli e dei castelli, Saltburn più che adorno di messaggi politici, è pieno dell’odio sociale e dell’individualismo moderni, slegati però da una ribellione, quanto connessi alla fame consumistica. La sensazione di disgusto travolge tutto e tutti, nessuno si salva, in realtà di vere vittime non ce ne sono perché ognuno è illuminato di una luce maligna, di una connotazione ipocrita e priva di empatia. Da certi punti di vista, pare quasi l’antitesi di quel The Crown che la stessa Fennell diresse in alcuni episodi, con il suo negare ogni salvifica uscita e umana qualità ai suoi protagonisti, ogni alibi che giustifichi ciò che sono e rimangono. Tuttavia, bisogna anche aggiungere che talvolta la Fennell eccede in manierismo nella seconda parte, si prende troppe libertà rispetto al tono, inizialmente realistico, per sposare una serie di concatenazioni eccessivamente libere. Il che, alla lunga, rende il film forse troppo ambizioso, troppo privo di quella freddezza tipicamente british che dai tempi di Hitchcock, è sine qua non di ogni thriller psicologico che miri ad parlarci di società e sessi. Rimane però l’eleganza feroce, l’energia, l’ottima prova del cast e il colpo di scena finale, il modo in cui sa rendere nauseante quel lusso e ricchezza, che oggi sono gli unici veri ideali.