Pochi credevano che Rain Man avrebbe avuto successo quando uscì, in quel dicembre del 1988, dove altri film erano apparsi molto più strutturati per raccogliere il plauso di critica e pubblico. Invece Barry Levinson si confermò un mago della cinepresa, stracciò i botteghini e si aggiudicò non solo l’Orso d’Oro al Festival di Berlino, ma anche i 4 Oscar di maggior rilevanza. A distanza di 35 anni Rain Man rimane ancora oggi un film di culto, capace di abbracciare anche la decostruzione di un’epoca e dei suoi ideali.
Rain Man partì dalla volontà da parte dello sceneggiatore Barry Morrow, di confrontarsi con una trama che si connettesse ai casi di Kim Peek e Bill Sackter, due persone affette dalla Sindrome di Savant, affette cioè da una serie di problematiche cognitive, a cui faceva da contraltare lo sviluppo di un’abilità particolare e sopra la norma in un settore specifico. Sackter in particolare, era amico di Morrow e fu lui ad essere la principale fonte d’ispirazione per lo script di Rain Man. Si fecero i nomi di registi di prima grandezza come Steven Spielberg, Sydney Pollack, Martin Brest, ma alla fine fu scelto Barry Levinson, in quegli anni in rampa di lancio grazie a Good Morning Vietnam. Serviva un regista col cuore, e di cuore nel film Levinson ne mise tantissimo. Mickey Rourke, Mel Gibson, erano stati avvicinati per il ruolo di Raymond, ma alla fine fu Dustin Hoffman a venire selezionato. La sua vulnerabilità fu la principale dote che portò a questo personaggio che sarebbe entrato nella storia del cinema come uno dei più amati di sempre. Hoffman aveva lavorato da giovane con i pazienti di istituti psichiatrici, ciò che ci donò fu senza ombra di dubbio un protagonista tanto memorabile quanto ipnotico per potenza e credibilità. Rain Man da questo punto di vista si può sicuramente sostenere che abbia in un certo senso creato un precedente sulla cui rilevanza e importanza, è anche lecito chiedersi se non sia il caso di analizzarne anche effetti negativi. Perché se da un lato abbatté la barriera di intolleranza che circondava l’autismo, dall’altra lo illuminò di una luce “freak” poco gradita e fuori luogo. Ma ciò non toglie nulla onestamente alla bellezza e alla complessità tematica di Rain Man, che si fece forza anche di un Tom Cruise, che con il suo Charlie toccò vette di bravura assolute. L’unica sua sfortuna fu il fatto che all’epoca fosse ancora visto come un teen idol, ma soprattutto che Hoffman fosse capace di superarlo in virtù di un’unicità di interpretazione e caratterizzazione che non ha più avuto pari nella storia del cinema. Assieme ad ogni modo, crearono una coppia unica, con cui un rapporto fraterno diventava mezzo attraverso il quale fare piazza pulita di molti degli ideali di quel decennio, dei suoi valori consumistici e superficiali.
Charlie è un wannabe yuppie, un venditore di auto di lusso imprudente, egoista, materialista e che della morte del padre, è toccato solo dall’eventuale eredità da 3 milioni di dollari. Quando assieme alla fidanzata Susanna (Valeria Golino) si precipita al funerale del padre e scopre di aver avuto un fratello maggiore, Raymond, affetto da autismo, che erediterà tutto, decide di portarlo con sé per avere anche i soldi. Rain Man vede Tom Cruise evolversi a poco a poco, mentre si rende conto di quanto la sua stessa vita sia stata diversa da come pensava, come suo padre fosse diverso. Hoffman si muove come una sorta di spirito, ora infantile ora invece sorprendentemente dinamico, ma comunque privo di una reale conoscenza del mondo per tanti aspetti. Lavoro incredibile a livello di sensibilità e di tocco da parte del fu Piccolo Grande Uomo. Charlie e Raymond si cambiano a vicenda. Il primo smette di pensare ai soldi, al successo, i due topoi degli anni ’80 reaganiani di cui è fervente credente, e si concentra su quel fratello dotato di tanta vulnerabilità, così come di un’abilità fuori dal comune al tavolo verde. La rivincita con cui Rain Man fa finire nelle loro tasche 80mila dollari, è un capolavoro di regia e climax, in cui il tema della rivincita per entrambi, si unisce al simbolismo di una ribellione al “sistema”, a quel Casinò che si rifiuta di perdere. Rain Man però è soprattutto un film sui rapporti umani, sui sentimenti, sul mondo visto attraverso gli occhi di Raymond, che si spaventa di tutto e di nulla, che è stato allontanato da Charlie per non fargli del male tanti anni prima. L’iter, splendidamente scritto, ha al centro anche il tema del risveglio, inteso non solo quello di Raymond, che torna ad essere in mezzo al mondo e non più recluso, ma dello stesso Charlie, che si rende conto di aver sempre perseguito finalità di poco conto, di non aver mai guardato attorno a sé andando oltre la mera superficie. Proprio la scena del Casinò, con il falso successo che li circonda e Raymond che ne viene sopraffatto, ci ricorda che parliamo sostanzialmente di due individui soli, al di là del bene e del male. Nessun altro film ha avuto due fratelli così diversi eppure così vicini, un’intensità pari a quella che Rain Man usò per sedurre un pubblico che, ancora oggi, ama incondizionatamente questo film oltre ogni piccola furbizia e escamotage, il suo tono melodrammatico studiato ad arte.