Il Curioso Caso di Benjamin Button è e rimane uno dei film più curiosi del XXI secolo, soprattutto per ciò che riguarda la capacità di individuarne il centro tematico e semantico, di arrivare al cuore di un iter narrativo dominato dal concetto di attesa, di impalpabilità, eppure potentissimo. I 15 anni di questo film sono tanto più pesanti quanto connessi ad uno degli esempi migliori di come usare due volti iconici, due divi, per elevare il film senza renderlo schiavo della loro presenza.
Era il 1922 quando il grande Scott Fitzgerald scriveva “Il curioso caso di Benjamin Button”, racconto breve che diventò parte de “Racconti dell’età del jazz”, la sua seconda raccolta. Tutto quanto in realtà era un omaggio a Mark Twain, al paradosso della vita dove il meglio sta all’inizio e non alla fine. Passano 90 anni ed ecco che David Fincher, uno dei registi più imprevedibili di sempre, prende e decide che è l’ora di farne un film. La sceneggiatura venne curata dal grande Eric Roth, che modificò profondamente non solo l’epoca storica, ma la stessa struttura, nonché in realtà tutta la parte tematica, allontanandola in modo consistente da ciò che Twain e Fitzgerald avevano concepito. Di fatto Il Curioso Caso di Benjamin Button diventò un’odissea dentro un’anomalia, un essere nato bambino e vecchio assieme, condannato per gran parte della sua esistenza ed essere solo in modo totalizzante, legato ad un orologio creato per andare al contrario, onorando il sacrificio dei caduti della Prima Guerra Mondiale. Fincher fin dall’inizio evita accuratamente ogni possibile retorica ed epica, avvolge tutto in una languida tragedia che però non diventa mai la dominatrice incontrastata. Di base Il Curioso Caso di Benjamin Button diventa soprattutto una grande lezione sul senso della vita, ed il senso della vita è che la vita non va capita, ma va vissuta imparandone ogni lezione, accettandone la natura imperscrutabile. Questo Benjamin lo imparerà lentamente, mentre sulla sua pelle soffre esclusione, discriminazione, rifiuti da un genere femminile per il quale è un mostro orrendo. Rachitico alla nascita, in grado di camminare solo a 7 anni, a 12 ha ancora l’aspetto di un 70enne non molto in forma. Al contrario la piccola Daisy ha un’infanzia normale, lei che è la nipote di quella Signora Fuller che vive in quell’ospizio che per Benjamin sarà ad un certo punto una sorta di prigione da cui scapperà, per inseguire il suo destino in giro per il mondo. Il film è quindi articolato su un doppio movimento: c’è quello della vita che scorre in due sensi opposti, quello di Benjamin che gira il mondo e quello di Daisy che cerca di coronare i suoi sogni in modo assolutamente individualistico. Di base Benjamin è l’uomo che hanno immaginato Twain, Fitzgerald ma anche Steinbeck e Savage, fatto di umiltà, curiosità, automiglioramento ma anche costretto a confrontarsi con un mondo ostile, una vita difficile e un’umanità molto imprevedibile.
Brad Pitt e Cate Blanchett. Non due divi qualsiasi, ma due sex symbol iper-talentuosi. Fincher srotola la sua tela di ragno, ci fa agognare il momento in cui vedremo entrambi bellissimi e innamoratissimi. Una furbata? Si certo, ma non per questo priva di significati, anzi. Benjamin quando apparirà nel fiore degli anni, di base ha passato tutta una vita senza amore e senza affetto, per questo sa valorizzarlo al massimo; Daisy invece, prima donna come quasi ogni ballerina internazionale, desiderata ed egoista, lo capirà solo con il tempo, perdendo illusioni, giovinezza e la sensazione di onnipotenza che la pervade. Il Curioso Caso di Benjamin Button è di base un film sull’imprevedibilità e assieme la fragilità della vita, di quanto essa alla fine sia fuori dal nostro controllo e tutto ciò che possiamo fare è farci guidare da essa, cercare di imparare qualcosa, non ripetere gli stessi errori, essere gentili con gli altri. Negazione totale dell’american dream, narrato dalla stessa Daisy ormai in fin di vita, Il Curioso Caso di Benjamin Button si nutre della capacità però soprattutto di Brad Pitt di essere mutevole, eppure continuo nella sua azione di strutturazione di un personaggio complesso, complessissimo dietro la sua apparente passività. Benjamin è forse il personaggio cinematografico americano più antitetico al concetto di vittoria, di trionfo, di successo che questo XXI secolo ci abbia dato. Sono più le sconfitte o i momenti duri nella sua esistenza che quelli felici, come capita a noi, come capita a tutti. Daisy da questo punto di vista appare sempre in fieri, sempre proiettata verso la comprensione di lezioni che egli porta con sé. Il miracolo è quanto tutto questo non diventi paternalistico, ma al contrario motore di una felicità che è condivisione, scoperta comune, capacità di gioire del momento. Lo stesso Benjamin del resto commette errori, per timidezza, insicurezza, la sua crescita-ringiovanimento, ha nell’incontro con il padre che lo abbandonò, il momento in cui realizza che perdonare e lasciar andare è l’unica vera cosa da fare. Ma Il Curioso Caso di Benjamin Button è anche un film sulla perdita, sul fatto che nulla rimane com’è per sempre, purtroppo o per fortuna. Attraverso Ben e Daisy vediamo l’America cambiare, guidarci dalla Prima Guerra Mondiale all’Uragano Katrina. In mezzo cambiano abiti, auto, il paese e la società, ma non la difficoltà di trovare la persona giusta, elemento che dipende dal percorso di ognuno dei due, dal momento, da tante cose che coi sentimenti, spesso, non hanno nulla a che fare. Film delicato, complesso, spesso anche inquietante, avrebbe ricevuto 11 nomination agli Oscar, vincendone solo 3 tecnici. Ingiusto? Sì, come la vita.