Cinema

Un dialogo immaginario per raccontare Silent Night a chi di John Woo non sa niente

Pubblicato il 28 novembre 2023 di Roberto Recchioni

Ciao, questa sera voglio andare al cinema!

Bravo! Che pensavi di vedere?

Silent Night. Per entrare nel clima natalizio. Ma ho visto che sulla locandina c’è scritto bello grosso: “Dai produttori di John Wick, un film diretto da John Woo”…

E…?

E io fino a John Wick ci arrivo, ma non so niente di questo John Woo.

E vuoi che ti faccia un corso accelerato, giusto?

Sì, e magari che mi parli anche del film in generale, così ci faccio bella figura con gli amici…

Va bene, mettiti comodo che non sarà brevissimo. Partiamo dal film, che ha almeno quattro motivi di interesse…

Ok, vai.

Motivo numero uno: è un film di Natale. I film di Natale sono una sorta di genere a parte che, a seconda della nazione, comprende film diversi. Per esempio, in Italia, un classico film di Natale è Una poltrona per due, che nel resto del mondo non è percepito come tale. Nei paesi anglofoni, invece, molto più che in Italia, un classico film di natale è Die Hard.

Il film con Bruce Willis e i terroristi nel grattacielo?

Esattamente.

Perché?!

Prima di tutto perché è ambientato effettivamente a Natale, e poi perché contiene vari motivi musicali natalizi e numerosi riferimenti visivi alla festività. Che sono tutti elementi imprescindibili per fare di un film un film di Natale. Per esempio, molti degli action scritti da Shane Black sono ambientati a Natale, ma nessuno è inteso come film natalizio. Il motivo? Non hanno quasi nessuna canzone di Natale o riferimento fortemente natalizio (se escludiamo la scena di Arma Letale dove Mel Gibson si picchia con degli spacciatori in mezzo a un gran numero di abeti pronti a essere decorati).

E Silent Night, invece?

Silent Night è ambientato a Natale, ha un certo numero di riferimenti visivi alla festa e, soprattutto, sin dal titolo introduce il tema delle canzoni natalizie. Se in Italia avessero deciso di tradurre il film in base al suo riferimenti musicali, si sarebbe dovuto intitolare Astro del ciel. È senza alcun dubbio un film di Natale.

Ma è così importante che lo sia?

Strano a dirsi ma sì, lo è. Perché “i film di Natale” sono diventati una sottocategoria a parte del cinema che non solo garantisce quasi sempre un buon esito commerciale, ma che, soprattutto, nel tempo ha una vita molto lunga, poiché diventano pellicole che ogni anno vengono scoperte o riscoperte.

Ok, hai parlato di quattro motivi. Passiamo al secondo.

La seconda ragione per cui questo film è interessante è che è praticamente muto. Racconta infatti la storia di un padre di famiglia, rimasto ferito alle corde vocali a causa di una sparatoria tra gang rivali, che decide di vendicarsi, non tanto a causa della voce perduta ma perché, in quel conflitto a fuoco, gli è anche stato ucciso il figlio. Il film è, sostanzialmente, il più classico dei revenge movie ma con un twist, il fatto che sia quasi del tutto privo di dialoghi. Il protagonista non parla e i personaggi che gli ruotano attorno hanno pochissime occasioni di farlo. La voce principale che sentirai guardandolo sarà quella delle pistole.

Ah, figo!

Te l’ho detto che era interessante. Passiamo al terzo motivo di interesse, la Thunder Road, cioè la casa di produzione che ha realizzato il film che, appunto, sono (tra gli altri) anche quelli che hanno realizzato la saga di John Wick.

Perché dici “tra gli altri!”?

Perché non lo hanno fatto solo loro. Non possiamo non ricordare che la saga del sicario interpretato da Keanu Reeves è anche figlia della 87Eleven, la casa di produzione creata da David Leitch (l’ex stuntman diventato regista e produttore che, proprio con John Wick, ha debuttato dietro la macchina da presa) che ha rivoluzionato l’approccio all’action degli ultimi anni.

Ma che non è coinvolta in questo Silent Night, giusto?

No, anche se il loro approccio è stato tenuto ben presente dalla Thunder Road nel costruire questo Silent Night.

Spiegati meglio…

In termini essenziali, la 87Eleven, prima come action unit e poi come casa di produzione vera e propria, ha rivoluzionato il modo di intendere l’action americano valorizzando il lavoro degli stuntman e facendo degli attori stessi degli stuntman, in modo da costruire scene d’azione più fresche e spettacolari. Inoltre, sono famosi per gli incipit essenziali dei loro film. Pensa a John Wick, appunto, ma anche a pellicole come Atomica bionda o Io sono nessuno.

Ok, e questo approccio è stato mutuato anche in Silent Night?

Sostanzialmente, sì. Con un tocco in più, derivato dalla grande attenzione che la Thunder Road pone sull’autorialità dei suoi registi. E questo ci porta al quarto motivo di interesse…

John Woo?

John Woo. Il padre dell’action moderno, il regista che nel 1986, a Hong Kong, diede vita al rinascimento del genere con A Better Tomorrow.

Mi sa che mi devi spiegare meglio…

Dunque, negli anni Ottanta, il cinema d’azione si divideva tra gli americani, che facevano film con gente che si sparava, e gli asiatici, specializzati in calci e pugni. John Woo era un regista di Hong Kong che detestava girare film di arti marziali, ma che era costretto a farlo perché il suo mercato gli imponeva quello. Nel 1986 però, grazie al suo allora amico Tsui Hark che gli produsse il film, ebbe modo di realizzare uno strano crime movie che mescolava il polar francese alla Jean-Pierre Melville con la violenza di Sam Peckinpah, l’estetica di Jean-Luc Godard con la sceneggiata napoletana di Mario Merola, il romanticismo di George Roy Hill con la spettacolarità, appunto, del suo amico Hark. Quello che ne uscì fu un film senza precedenti, che divenne un grosso successo in patria e che diede la stura a una nuova generazione di registi che si affermarono in un neo-genere, l’heroic bloodshed.

Cioè?

Un eroico spargimento di sangue. Il termine venne coniato dal critico Rick Baker per definire quei film di Hong Kong con tante pistole, poco kung fu, molti gangster e poliziotti, tantissimo sangue e tantissima azione. I maestri orientali riconosciuti di questa sottocategoria del cinema action sono, appunto, John Woo, Ringo Lam e Tsui Hark. Ma anche il mondo occidentale ha avuto i suoi epigoni che si sono lasciati influenzare proprio dal lavoro di questa triade.

Per esempio?

Quentin Tarantino, per esempio, che a Ringo Lam ha letteralmente clonato un film (Reservoir Dogs, Le Iene, non è altro che una splendida reinterpretazione del City on Fire di Lam) e che a Woo ha preso tutto il resto (dal look dei suoi protagonisti all’uso e all’abuso del mexican stand-off come momento narrativo), ma anche Luc Besson, che nel realizzare Nikita e, soprattutto, Leon, ha tenuto ben presente il lavoro di Woo, e pure Alex Proyas (Il Corvo è un heroic bloodshed mascherato da cinecomic) o Christophe Gans con il suo Crying Freeman e poi, ovviamente, le sorelle Wachowski e il loro Matrix, che è una specie di gigantesco omaggio al cinema di Hong Kong. E questo per limitarci al cinema…

Perché, che altro ci sarebbe?

I videogiochi, per esempio. Hai presente Max Payne, il capolavoro di Remedy? È praticamente un film di John Woo giocabile.

Ok, ho capito, John Woo ha avuto una grande influenza…

E anche un grande successo. Perché, dopo una serie di film realizzati ad Hong Kong che hanno dominato il botteghino e raggiunto le platee internazionali (troppi per elencarli tutti ma devo almeno segnalare The Killer, forse il capolavoro assoluto di Woo, e Hard Boiled, il suo film più pazzo ed esagerato), Hollywood si è stancata di copiare le sue cose e ha ben pensato di chiamare direttamente lui a dirigere delle produzioni americane. Woo ha iniziato con uno dei migliori film di Jean Claude Van Damme, Hard Target (Senza tregua da noi) e ha poi proseguito con una produzione più ambiziosa: Broken Arrow. A quel punto, è arrivata la svolta con Face/Off e, infine, la consacrazione con il secondo capitolo di Mission: Impossible.

E poi che è successo?

Che, quando arrivi all’apice, sei destinato a cadere, e Woo è caduto male, con un film di guerra costosissimo ma poco riuscito, che è andato malissimo al botteghino: Windtalkers. E Hollywood non perdona fallimenti simili, specie se sei uno straniero. Woo ha girato un ultimo film con gli americani per obblighi contrattuali (Paycheck) e se ne è tornato a Hong Kong che, nel frattempo, era tornata alla Cina dopo essere stata a lungo una colonia britannica. Il clima del paese era del tutto cambiato e anche la macchina cinematografica, a cui Woo si è adattato, realizzando pellicole fortemente nazionalistiche ma prive delle sua poetica e dei suoi segni di stile (la duologia di Red Cliff e quella di The Crossing), molto apprezzate in patria ma ignorate all’estero. Ha poi girato un terribile wuxia (Reign of Assassins) per poi tentare di tornare in un terreno a lui più consono con il poco ispirato Manhunt. Insomma, alla soglia dei settant’anni, la carriera di John Woo sembrava ormai finita.

E poi cos’è successo?

È successo che la Thunder Road si è ricordata del maestro dell’action, quell’autore che ha ispirato tutta la generazione dei nuovi maestri (dal già citato David Leitch a Gareth Evans, da Chad Stahelski a Sam Hargrave) e, con un tipo di operazioni che vengono benissimo a studi come la A24 e Blumhouse, ha deciso di recuperarlo, dargli nuovi mezzi e supporto e una nuova possibilità. E ne è nato Silent Night.

Che è un buon film?

Che è un buon film, pur essendo un film molto piccolo in termini produttivi e con tutta una serie di limiti.

Del tipo?

Che John Woo ha oltre settant’anni e non è esattamente a suo agio con alcune soluzioni di regia moderne. Ma se lo smalto di un tempo è forse andato perduto, restano comunque la classe e lo stile, che gli permettono di costruire un film molto solido nel setting iniziale, che approfondisce straordinariamente bene la psicologia di un personaggio che non parla praticamente mai e che mette in scena delle sequenze di violenza e d’azione molto divertenti, anche se forse prive di quel romanticismo che di Woo è sempre stato il marchio di fabbrica.

Ma rispetto alle produzioni dei registi moderni che citi?

Ha qualcosa in più (lo spessore autoriale di Woo si sente comunque) e qualcosa in meno (il piano tecnico non è così sorprendente o perfettamente eseguito). In generale, comunque, devi tenere presente che è un film a budget ridotto e che molte cose che porta a schermo sono già un miracolo.

Quindi non è un buon film per iniziare a conoscere Woo?

No, direi di no. Io partirei con The Killer e Face/Off. Ma questo non significa che non sia un buon film in senso assoluto o un film divertente da vedere sotto le feste natalizie.

Quindi vado?

Vai. E indossa un brutto maglione con una renna sopra!