Per quelli che fanno il mio lavoro, scrivere le proprie impressioni a caldo può essere un problema. Hai bisogno, in genere, di un po’ di tempo per metabolizzare quanto hai visto, per affrontare l’argomento magari da un’angolazione diversa. Eppure ci sono alcuni casi in cui avverti come un’urgenza: succede quando ciò che ha appena finito di scorrerti davanti agli occhi non è solo bello, ma è stato capace di dirti qualcosa. Il che poi è la ragione che mi ha spinto, mentre ancora occupano la TV i titoli di coda del sesto e ultimo episodio della stagione 2 di Loki, a cercare di spiegare perché “Gloriosi propositi” non è solo la miglior cosa Marvel che Disney abbia proposto su Disney+, ma con ogni probabilità anche la miglior storia dell’MCU tutto degli ultimi anni. Ovviamente, d’ora in avanti, SPOILER.
Mobius, Ouroboros… che tutto fosse destinato a risolversi in una via d’uscita da un loop lo sapevamo da tempo. E di loop parla tutta la prima parte di questo finale, un Ricomincio da capo temporale in cui Loki rivive per secoli il suo “periodo” della Marmotta, imparando dagli errori commessi e cercando di porvi rimedio. Fino a quando diventa evidente che l’unica soluzione, se non vuole uccidere Sylvie – e non vuole farlo, ovvio – è diventare lui stesso il fulcro delle linee temporali. In un’improvvisa, letterale svolta green della TVA, il flusso diventa un verde albero della vita come l’Yggdrasill della mitologia norrena. Loki ha trovato il suo trono, il dio dell’inganno si è sacrificato per permettere ai suoi amici, e a tutto il resto, di sopravvivere. Il grande ingannatore è ora un dio del tempo, o se vogliamo un dio delle storie (torniamo sul punto tra un attimo).
I suoi amici e la donna che ama, per questo ex villain che ha finalmente trovato uno scopo, sono tutto, e un motivo più che sufficiente per spingerlo al sacrificio. Ci sono le parole con Sylvie. C’è quello scambio di sguardi commossi, a metà episodio, tra Loki e Mobius che non sottolinea solo per l’ennesima volta, mai ce ne fosse bisogno, quanto dannatamente bravi siano Tom Hiddleston e Owen Wilson. È il culmine di una bromance su cui questa serie si è retta, accanto al design retro unico e allo stile invidiabilissimo di Tom.
Undici anni fa, un Loki arrogante spiegava a Nick Fury nel primo Avengers del fardello rappresentato dai suoi “gloriosi propositi”. Erano diventati il titolo del primo episodio della prima stagione, sono diventati il titolo dell’ultimo della seconda: il cerchio perfetto, ancora.
E se nell’MCU è stata tragica la dipartita del Loki redento, tu figurati il sacrificio eroico del Loki che all’inizio della prima stagione era ancora egoista e assetato di potere. Il fratello pazzo, il cattivo dei miti del nord è diventato l’eroe che neanche lui sapeva di essere. Per chi lo segue sin dalla sua prima apparizione, nel Thor del 2011, è fine perfetta di un viaggio in compagnia di un’adorabile, ipnotica figura, troppo amata per essere un lestofante. In questa sua nuova incarnazione divina, al centro delle radici di quell’Yggdrasill del tempo, Loki ricorda molto la versione più benigna del personaggio vista in saghe a fumetti come Loki: Agente di Asgard (2014). Da dio dell’inganno a dio delle storie, al centro di tutto ciò che era, è, sarà.
Tanto che per una volta, in un mondo di fantasia di cui si discute spesso più per le scene mid o post-credits che per tutto quello che le ha precedute, qui non ce ne sono. Come in Endgame, non ce n’è bisogno.
Possiamo dirlo? Possiamo. Laddove la prima stagione di Loki si era sviluppata molto bene, una sorpresa dopo l’altra (Sylvie, la verità sulla TVA e tutto il resto), salvo poi rallentare proprio sul finale, con una conclusione degli eventi piuttosto fiacca, questa stagione 2 sembra aver fatto esattamente l’opposto. Ci ha tenuto lì per i suoi primi episodi, ha palleggiato a lungo il destino della TVA e il ruolo in tutto questo di O.B. e di Colui che rimane, salvo poi parcheggiare in questo episodio 6 ogni dubbio, per permettersi un finale lirico, tanto bello quanto in parte inatteso. Non perché non sperassimo proprio di vedere un finale memorabile, che desse senso all’intera stagione, ma perché c’è più storia, ci sono più emozioni e ci sono perfino più effetti speciali in questa oretta scarsa per la TV che in tanti film recenti dell’MCU lunghi due ore e destinati al grande schermo.
Avercene.
Per il resto, dopo l’accenno agli eventi di Ant-Man and the Wasp: Quantumania, quel flash di luce viola (villanzone) a cui assiste una spaurita Ravonna Renslayer nel finale allude al ritorno di Kang. Ma qui bisogna capire come i Marvel Studios decideranno di gestire la grana rappresentata da Jonathan Majors, alle prese come noto con serissime beghe legali. E qui le soluzioni possibili sono diverse. Possono innanzitutto tenere Kang e cambiare attore, ovviamente. O, alla peggio, visto che non è stato mostrato nulla di specifico in questo finale, possono DAVVERO sostituire Kang con il Dottor Destino come nuovo supervillain dell’MCU, come si vocifera su Internet da mesi. Ti ritrovi già con una nemesi centrale, figa quanto Kang non potrà mai essere, e sposti il discorso verso i Fantastici Quattro e il ruolo che avranno (meglio: DOVRANNO avere) nell’MCU che verrà.
Infine, se questo è uno struggente addio a Loki, e ha tutta l’aria di esserlo, Sylvie è ora libera di fare “tutto ciò che vuole”. E qualcosa mi dice che la rivedremo molto presto: quanto ci starebbe bene, per dire, in una nuova formazione degli Avengers?
Esatto.