Daisuke Jigen, il film live action dedicato all’infallibile pistolero compagno di avventure di Lupin III – prodotto per Prime Video e disponibile da ottobre sulla piattaforma – non è il primo progetto dal vivo dedicato a un personaggio del mondo di Lupin, visto che il primato spetta alla miniserie TV su Zenigata (Zenigata keibu) del 2017. E questa non è neanche la prima volta in cui Tetsuji Tamayama interpreta l’uomo perennemente armato di revolver, cappello, barbetta e sigaretta, visto che si era già calato nei panni scurissimi del personaggio nel film Lupin III del 2014. Il punto, però, è che questo Daisuke Jigen è quanto di più lontano possiate immaginare da quella pellicola con Oguri Shun. O da buona parte delle storie di Lupin.
Tornato in Giappone alla ricerca del miglior armaiolo del mondo, allo scopo di farsi riparare la sua pistola del cuore, Jigen si trova coinvolto in una storia truce. Una vicenda calata fino agli occhi nel sangue, in un quartiere senza legge governato da una signora del crimine: un personaggio talmente esagerato che avrebbe potuto trovare spazio solo in una storia di Bond o, appunto, nel mondo di Lupin. Gli eventi portano quindi Jigen a doversi occupare di una ragazzina rimasta orfana, proprio come avviene per Léon nel film omonimo di Besson.
Il tutto avviene in un contesto, dicevamo, che per la maggior parte del tempo è nerissimo. Non mancano scene di una violenza visiva da horror nipponico, figure torturate, bambini usati come cavie umane. Tanto che i cattivi crivellati dai proiettili dell’uomo dalla mira infallibile diventano, al contrario, materiale per scene di alleggerimento. Con ogni probabilità è una delle storie più tetre mai raccontate dell’universo creato da Monkey Punch.
Ci sono però – e sono con ogni probabilità la cosa migliore del film – dei momenti più teneri, in cui Jigen cerca di capire come rapportarsi con questa povera anima infelice nata in un mondo orribile. E ci sono anche, sporadicamente, delle sequenze più leggere e ironiche, tutte legate al chiassoso e affettuoso vicinato di un’anziana orologiaia che nel film ha un ruolo importante. Solo che, per mettere in scena queste ultime, il film rimbalza chiaramente in modo schizofrenico dai toni da crime-sovrannaturale-ipersanguinolento-marcio di cui parlavamo prima a quelli da drama televisivo giapponese. Da micromondo di buoni sentimenti, da avventori del locale di Marrabbio.
Eh.
SE riuscite a passare sopra a questi cambi di tono spiazzanti che i giapponesi spesso amano (l’avete visto Il regista nudo, in cui appariva anche questo Jigen, un irriconoscibile e occhialuto Tetsuji Tamayama, sì?), SE vi accontentate di una storia sghemba e che non sta in piedi, nonostante la buona prova di Tamayama, Yoko Maki (la villain inquientantissima Adel) e sostanzialmente di tutti gli interpreti, e SE per voi è ok, visto che in definitiva si tratta di un film per la TV, la regia televisiva del regista televisivo (Hajime Hashimoto) che il film l’ha girato, potreste anche trovare piacevoli queste due ore tonde in compagnia di Jigen.
Personalmente, nonostante Jigen sia uno dei personaggi di fantasia che mi piacciono di più (e in assoluto il mio character che chiamiamo tutti per cognome preferito), o forse proprio per questo, non riesco a salvare molto di questo Daisuke Jigen, a parte i citati “momenti Léon“. A un certo punto, davanti a una storia che si trascinava in avanti procrastinando questo benedetto scontro finale senza che quelle procrastinazioni dessero alcun frutto, non vedevo l’ora che si arrivasse alla fine e all’inevitabile… Oh, stavo quasi per scriverlo.