C’era molta curiosità circa cosa ci avrebbe donato Ginevra Elkann con il suo Te l’avevo detto, che conta un cast corale di primissimo livello comprendente Valeria Bruni Tedeschi, Danny Huston, Greta Scacchi, Riccardo Scamarcio, Andrea Rossi, Alba Rohrwacher, Valeria Golino, Marisa Borini e Sofia Panizzi. Odissea ad episodi intrecciati quasi completamente al femminile, risulta interessante ma incompleta, infine forse troppo piena di idee non abbastanza sviluppate separatamente.
Presentato in anteprima al Toronto Film Festival e arrivato in quel di Roma carico di attese, Te l’avevo detto parte subito forte, facendoci fare la conoscenza dell’instabile Gianna (Valeria Bruni Tedeschi), donna squilibrata, a metà tra realtà e un mondo tutto suo. In quello reale ci vive la figlia Mila (Sofia Panizzi) che dopo la morte del padre è sostanzialmente costretta a fare da badante a lei, oltre che all’anziana Signora Maria (Marisa Borini), sfogandosi col cibo e le lacrime. Gianna è ossessionata da anni da Pupa (Valeria Golino) ex pornodiva degli anni ’80 ormai ridotta sul lastrico e ad elemosinare, mentre insegue un ritorno armata di botulino e senso di rivalsa. Intanto si consuma la faida tra il prete Bill (Danny Houston) e la sorella Frances (Greta Scacchi), sulle ceneri della madre defunta, mentre l’alcolizzata Caterina (Alba Rohrwacher) si lancia in un pomeriggio di libertà con il figlioletto Max (Andrea Rossi), a dispetto dell’ordine restrittivo ottenuto dall’ex marito Riccardo (Riccardo Scamarcio). Tutti loro sono costretti dentro una Roma di un gennaio assolutamente rovente, con temperature oltre i 30 gradi e un’afa che fa presagire la fine del mondo, l’Apocalisse, o forse l’estrema conseguenza di un cambiamento climatico che ha raggiunto il suo apice fenomenologico. Te l’avevo detto conferma la natura ibrida della narrativa della Elkann, a metà tra estremizzazione dei toni molto iberica più che transalpina e l’amore per il genere italiano. Qui l’insieme in particolare pare strizzare l’occhio al Virzì dei tempi d’oro, ad Almodovar, a certe apocalissi cinematografiche metaforiche moderne, ma poi tutto assieme va verso una dimensione di dejà vu, di prevedibilità, di mancanza di purezza nell’aggressività che rende l’operazione un po’ stanca, un po’ fiacca, un po’ troppo di maniera ma senza l’originalità e la visceralità atte a salvare il tutto dai suoi difetti. Sopra ogni cosa il ritmo irregolare, la tematica ambientalista spiccia, la mancanza di un vero centro.
Te l’avevo detto ricicla il caro, vecchio cliché degli episodi, che rese grande il cinema italiano di una volta. Ma sono passati decenni, la formula è portatrice di poca freschezza, a cui la Elkann cerca di rimediare con una sceneggiatura un po’ più spigliata e al femminile, scritta assieme a Chiara Barzini, Ilaria Bernardini. Le donne dominano, sempre e comunque, sono al centro di una Roma asfissiante, madida di un sudore che riguarda vecchie relazioni, vecchi dolori e speranze, sensi di colpa e rapporti umani stravolti. Il problema è che però ogni interprete alla fine si trova a fare bene o male lo stesso ruolo fatto in passato. La Tedeschi fa la solita fuori di testa disinibita, la Rohrwacher l’ennesima anima spezzata e incapace di reagire, la Golino una stralunata intrappolata dentro il fantasma della vita passata, Scamarcio l’ex musone. Houston e la Scacchi non convincono molto con la loro faida familiare a causa di dialoghi superficiali e una mancanza di caratterizzazione abbastanza marcata. Esteticamente un pochino troppo rozzo e prevedibile, Te l’avevo detto sa però regalare risate gradevoli, gioca con i personaggi, con il ricordo del cinema che fu, confronta generazioni e memoria, in una Roma in realtà alla fine abbastanza poco presente. Il tema del cambiamento climatico e della nostra reazione alla deformazione della nostra vita è sviluppato ma solo parzialmente, mentre invece risulta gradevole l’insieme di umanissimi difetti con cui la Elkann cerca di farci far pace. Tuttavia, l’amalgama è solo parziale, il finale è un po’ troppo derivativo e l’insieme non riesce ad essere quella sorpresa che si sperava. Permane la coerenza di una narrazione che sa armonizzare leggerezza, malinconia, la decostruzione dei topoi della società italiana, con religione, focolare domestico, sesso e famiglia messi all’angolo senza pietà. Ma non è qualcosa che lascerà traccia, non è qualcosa che non dica ciò che già altri hanno detto, sia a livello di semantica che di stile. Un po’ pochino per gridare la miracolo.