La prima volta che vidi una sala IMAX è stato a metà degli anni ’80 durante uno dei viaggi vacanza studio in UK e mi ricordo che ci portarono lì come a visitare una curiosità, non certo con l’idea di andare al cinema. Rammento di aver visto un documentario sul Grand Canyon e, qualche anno dopo in una situazione analoga, un viaggio nello spazio, e il commento più frequente con chi ha condiviso quella esperienza con me era che si trattava di uno spettacolo talmente realistico, avvolgente e coinvolgente, che le scene di volo ti facevano provare un senso di vertigine fino al punto che ad alcuni davano anche qualche problema di equilibrio, se non digestivo.
Chiaramente quei contenuti erano anche progettati per fare questo effetto, enfatizzando al massimo l’immersione all’interno di uno schermo fuori scala per le abitudini del tempo, in gran parte anche oggi. Poi quando il formato cominciò a diventare uno standard con cui si sono confrontati registi di ogni genere, l’uso del grande formato è diventato ovviamente più raffinato, ma allora la sensazione era di essere di fronte a qualcosa di unico e irripetibile nella normalità, uno schermo come non ne avevi mai visto, e come in Italia per noi è ancora quasi impossibile vedere, e una qualità audio senza precedenti.
In quegli anni sembrava infatti improbabile che andasse al di là di poche sale IMAX nel mondo, delle eccezioni quindi, ma poi si è innestato un circolo virtuoso cineasti-sale che ha portato alla diffusione a macchia d’olio nel mondo di questo tipo di cinema e di tutte le alternative che sono oggi i vari formati PLF, i premium large format che offrono una esperienza immersiva totale allo spettatore.
Non so se una struttura da oltre due miliardi di dollari di costo potrà avere lo stesso sviluppo in futuro, ma è chiaro che al momento rappresenta il non plus ultra del teatro per gli eventi dal vivo e non solo, e sicuramente l’esperienza che ho fatto assistendo sia al concerto degli U2 che al film realizzato appositamente da Darren Aronofsky per lo Sphere è destinata a restare impressa nella mia memoria come fu per l’IMAX di allora e probabilmente ineguagliata per lungo tempo (almeno finché non provo gli Apple Vision Pro, ma questa è un’altra storia).
Lo Sphere, come dicevo, ridefinisce il concetto stesso di esperienza audiovisiva amplificando gli eventi dal vivo all’interno di una sfera occupata per metà dalle gradinate con oltre 18.000 posti a sedere e per buona parte dell’altra metà da uno schermo terra-cielo, letteralmente fin sopra la vostra testa e, se siete seduti nei primi settori o in piedi sul floor, anche abbondantemente sopra le vostre teste, con una qualità video, e audio, mai vista prima.
Tra meno di un mese girerà intorno a questa struttura inaugurata ai primi di ottobre anche la tappa a Las Vegas della Formula 1, e la città è sottosopra da mesi per dei lavori ancora in corso che trasformeranno la strip in un circuito cittadino cui mancano ancora alcune strutture fondamentali, ma tanto sicuramente sarà tutto a posto quando servirà.
Nel frattempo lo Sphere è stato inaugurato, appunto, con il concerto degli U2, di cui erano state poste in vendita all’inizio solo poche date, ma che ha visto rapidamente prolungare le repliche fino a Natale, e oltre fino a febbraio del 2024 mentre stavo finendo di scrivere questo post, col rischio che gli U2 restino qui a lungo come il molte volte citato nel loro stesso concerto Elvis. Scherzi a parte, non credo che resteranno davvero così a lungo, ma finché aggiungono date, se pensate di fare un viaggio negli USA approfittate dell’opportunità per gustarvi questo concerto che ridefinisce chiaramente l’idea di spettacolo al vivo, così come il mediometraggio di Aronofsky è un saggio perfetto delle potenzialità di questa struttura.
La sfera interna, occupata per una buona metà dallo schermo che si infrange sulle tribune, è più piccola di quella esterna che in poche settimane è impossibile non aver visto sui social. Se vi state domandando come è costruita e volete tutte le informazioni tecniche potete tranquillamente gustarvi questo bellissimo video di Geopop che la racconta per filo e per segno.
Io posso solo aggiungere che, secondo il più loquace dei tassisti di Las Vegas con cui ho viaggiato, questa sarebbe solo la prima di un certo numero che vorrebbero aprire nel mondo, sicuramente una a Dubai, e ci sta, non gli mancano certo due miliardi di dollari, ed una a Londra che effettivamente mi sembra la sola capitale europea, intesa come continente, che può sostenere economicamente una struttura del genere. Sempre secondo il tassista se volete fare pubblicità sulla sfera la tariffa parte da 5 milioni di dollari!
Del concerto ho scritto giusto due righe sui social. Sono un fan degli U2, li ho visti tre volte a Roma e sicuramente rimane indimenticabile per me il concerto del maggio 1987 perché erano giovani loro, ero ancora per un giorno diciassettenne io e perché le cose di una volta erano più genuine di come sono adesso, ma è chiaro che anche se né loro né io siamo più gli stessi questo di Las Vegas rimarrà il mio secondo concerto preferito tra i quattro visti, perché la spettacolarità di questa struttura è ovviamente senza pari.
Lo schermo si fa fatica anche solo a definirlo uno schermo. La qualità dell’immagine è incredibile, tanto che sembra dipinto, e quando durante il concerto ad un certo punto viene “proiettato” l’esterno della sfera, chiaramente non in tempo reale ma con un video registrato, la sensazione che si prova è davvero di essere all’aperto e se avessero spruzzato sulle nostre facce un po’ di aria fresca, come avviene in un paio di occasioni durante il film di Aronofsky, ci avremmo sicuramente creduto. Durante lo show vengono proiettati dei video creati ad hoc e ci sono veramente dei momenti di capogiro e in cui ci si perde nelle immagini, che riescono anche a giocare con la tridimensionalità dello spazio. Ma anche quando lo schermo viene utilizzato “solo” per proiettare le immagini riprese live durante il concerto da una quantità di camere robotizzate che si muovono intorno al palco, il risultato è davvero stupefacente, come nessun video può rendere l’idea, anche se ci ho provato con un paio di contenuti pubblicati sui social.
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Le cartoline dalla terra di Aronofsky fanno parte di una esperienza che prevede l’interazione, molto limitata per la verità, con alcuni robot nel foyer del cinema, ma onestamente potete risparmiarvela e prendere posto in sala, dove i posti migliori, e dal prezzo più alto, sono tra il settore 200 e 300. Il film si poteva vedere, almeno quando sono andato io, solo ai settori centrali e non erano in vendita i posti dei settori laterali che invece si potevano acquistare per il concerto, dove la sala era ovviamente tutta esaurita (e dagli ad aggiungere date). Il prezzo varia a seconda della posizione, ma siamo nell’ordine di 10 volte il costo di un biglietto di un IMAX come il BFI di Londra, tra i 1500 e i 250 dollari a poltrona, non poco, ma è davvero un’esperienza da wow (si vedono i wow nei miei video e foto) che vi ricorderete.
Il film non si distingue certo per un plot estremamente originale, non siamo lì per la storia anche se comunque è una storia che si fa bene a raccontare visto quello che sta succedendo al clima. Due viaggiatori spaziali si svegliano dal criosonno e il computer che li accompagna gli mostra delle immagini, della cartoline appunto, della terra per aiutarli a ricordare perché sono lì. Il prologo si svolge all’interno di uno schermo, rettangolare, enorme ma normale, poi, appena cominciano, le cartoline prendono il sopravvento e usano tutto lo spazio a disposizione per travolgerci in questo viaggio sulla terra che non è solo un viaggio tra terra, mare e meraviglie costruite dall’uomo, ma anche un ripercorrere la storia del pianeta e della vita, dalle origini in mare, fino agli essere umani, al nostro invadere il pianeta a un ritmo sempre più frenetico, alle catastrofi del cambiamento climatico e fino ad abbandonare il nostro pianeta.
Non svelo il finale, faccio solo i complimenti all’evoluzione delle tecnologie di terraformazione di Aronofsky, che ovviamente usa questo film per tornare su dei temi a lui cari, realizzando un contenuto che assomiglia un po’ ai primi film speciali realizzati apposta per l’IMAX, ma con un filo conduttore degno di nota.
Ah, non ne ho parlato abbastanza ma anche l’audio è qualcosa di davvero spettacolare, tra l’altro, ho scoperto, con un tocco di tecnologia italiana fornita dalla Powersoft di Firenze.
Il film si chiude come è giusto che sia con i titoli di coda, che compongono però un collage tutto intorno al titolo del film. E così i 2000 nomi dei credits di questo film, breve, sono 50 minuti, sono a loro volta un saggio della dimensione di questo schermo, grande come 4 campi da football.
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