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La Chimera deve essere un nuovo inizio per Alice Rohrwacher

Pubblicato il 26 ottobre 2023 di Giulio Zoppello

Senza dubbio tra le personalità più originali e autentiche del panorama autoriale italiano, Alice Rohrwacher con La Chimera firma il capitolo finale di una trilogia interessante e coerente, ma conferma anche il limite di una cinematografia fin troppo autoreferenziale e chiusa. Soprattutto, è un film che per quanto attraversato dai temi tipici dell’autrice, non ne dà una definizione poi così diversa, una rappresentazione che sappia andare oltre una fusione tra finzione e realismo abbastanza incisiva.

Tra i tombaroli di una Toscana segreta

Con La Chimera, Alice Rohrwacher torna a parlarci degli ultimi, di una Toscana a metà tra presente e passato, distante dalla civiltà modernamente intesa eppure ad esse legata per necessità storica e fattuale. Protagonista è l’inglese Arthur (Josh O’Connor), che è appena uscito dalle patrie galere in quell’Italia degli anni ’80 dove pare non avere realmente un posto o un fine. Esperto di archeologia, per una serie di eventi imprevedibili, è finito infine a far parte di una banda di tombaroli, di reietti distanti da tutto e da tutti, che vivono seguendo un proprio codice e delle proprie leggi. Arhtur è schivo, irritabile, taciturno, armato di un dono che però gli permette di individuare tombe etrusche e templi ancora ignoti all’uomo, trova solo nella compagnia della vecchia Signora Flora (Isabella Rossellini) qualcosa di autentico. Piange ancora la fine della sua storia d’amore con Beniamina, ma chissà che la giovane Itala (Carol Duarte) non possa aiutarlo a ritrovare un senso e un qualcosa in più nella sua vita che scavare per terra e violare i sepolcri di anime antiche. La Chimera si muove, coerentemente con Le Meraviglie e Lazzaro Felice, dentro un luogo-non luogo, distante dalla dimensione urbana, dalla supposta civiltà moderna, che quando compaiono, vengono dipinte in modo conflittuale, quasi malvagio, perché in fondo non esiste alcuna possibile mediazione tra questo mondo e quello dove Arthur e gli altri vivono. Si respirano gli echi un qualcosa del cinema di Scola, nonché naturalmente di Pasolini, ma senza che questo tolga qualcosa di autenticamente genuino all’insieme, che è e rimane un film alla Rohrwacher dal primo all’ultimo minuto. Si potrebbe aggiungere “con i pro e i contro del caso” ma qui occorre precisare che è dal 2011 di Corpo Celeste che la narrativa e la semantica di questa autrice è nota. Il che significa riconoscerne natura divisiva o come minimo diversa dal concetto di accessibilità universale, qualcosa che la regista non ha mai voluto perseguire. La domanda è se però nel 2023 tale elemento sia un pregio o un difetto.

Un film coerente ma che aggiunge poco ad un percorso

O’Connor rende il suo Arthur uno spirito inquieto di grande impatto. Alto, ricurvo su sé stesso, asociale ma incapace alla fine di stare da solo, appare un’anima in pena e alla ricerca di una risposta come diversi altri personaggi della regista. La Chimera ha una natura di racconto sovente grottesco, fiabesco, ogni tanto si rompe la quarta parete, ogni tanto si accelera per rendere l’insieme semi-collodiano. Fantasia e realtà non sono distinguibili, mentre la spiritualità si fa largo sia nel protagonista, che soprattutto nella figura di Itala, pure lei diversa dagli altri, isolata e simbolo di una moralità che il resto del gruppo rinnega. Per necessità certo, sono vittime per la Rohrwacher, ladri di polli che la civiltà, nelle vesti di Alba Rohrwacher, sfrutta come ha sempre fatto. Il problema con La Chimera nasce da un ritmo fin troppo autocontemplativo, con acuti che si susseguono ma senza riuscire a creare un vero collegamento con il resto. Il tema della solitudine? Lo avevamo già visto. Quello del legame con la terra, la natura, sovente violata e percossa, la riscoperta del concetto di fola e folklore narrativo? Pure questa semantica l’avevamo già vista. Diretto con mano molto sicura, con una fotografia di Hélène Louvart di grande respiro, La Chimera è però un film che non aggiunge né toglie nulla alla trilogia di cui compie il destino. Il problema per la Rohrwacher appare evidente stia nella sua capacità di scrittura, davvero alle volte più che incostante, non equilibrata a livello di scene e dialoghi. Interessante come si affrontino temi come la vita, la morte, il legame col passato e il classismo (alla Rohrwacher non interessa che sia matriarcale o patriarcale) ma è come se tutti questi elementi facessero ogni volta il giro con lo stesso numero, lo stesso scherzo, la stessa incapacità di armonizzarsi in qualcosa di diverso. Rimane ad ogni modo un film coerente con un percorso che ora però necessità di una svolta, di uno scatto, di una maturazione.