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Il libro delle soluzioni, o essere Michel Gondry

Pubblicato il 31 ottobre 2023 di Lorenzo Pedrazzi

Tracce di Michel Gondry – l’uomo, non solo l’artista – sono disseminate in ogni suo film. Se pensiamo al Joel Barish di Eternal Sunshine of the Spotless Mind e allo Stéphane Miroux de L’arte del sogno, non c’è dubbio che entrambi rispecchino la personalità del regista, e il suo smarrimento di fronte alle pene d’amore. Il libro delle soluzioni è però il primo caso in cui Gondry mette in scena un doppio conclamato di sé stesso, all’interno di una vicenda semi-autobiografica: anche per lui, insomma, è arrivato il momento di esporre non solo i meccanismi del suo processo creativo, ma la sua frustrazione professionale in quanto cineasta, le difficoltà di un mestiere ricco di incognite e pressioni esterne.

D’altra parte, lo diceva anche François Truffaut in Effetto notte: «Un regista è uno a cui vengono fatte in continuazione domande… domande su qualsiasi cosa… a volte lui sa la risposta, a volte no». Probabilmente Gondry non avrebbe difficoltà ad approvare questa definizione, vista l’esperienza che riversa nel film. Ispirandosi a ciò che accadde durante la produzione di Mood Indigo (forse la sua opera più sofferta e complessa), Gondry immagina la storia di Marc Becker (Pierre Niney), regista in crisi che si rifugia dalla zia Denise (Françoise Lebrun) per terminare il suo nuovo film. Con lui ci sono l’assistente Sylvia (Frankie Wallach) e la montatrice Charlotte (Blanche Gardin), costrette a gestire le intemperanze creative di Marc: non vuole revisionare le scene, dirige un’orchestra con il corpo, propone una tecnica di montaggio non cronologica, pianifica di inframezzare i due tempi del film con un corto animato, e si mette persino a girare un documentario su una formica. Intanto, i suoi pensieri vagano spesso in direzione di Gabrielle (Camille Rutherford), una ragazza che lo ha aiutato a fuggire dai produttori. Per mettere ordine, Marc recupera un progetto d’infanzia: il libro delle soluzioni, manuale che dovrebbe contenere i rimedi a tutti i problemi del mondo.

Tutto il suo cinema è la confessione a cuore aperto di una sensibilità che stride col mondo reale, ma stavolta Gondry sceglie di mettersi davvero a nudo, senza troppi sconti. Marc è un uragano di idee, ma è anche ingestibile, a volte aggressivo, inopportuno e volubile: un incubo per chiunque debba lavorarci assieme. In effetti, contrariamente ad altri registi (o scrittori) che si rappresentano nelle loro opere, Gondry non cerca l’autoindulgenza. Viene da chiedersi dove si fermi la cronaca e inizi la fantasia, considerando l’atteggiamento tossico di Marc verso Sylvia e Charlotte. Per fortuna Gondry ha anche il dono dell’autoironia, e si guarda allo specchio tramite un film spassoso, dove l’umorismo e la stravaganza smorzano il disagio.

La sua capacità di amalgamare tecniche diverse – dal digitale all’animazione in stop-motion, passando per i pupazzi e le scenografie artigianali – valorizza proprio il contrasto tra la fantasia di Marc e il mondo reale: estrapolate dal sogno, le sue invenzioni si dimostrano spesso un intralcio alla vita quotidiana, e non aiutano per niente il lavoro della troupe; esemplare, in tal senso, l’assurdo “camiontaggio” che Marc costruisce per Charlotte, una sala di montaggio ricavata dall’abitacolo di un camion. I trucchi di Gondry non sono mai stati tanto calati in un ambiente verosimile, e l’effetto che suscitano ne Il libro delle soluzioni è ben lontano dall’antica meraviglia. Se mai, qui sono la testimonianza di un carattere insofferente e idiosincratico, estroso ma fin troppo astratto. Ciò che ne consegue è una disanima spietata, lucida e onesta di sé stesso, che ci permette di guardare al cinema del regista francese con occhio disincantato. Significativa è anche l’inutilità dell’eponimo libro: una soluzione non richiesta a un problema inesistente, frutto del caos che regna nella testa di Marc.

Non manca però una sfumatura di tenerezza, sia nel rapporto con la zia Denise sia nell’amore per Gabrielle. Eppure, il parziale riscatto che ne deriva non si fa troppe illusioni: tralasciare le vecchie abitudini è molto arduo, soprattutto quando la fantasia è un rimedio tanto seducente agli obblighi del mondo. Gondry sa che non potrà cambiare mai, e non si fa problemi ad ammetterlo.