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Ahsoka, il finale della miniserie: il vero erede dell’impero (spoiler)

Pubblicato il 04 ottobre 2023 di DocManhattan

Qui è dove parliamo del finale della miniserie di Ahsoka, conclusasi oggi su Disney+ dopo otto episodi. D’ora in avanti SPOILER: proseguite nella lettura solo dopo aver visto l’episodio 8.

QUARANTA MINUTI ESTREMAMENTE DENSI

Le cose che succedono in questo finale sono tante. Talmente tante che più che dare una frettolosa conclusione a tutte le sottotrame in ballo, “Ottava parte: La Jedi, la strega e il signore della guerra” sposta i suoi pezzi sulla scacchiera e ne predispone diversi per quello che verrà dopo, in una sorta di mega-cliffhanger a più facce.

Difficile, purtroppo, vedere degli sviluppi per la storia di Baylan Skoll, personaggio sfaccettato e perciò interessantissimo il cui interprete, Ray Stevenson, è da poco scomparso. Ma per tutti gli altri c’è ancora in gioco tanto. Thrawn ha finalmente fatto la sua mossa, e chiunque abbia letto la sua trilogia scritta da Timothy Zahn negli anni Novanta sa che ora sì, è lui il vero “erede dell’impero” (il titolo del primo libro di quella saga).

L’esilio di Thrawn e il coinvolgimento della magia oscura delle Grandi Madri ha dato vita a un’armata di fan del kintsugi, trooper con le armature non solo sporche ma rattoppate e frantumate, guidati da quel gran mascherone d’oro di Enoch, il capitano della guardia di Thrawn. Non è niente di particolarmente nuovo o originale, eppure nel mondo delle storie live action di Star Wars quelle armature malridotte e non più di plastica lucida funzionano quanto i camminatori in spiaggia in Rogue One o i complotti da spie di Andor: si reinterpreta il classico, il canone, in un modo diverso.

Lo stesso può dirsi per il rapporto tra Ahsoka e Sabine (la pazienza che deve avere un maestro nei confronti del suo Padawan, guarda…), o per quello più peculiare tra il menzionato Baylan Skoll e frangettina color paglia, Shin Hati, che lasciamo alla guida di una sua banda e con un bel programmino di vendetta.

L’unica storia che sembra aver trovato una sua chiusura è la rimpatriata tra Ezra e Hera, ma per il resto è tutto un discorso aperto, in pratica. Per? Una seconda stagione? Il Mando-film di Filoni e Favreau? Vedremo.

ALL’OMBRA DELL’ULTIMO (DOPPIO) SOLE

E dopo un’altra serie (la quinta), torniamo al discorso di base su ciò che Star Wars, oggi, deve e può dare. Parlare di fan di Star Wars è semplice, ma la materia è talmente stratificata e ramificata che lì occorre operare tutta una serie di distinguo. I gadget a tema di spade laser e i pupazzetti di Grogu ce li hanno tutti, ma fan lo è sia chi ha visto solo i film, sia chi è partito da The Mandalorian, sia chi ha letto ogni singolo libro e fumetto della saga, e ha già pronto nell’armadio il cosplay da Depa Billaba per Lucca Comics. Vista l’importanza strategica che tutto il brand ha in seno a Disney, dovrebbe seguirsi pertanto la regola d’oro dei marines: non lasciare mai indietro nessuno, indipendentemente dal suo livello di passione per questo mondo.

Bene, con Ahsoha Dave Filoni ha deciso di percorrere invece la strada apparentemente più spinosa: tirare dritto, dando per scontate una serie di cose che chi era a digiuno dei cartoon di Star Wars come Rebels (ma non solo) non conosceva, e sperando che episodio per episodio il pubblico riuscisse ad assimilare comunque le informazioni principali ed entrare in sintonia con i personaggi.

Quanto l’operazione sia riuscita non è semplice per me dirlo, perché questi personaggi e le loro storie li conoscevo già. Posso solo supporre che in ogni caso, e anche senza tirare in ballo le comparsate di lusso che Ahsoka come serie si regala, nel complesso lo show funzioni anche per chi non aveva mai incontrato prima d’ora Ezra o Hera Syndulla. Ha una protagonista carismatica come quella interpretata da Rosario Dawson. Ha un villain che cela fino all’ultimo secondo utile la sua mossa. Ha una storia fatta di amicizia, tradimento, patti rispettati e infranti.

LA JEDI E IL DRAGONE

E ha anche tutto quello che ha fatto di Star Wars, beh, Star Wars. Non è un caso che la signorina Tano venga definita nell’ottavo episodio una ronin, cioè una samurai senza padrone, viste le fortissime influenze del cinema di Kurosawa che hanno accompagnato le sue apparizioni già in The Mandalorian. Ahsoka riprende quel tipo di elemento, centralissimo sin dal primo film di Star Wars (abbiamo parlato tante volte del casco di Darth Vader e dell’abito di Obi-Wan, entrambi derivanti dai samurai, o di come Lucas si sia ispirato a La fortezza nascosta), e come gli episodi migliori di The Mandalorian aggiunge tutte le altre componenti. Vale a dire l’avventura su scala cosmica, i dogfight, lo space western (nel settimo episodio con tanto di carosello degli indiani attorno ai carri messi in cerchio…), perfino il wuxia nel combattimento tra Ahsoka e Morgan Elsbeth. L’interprete di quest’ultima, Diana Lee Inosanto, è del resto talmente legata alle arti marziali che il suo padrino di battesimo è stato Bruce Lee.

No, sul serio.

Tante cose, dunque. Tanti volti e tante storie. E invece di stonare, a mio modo di vedere, hanno reso questo finale più interessante, sottraendolo alle logiche trite e ritrite del singolo scontro finale da film di super-eroi. Thrawn è ora, anche per chi non lo conosceva prima, una minaccia ben più credibile di quegli scappati di casa del Primo Ordine. Ahsoka è sempre Ahsoka. E la galassia lontana lontana ora è anche dannatamente più vasta.

Perciò sì, non so dove, non so come, ma voglio vedere come continua tutto questo.