A dispetto dell’assenza dei volti più attesi, delle star, impegnate nello sciopero contro le major, Venezia 2023 si è conclusa con un bel successo di pubblico e critica, con una ritrovata armonia per ciò che riguarda i premi finali e le scelte fatte dalla giuria guidata con stile da Damien Chazelle. Un Festival di rottura per molti aspetti con la precedenti edizioni, dove tuttavia permangono dubbi e perplessità su alcuni aspetti, soprattutto sul futuro, visto che il percorso di Barbera appare al capolinea.
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Partiamo da un presupposto: Chazelle e gli altri giurati (giuria molto cinefila di alto profilo) hanno saputo arrivare alla conclusione di questa Biennale veneziana dimostrando di avere bene o male gli stessi gusti della critica specializzata ed anche del pubblico in larga misura. Nessun gioco di prestigio e soprattutto premi “politici” o “dovuti” ridotti all’osso. Il Leone d’oro a Lanthimos per Poor Things era quasi obbligato, visto il grande risultato ottenuto dal cineasta greco. Da italiani, vedere Matteo Garrone con il suo Io Capitano portarsi a casa Miglior Regia e il Mastroianni per Seydou Sarr è stato bellissimo, ma anche qui la meritocrazia è stata oggettiva. Forse qualche amaro in bocca per Agnieszka Hollanda ed il suo Green Border, visti i precedenti delle ultime edizioni, dove le donne avevano trionfato; ci sperava nel Leone d’oro, ma il Gran Premio della Giuria è un risultato di enorme prestigio. Anche il Leone d’Argento a Ryusuke Hamaguchi per Il Male Non Esiste è stato giustissimo. Se per Peter Sarsgaard, protagonista con la Chastain di Memory di Michel Franco, la Coppa Volpi poteva starci come no (l’alternativa più popolare era Caleb Landry Jones per Dogman), le perplessità appartengono alla Coppa Volpi femminile e al Premio alla Sceneggiatura. Premiare Cailee Spaeney per Priscilla è apparsa una svista clamorosa, non tanto per la Stone (se pigli il Leone ti fermi lì, si sa), quanto per la straordinaria Lea Seydoux di La Bète, nonché per la Carey Mulligan di Maestro o la toccante Małgorzata Hajewska-Krzysztofik di Kobieta Z…; di tutte le possibili candidate, lei era la più debole in modo palese. L’unico premio in cui si è respirata l’aria di compresso poco artistico. Poi c’è El Conde di Pablo Larrain. La sceneggiatura (troppo irregolare e prolissa) era il vero problema, perché premiarla? Anche Orizzonti Extra che premia la Ramazzotti appare qualcosa di assolutamente evitabile. Felicità di fronte ne aveva eccome di titoli, mentre invece nulla da dire per El Paraiso: il riconoscimento alla sceneggiatura di Artale ci sta tutto.
Ma allora se i premi sono andati così bene, cosa gli vuoi dire a questa Venezia 80? Andiamo con ordine. Il Concorso ufficiale ha lasciato (tanto per cambiare) abbastanza perplessi su presenti ed esclusi. Holly, Origin, Lubo, La Teoria del Tutto, Priscilla, Ferrari per esempio da Concorso Ufficiale onestamente non erano neppure alla lontana. Se per Mann si può anche pensare ad un’eccezione (ma perché poi?) gli altri titoli potevano essere tranquillamente sostituiti da tante opere che o sono finite Fuori Concorso, o sono state relegate in Orizzonti, dove la qualità negli ultimi anni è altissima. Hollywoodgate, Hit Man, The Featherweight, Tatami, Una Spiegazione per Tutto ma soprattutto Hokage di Tsukamoto gridano vendetta a pieni polmoni. Appare chiaro che qualcosa nella ripartizione e selezione deve essere rivisto, perché la credibilità altrimenti scricchiola e non è manco la prima volta, pure l’anno scorso si era verificato. Per quello che riguarda i grandi maestri presenti, ci sono due cose da dire: la prima è che Coup de Chance di Allen era da Concorso. Sarebbe stato imbarazzante? Allora perché ospitarlo al Lido in ogni caso? La seconda è che non basta essere nomi di alto profilo per starci a Venezia. The Palace di Polanski è uno dei più brutti film visti alla Biennale da anni, non doveva starci. Per quello che riguarda l’identità del Festival, almeno quest’anno si è smesso di essere americanocentrici e succubi di Netflix come purtroppo sotto Barbera è diventata prassi. Non arriva nulla dall’Africa, dall’Asia sostanzialmente solo i maestri giapponesi, nulla da Corea, Cina, Filippine, poco dal Sudamerica. Questa è una Mostra del Cinema, non è un Festival per le major e basta, forse nei prossimi anni qualcuno dovrà anche ricordarselo. Chi sarà quel qualcuno? Barbera è all’epilogo del suo percorso, contando l’esecutivo ora in carica e la sua volontà di controllo, c’è poco da star tranquilli.
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