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La furente bellezza di Tatami

Pubblicato il 05 settembre 2023 di Lorenzo Pedrazzi

Si dice spesso che il cinema sia l’arte popolare per eccellenza, ed è vero: nelle sue espressioni più nobili, il cinema può essere letteralmente un’arte “del popolo”, in grado di dare voce alle istanze della contemporaneità. Attraverso di esso, un popolo grida le sue battaglie, le consacra agli occhi del mondo, le sublima nell’arte per farne memoria. È anche per questo motivo che il cinema è così ricettivo nei confronti della Storia: ha il potere di narrarla nel suo “farsi”, assimilando gli umori di chi la vive in prima persona. E, in quanto arte capace di imitare fedelmente la realtà, esprime tali umori nel modo più immediato e persuasivo.

Tatami è il primo film co-diretto da una regista iraniana (Zar Amir Ebrahimi) e da un regista israeliano (Guy Nattiv), e già questo la dice lunga sull’importanza storica del progetto. Anche la trama è significativa: Leila (Arienne Mandi) è una judoka iraniana che rappresenta il suo paese ai mondiali di judo di Tibilisi, dove passa i primi due turni senza difficoltà. Con ottime possibilità di arrivare fino in fondo, il suo umore è alle stelle. La sua allenatrice Maryam (interpretata dalla stessa Zar Amir Ebrahimi) riceve però una telefonata dalla federazione iraniana di judo: siccome esiste la possibilità che Leila affronti in finale una judoka israeliana, la Repubblica Islamica non vuole che una propria atleta condivida il tatami con una rappresentante del “regime occupante”. Di conseguenza, l’ordine è di fingere un infortunio e ritirarsi dal campionato. Ovviamente Leila decide di opporsi alla richiesta del ministero, ma la situazione ben presto diventa critica: suo marito, suo figlio e i suoi genitori sono in pericolo.

Il film è scandito dagli incontri della protagonista (con tanto di cartello a schermo), e questo semplice espediente permette di costruire una trascinante escalation narrativa, dove ogni combattimento sul tatami si fa più disperato, ogni lotta coagula in sé nuovi timori e frustrazioni. Per Leila, il judo è una via di affermazione individuale che le permette di smarcarsi dalla soffocante oppressione del suo paese, e non può accettare che le venga tolta anche quella. La sua non è più soltanto una lotta di proiezioni e leve, ma una battaglia vitale che riecheggia quella di tutte le giovani donne iraniane. Tatami, non a caso, arriva un anno dopo l’inizio delle proteste per la morte di Mahsa Amini, la ventiduenne arrestata il 13 settembre 2022 a Teheran per aver indossato l’hijab nel modo sbagliato, e poi deceduta in circostanze molto sospette: i testimoni affermano che sia stata picchiata dagli agenti, mentre la spiegazione ufficiale della polizia (Mahsa Amini avrebbe battuto la testa in seguito a un infarto) non è affatto credibile. La scena in cui la protagonista si toglie l’hijab per farsi medicare durante un incontro, e poi continua a combattere a testa scoperta, è emblematica: Leila compie lo stesso gesto delle manifestanti iraniane, che si sono tolte il velo in segno di protesta nelle scuole e nei cortei. Il cinema attinge alla realtà per farne un simbolo.

È paradossale che l’epopea di Leila sia legata proprio al judo, la “via dell’adattabilità”, arte marziale basata sull’elasticità passiva e sul contrattacco: se la judoka ha imparato a essere adattabile sul tatami, al di fuori di esso deve mantenere la posizione, restando fedele ai suoi princìpi. Mentre la sua vita rischia di andare in pezzi, i muscoli le dolgono e un misto di sangue e sudore le scorre sul viso, Leila diventa una forza attiva per il cambiamento. Il suo ruolo non è diverso da quello della stessa Ebrahimi, vincitrice del premio come migliore attrice a Cannes per Holy Spider, e molto attiva socialmente per migliorare la condizione delle donne in Iran: in entrambi i casi, si tratta di donne che si battono attraverso le rispettive arti. La sua collaborazione con l’israeliano Nattiv dimostra come il cinema sia molto più avanti della politica, poiché arriva laddove le istituzioni non hanno il coraggio (o la volontà) di spingersi.

Al contempo, però, Tatami è anche un grande film sportivo, capace di tenerci in punta di sedia con la sua cinepresa che balla attorno alle lottatrici durante gli incontri, e le inquadrature strettissime – rese ancora più anguste dal formato in 4:3 – che ne colgono ogni sforzo fisico. La furia di Leila diviene anche la nostra, mentre sboccia una toccante solidarietà femminile. È anche così che la Settima Arte racconta la Storia: elevando la vita a finzione esemplare, modello di riferimento e catarsi per chi combatte realmente quelle battaglie.