Dodici anni dopo Colorful, Keiichi Hara torna a parlare di bullismo e delle pressioni che attanagliano gli adolescenti giapponesi in Il castello invisibile, adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Mizuki Tsujimura.
Protagonisti di questa pellicola sono sette studenti che per vari motivi non possono andare a scuola e vengono convocati attraverso uno specchio in un castello magico. Qui dovranno trovare una chiave che gli permetterà di esaudire qualsiasi desiderio, ma ha una condizione…
Scritto da Miho Maruo, qui alla quarta collaborazione con Hara, il film tratta alcuni dei temi più spinosi della società contemporanea giapponese: il bullismo e il rifiuto degli studenti di frequentare la scuola.
La pellicola è un ottimo spunto per parlare di altri temi molto importanti sia a scuola che in famiglia, che non riguardano solo la società giapponese: la fuga dalla realtà, il trovare il coraggio di affrontare le avversità, sacrificare se stessi, aiutare chi è in difficoltà…
In questo adattamento il racconto corale di Tsujimura diventa prevalentemente la storia della piccola Kokoro Anzai, che pian piano scopriamo essere stata vittima di bullismo da parte delle sue compagne di scuola. Incapace di raccontare quanto accaduto alla madre, e non potendo contare sul supporto degli insegnanti, la ragazza si trova completamente sola fino a quando un giorno il suo specchio si illumina, e lei si trova catapultata in un castello.
Il luogo gestito dal Venerabile Lupo, una bambina misteriosa con indosso un vestito rosso e una maschera da lupo, diventa ben presto il rifugio dei piccoli protagonisti dai problemi che li attanagliano nel mondo reale.
Viene costruito un mondo credibile e ben dettagliato, che attinge diversi elementi dalla realtà e dal mondo fantasy e non ha bisogno di perdere tempo in inutile esposizione e può concentrarsi sulla storia.
I problemi mentali e i rapporti tra gli adulti e i bambini sono ben rappresentati e si tende a stabilire un solido legame emotivo con Kokoro. Purtroppo non si può dire altrettanto del resto dei personaggi, questo perché solo Kokoro, Aki e Rion sono gli unici ad avere un arco narrativo abbastanza sviluppato.
Maruo non riesce a ben gestire questa moltitudine di personaggi e, nonostante tutto il tempo dedicato alla protagonista, il finale da una sensazione di incompletezza. Non aiuta poi il fatto che alcuni passaggi risultano un po’ confusi, guardando il film si ha l’impressione che Maruo abbia preso i momenti essenziali del libro e non li abbia collegati. Si ha così la costante impressione che manchi qualcosa.
Questo non aiuta lo spettatore a essere investito come dovrebbe nel racconto delle piccole e grandi tragedie personali dei vari personaggi che, risultano per lo più abbozzati e senza un arco narrativo. Se da una parte la semplificazione delle loro storie permette una narrazione più snella, diventa un punto a sfavore nella parte finale, in quanto non si viene a creare il pathos necessario.
Un altro problema è la gestione della tensione nel corso del film, sia a livello di scrittura ma sopratutto a livello visivo, in particolare nella sequenza chiave delle ripercussioni delle azioni di Aki.
Senza fare spoiler stiamo parlando di un punto cardine della storia che purtroppo non offre il pathos che meriterebbe questa sequenza, in particolar modo quando il benessere dei giovani protagonisti è minacciato. La versione a fumetti riesce a gestire molto meglio la narrazione rispetto al film, ed è un vero peccato.
Da un character designer come Keigo Sasaki, direttore delle animazioni in questo film, mi sarei aspettata qualcosa di più. Il design dei personaggi risulta quasi anonimo, una delle tante produzioni giapponesi, nulla di più.
Per quanto riguarda l’animazione, ci sono numerose scene con la macchina da presa ferma o delle carrellate laterali, la qualità dell’animazione è decente ma non prova mai ad alzare il livello di quello che sta raccontando. Anche l’animazione dei personaggi è ridotta al minimo, ci troviamo di fronte a un film che non è riuscito a tirar fuori il meglio dal suo staff.
Ci sono alcuni bei momenti sia a livello di animazione che di sonoro, ad esempio la scena che ha portato Kokoro a non andare più a scuola, o la scena chiave di Aki. Qui lo spettatore viene immerso nei rispettivi incubi delle due ragazze, ma poi il film tende a perdersi nel momento più importante, la parte finale.
La colonna sonora di Harumi Fuuki inficia il lavoro del suono in alcune delle scene di maggior tensione del film. Dopo aver visto Il castello invisibile difficilmente qualche traccia vi sarà rimasta impressa in testa a differenza del tema finale Merry Go Round di Yuuri, una canzone struggente che ben si addice al film
Un film che vale la pena di essere visto per i temi trattati, su come gli adulti e i ragazzi possono affrontare questi temi e aiutare chi è in difficoltà. Aggiungo che la pellicola merita una seconda visione per apprezzare meglio il lavoro di foreshadowing e per apprezzare di più alcuni passaggi.
Il mistero su cui è stata costruita la storia non è stato ben gestito, mancano la tensione e il pathos necessari per elevare questa pellicola sopra la media. La pellicola non offre nulla di particolare sia a livello visivo che narrativo, e alla fine del film avvertirete questa straniante sensazione che “manca qualcosa”.