C’è una cosa che unisce tutte le persone (o almeno gran parte di loro) che dividono il tetto con un animale domestico, che si tratti ci cane, gatto o altro. Io rientro in questa categoria, ad esempio, e nella mia testa il mio gatto, Max, è in grado di eseguire pensieri complessi, pur mantenendo l’ingenuità di un essere vivente che non è in grado di comprendere al 100% l’universo degli umani.
Ogni giorno guardiamo i nostri amici a quattro zampe, loro ci guardano a loro volta e nella nostra testa si manifesta una voce, la loro voce. E noi rispondiamo, qualche volta li sgridiamo, convinti che possano capirci (ma poi perché dubitare, certo che ci capiscono!).
Doggy Style, la commedia diretta da Josh Greenbaum e scritta da Dan Perrault (nome dietro la riuscitissima serie Netflix American Vandal) parte appunto da questo presupposto, condendo il tutto con abbondanti dosi di volgarità ma anche molto sentimento e proponendoci un’avventura estiva che ricorda molto lo spirito di intramontabili cult anni ’80 come Stand By Me. Una storia di formazione e (ri)scoperta personale con tutte le scorrettezze tipiche di produzioni come I Griffin o delle commedie firmate da Seth Rogen e Evan Goldberg.
Il film racconta la storia di Reggie, un Border Terrier abbandonato dal suo padrone, Doug, per le strade pericolose della città. Reggie è convinto che il suo padrone non l’abbia abbandonato volontariamente, ma quando incontra Bug, un Boston Terrier che non crede nella bontà dei padroni, capisce quanto Doug sia senza cuore e quanto tossico fosse il loro amore. Determinato a vendicarsi, Reggie si allea con Bug e altri due cani, Maggie e Hunter. La missione di questo gruppo? Aiutare Reggie a tornare a casa per farla pagare a Doug.
In poco più di un’ora e mezza, Doggy Style alterna momenti molto (MOLTO) volgari a temi più profondi come, ad esempio, le relazioni tossiche, come identificarle e come rinforzare la propria autostima. Il tutto in maniera assolutamente fluida, senza la minima impressione che ci siano forzature, a partire da quello che, sulla carta, si presentava come il principale ostacolo di una produzione del genere: gli animali parlanti.
Non era una cosa scontata, per certi versi non ci era riuscita neanche la Disney con la nuova versione de Il Re Leone: mettere sullo schermo degli animali assolutamente realistici, senza caratteristiche antropomorfe, e farli parlare con l’aiuto della CGI non è mai una cosa semplice ma all’interno dell’universo di Doggy Style, che rappresenta una parodia estremizzata della realtà anche quando in scena ci sono gli umani, risulta coerente.
Anzi, sono proprio i momenti in cui la CGI perde colpi a catapultarci fuori da un racconto che per il resto si accetta facilmente a partire dal primo minuto.
Sia chiaro, non stiamo parlando di un capolavoro ma si tratta certamente di un film in grado di dosare in maniera ottimale le sue due componenti principali: divertimento (ovviamente destinato a un pubblico adulto) e cuore.
Non era certamente una cosa scontata.