Cinema roberto recchioni Recensioni

Un dialogo immaginario per raccontare The Equalizer a qualcuno che The Equalizer non lo ha mai visto…

Pubblicato il 30 agosto 2023 di Roberto Recchioni

Ciao!

Ciao, mio amico immaginario!

Questa sera volevo andare al cinema…

Ottimo!

…pensavo di andare a vedere The Equalizer 3, ma non so niente della serie.

E immagino che tu voglia che ti racconti qualcosa, giusto?

Esatto!

Va bene, iniziamo. Diciamo che tutto nasce da una sorta di abbaglio di Hollywood, quando tutte le major si mettono in testa che il nuovo filone da sfruttare sono i remake cinematografici di vecchie serie televisive. Il via alla moda nasce, probabilmente, dal successo prima de Il Fuggitivo di Andrew Davis, con Harrison Ford, e poi di Mission: Impossible di Brian De Palma, con Tom Cruise. In seguito il fenomeno si consolida con il più che notevole risultato della versione per il grande schermo delle Charlie’s Angels di McG. A quel punto, inizia ad arrivare un poco di tutto, dal Miami Vice di Michael Mann a film tratti da serie come l’A-Team, i CHiPs, Starsky & Hutch, Hazzard

E vanno tutti bene?

A dire il vero, no. Alcuni vanno bene, alcuni meno. Altri sono proprio dei disastri… ma lo sai come è fatta Hollywood, no?

A dire il vero non so niente, è per questo che sono qui…

Allora, diciamo che il più grande bisogno di Hollywood sono le storie, non storie qualsiasi ma storie che garantiscano, almeno in teoria, un risultato, che siano sicure, che si rifacciano a un modello che ha già dimostrato di essere di successo. In questo senso, il film tratti dalle vecchie serie televisive (i “telefilm” come si chiamavano allora) sembravano avere tutte le caratteristiche giuste. Erano racconti e personaggi già rodati che avevano già dimostrato di funzionare, sfruttavano il meccanismo della nostalgia presso un certo tipo di pubblico e, cosa non trascurabile, erano IP che, in qualche maniera, le major avevano già in casa. Non è tanto diverso da quello che è successo poi con i cinecomics, i film tratti dai fumetti.

Capito. Quindi, The Equalizer è tratta da una serie televisiva…

Sì, ma la cosa strana è che non prende le sue mosse da una particolarmente famosa o amata. Creata da Michael Sloan e Richard Lindheim (che potremmo definire come “due perfetti sconosciuti”) e andata in onda sulla CBS tra il 1985 e il 1989, la serie si compone di quattro stagioni e racconta la storia di Robert McCall, un agente dell’intelligence, ritiratosi a vita privata, che decide di diventare un “raddrizza torti di quartiere”, uno che, se vede un’ingiustizia, interviene per sistemarla. Con i suoi metodi, ovviamente. Sostanzialmente, la trama si rifà a Shane (Il cavaliere della valle solitaria, da noi), un classico della cinematografia americana, ibridandolo con la moda del vigilante di quartiere e con i toni duri e al neon che Michael Mann aveva imposto in televisione con il suo Miami Vice. Il protagonista, strano a dirsi, è un attore inglese, Edward Woodward (universalmente noto per la sua interpretazione dello sfortunato poliziotto di un film horror cult come The Wicker Man), chiamato a interpretare un eroe che più americano non si può.
Comunque, gli ascolti sono buoni e la serie potrebbe andare avanti ancora a lungo se non fosse che la Universal (che la serie la produce) e la CBS (che la manda in onda) litigano per i diritti di rinnovo di Murder, She Wrote (La signora in giallo) e The Equalizer ne fa le spese.

Mi stai dicendo che è stata la Signora Fletcher a uccidere Robert McCall?

Esatto.

Ma, in Italia, The Equalizer è arrivata?

Sì, con il titolo di Un giustiziere a New York. È stata trasmessa da Rai 2 dal 1987 al 1990.

Ok, ma come ci arriviamo alla serie di film?

Come ti dicevo, nei tardi anni novanta e nei primi anni duemila, scoppia la moda dei film tratti dalle serie televisive e tutti corrono ad accaparrarsene una. Una volta che i titoli maggiori sono finiti, si passa a quelli minori, e The Equalizer entra nel mirino di una vasta cordata produttiva (tra cui Sony, Columbia e la Escape Artist). Inizialmente, il progetto è legato a Russell Crowe e Paul Haggis, ma poi passa di mano in mano, fino a finire in quelle di Richard Wenk (allo script) e, soprattutto, di Denzel Washington (attore protagonista) e Antoine Fuqua (regia). A quel punto siamo nel 2011 e l’innamoramento di Hollywood per questo genere di operazioni si è in parte raffreddato, quindi si decide di allontanarsi parecchio dalla matrice originale della serie, pur mantenendone i punti saldi. Si sviluppa quindi un film molto autonomo e con una propria identità precisa, che esordisce nelle sale nel 2014 ricevendo buone critiche e un più che discreto riscontro al botteghino.

È un buon film?

È un ottimo film. Asciutto, essenziale, scritto e girato con misura e con un Denzel Washington in stato di grazia. La sua discendenza da una serie non solo non è un peso, ma diventa un fattore del tutto irrilevante dato che il film diventa, immediatamente, molto più popolare della serie da cui è tratto.

Quindi continuano…

Sì, anche perché sia Denzel Washington che Fuqua sembrano divertirsi molto con l’IP e Wenk ha varie idee su come mandare avanti la storia. Il secondo film arriva nel 2014 e, sostanzialmente, ripete la formula con più violenza e con Pedro Pascal.

Immagino che vada bene anche questo, giusto?

Meglio del primo, costando anche qualcosa di meno. Anche qui, le critiche sono buone e la gente sembra amare il Robert McCall interpretato da Washington. Il film è solido, essenziale, ben costruito, splendidamente fotografato. Puro e semplice intrattenimento, ma fatto benissimo.

E arriviamo al terzo capitolo…

Che dovrebbe, in teoria, chiudere la “Trilogia di McCall”.

Fammela rapida, com’é?

Un inspiegabile disastro.

Sul serio?!

Diciamo che non ci si spiega come lo stesso sceneggiatore e lo stesso regista degli stessi, ottimi, primi due capitoli della serie possano aver realizzato una pellicola così fuori fuoco.

Che problemi ci sono?

Il primo è l’ambientazione: un’Italia immaginaria fatta da scenari da cartolina, mescolati con suggestioni da Gomorra (con tutta una serie di omaggi-furti ben evidenti alla serie di Sollima), dove la camorra e la ‘ndrangheta si mescolano, dove si fa continuamente confusione tra Napoli e la Sicilia, dove i personaggi negativi hanno enormi busti del Duce dentro casa loro, dove la polizia è una barzelletta e i baristi servono cappuccini anche se chiedi un tè. Ma questo è un problema, principalmente, per il pubblico italiano…

E poi?

E poi c’è il film in quanto tale. Che dopo un inizio folgorante (forse una delle migliori sequenze di tutta la serie), perde completamente di consistenza, mettendo in scena una storia confusa, senza ritmo, senza logica, senza tensione. Come detto prima, una faccenda abbastanza inspiegabile visto che il team creativo è sostanzialmente lo stesso degli altri film.

Ma non si salva niente?

Denzel Washington, come sempre. Che, pure se messo al servizio di uno script terribile, riesce a dare un corpo e un carisma straordinario al suo personaggio. Lo guardi e lo ami, anche se tutto quello che gli ruota attorno è terribile. L’unica altra cosa carina è vederlo assieme sullo schermo con una Dakota Fanning ormai adulta. I due avevano già lavorato assieme nello splendido Man on fire di Tony Scott, quando la Fanning era ancora una bambina.

Quindi, non vado a vederlo?

Non so. Se ti piace la serie, è comunque un nuovo capitolo, forse il conclusivo. Quindi, io lo vedrei lo stesso. Alla peggio, ti farai due risate con la rappresentazione dell’Italia e ti esalterai con la sequenza iniziale.

Ok. Però mi hai depresso…

Spiace anche a me, te lo assicuro. Io adoro Denzel Washington nei panni di McCall. No, aspetta, io adoro Denzel Washington nei panni di chiunque.