Cinema

Kevin Spacey: 5 ruoli che lo hanno reso una leggenda

Pubblicato il 27 luglio 2023 di Giulio Zoppello

Un miglior regalo Kevin Spacey non poteva chiederlo per il suo compleanno. La sentenza di assoluzione ha messo la parola fine ad un calvario giudiziario durato anni, a causa del quale uno dei più grandi attori degli ultimi decenni si è visto sostanzialmente la carriera danneggiata in modo irreparabile. Spacey era diventato una sorta di paria per il mondo hollywoodiano, solo Johnny Depp ha subito una persecuzione paragonabile alla sua negli ultimi anni. E dire che aveva saputo mettere a segno alcune delle interpretazioni più iconiche che si ricordino tra piccolo e grande schermo, si era distinto come un attore di una poliedricità, carisma e talento semplicemente sensazionali. Guardare la sua carriera, selezionare i 5 ruoli più iconici, significa bene o male anche segnare un punto, ricominciare un discorso, un percorso, che speriamo che da qui in avanti se non lo risarcisca, se non altro gli permetta di tornare a ruggire come quando era il paradigma della nuova concezione di attore.

House of Cards

Tagliamo la testa al toro: House of Cards rappresenta uno dei momenti più alti e più rivoluzionari della carriera di Kevin Spacey, ed ancora oggi fa sensazione pensare come, nel momento in cui con questa serie aveva raggiunto una popolarità e un consenso incredibili, sia stato abbattuto, quasi abbracciando la possibile sorte del suo personaggio. Il presidente Frank Underwood è uno dei protagonisti più torbidi, inquietanti, complessi, realistici e importanti della storia della televisione e questa serie una sorta di odissea machiavellica inquietante e rivelatrice sulla spietatezza della politica moderna.
Al fianco di Robin Wright, è finito in un viaggio a metà tra Shakespeare e Kafka, donandoci quello che in certi momenti è stato un villain terrificante, per il quale però non si riusciva mai a nutrire una reale animosità od ostilità, affascinati dalla sua incredibile energia, dalla sua astuzia quasi soprannaturale ma anche della capacità che ha saputo donargli Spacey di abbracciare ogni possibile emozione.
Nel farlo mai è stato legato a un manierismo che avrebbe potuto essere eccessivo. Tra le più importanti serie televisive di ogni tempo House of Cards ha chiuso in modo ignominioso, senza di lui, con un’ultima stagione poverissima a livello di scrittura e trama. Ora viene da chiedersi se magari, adesso, qualcuno penserà a rimediare, a farci abbracciare per un’ultima volta il Presidente più temuto di tutti i tempi, l’immagine più reale e storicamente veritiera del concetto di leadership politica americana.

American Beauty

Il film di Sam Mendes rappresenta ancora oggi una sorta di chiusura, un simbolo semantico unico. American Beauty è stato il film che ha segnato la fine del XX secolo, simboleggiato il passaggio dal vecchio mondo analogico a quello digitale, ma soprattutto rimane un inquietante e lucidissimo ritratto della società americana. Lui, Kevin Spacey, qui si guadagnò un meritatissimo premio Oscar, nei panni di uno spaesato, depresso, ma infine nuovamente motivato Lester Burnham, cittadino medio americano ribelle alla realtà e alla vita. Malinconico, disperato, sovente poetico e attraversato da un black humor resistibile, American Beauty gli permette di diventare depositario dell’eredità finale della generazione dei baby boomers, quelli che sostanzialmente hanno fallito, non sono riusciti a creare un’America migliore, un mondo migliore, sono stati genitori e coniugi fallimentari, attaccati alle cose materiali, incapaci di inseguire i propri sogni e di essere qualcosa di più di meri piccoli borghesi repressi. Film che anticipa l’individualismo sfrenato del tecnocratico XXI secolo, American Beauty ha alcune delle scene più iconiche del cinema anni ‘90, ma risulta soprattutto ancora oggi attuale grazie al suo protagonista, così stanco delle convenzioni, di essere schiavo del sistema, di non essere più sicuro di poter costruire liberamente il proprio destino. Se mai ci sono dei difetti, essi vengono coperti dalla sua interpretazione viscerale, umanissima, innovativa in modo spiazzante.

I Soliti Sospetti

Tra i migliori crime thriller di tutti i tempi, I Soliti Sospetti di Bryan Singer, heist movie dalle mille facce, gigantesca scatola cinese in grado di omaggiare ad un tempo Sergio Leone, Friedkin e Aldrich, ha una delle migliori sceneggiature della storia del genere, ed un cast letteralmente fantastico.
Il narratore principale è lui, Kevin Spacey, unico sopravvissuto di un gruppo di ladri e criminali ricattati da un misterioso Keyser Söze, sorta di eminenza nera del mondo della criminalità, e costretti a mettere a segno un colpo impossibile. Solo sul finale ci rendiamo conto che è lui Keyser Söze, in uno dei colpi di scena meglio congegnati della storia del cinema, elevati dal trasformismo con cui Kevin Spacey prima dipinge una canaglia vile, opportunista e pietosa, poi invece si erge su tutto e tutti, come un ragno tessitore, un giocatore di scacchi sensazionale, la quintessenza della malvagità. Film corale sontuosamente diretto, I Soliti Sospetti ha rappresentato il definitivo salto di qualità nella sua carriera, in virtù di un Oscar come miglior attore non protagonista, ma soprattutto di una capacità di essere torbido, viscido, credibilissimo in ogni momento. Prima è un rifiuto della società, trae in inganno gli ex complici, ogni poliziotto con cui ha che fare, tutte vittime di un personaggio che in sé racchiude il concetto stesso di manipolazione.

L.A. Confidential

Altra interpretazione sontuosa per Kevin Spacey, in quello che è e rimane uno dei più innovativi noir della cinematografia moderna, tratto da un capolavoro di James Ellroy, a metà tra realtà e fantasia. Assieme a Russell Crowe e Guy Pearce, Kevin Spacey forma una trinità del concetto di poliziotto, come era narrativamente inteso sul grande schermo e nelle pagine di quella letteratura americana che ci ha donato individui torbidi, antieroi duri e disperati. In lui si erge rispetto a tutti gli altri in modo supremo il concetto di ambiguità morale, con il suo Sergente Jack Vincennes, uomo di mondo, modaiolo, superficiale, corrotto, ma solo fino ad un certo punto. Sì, perché nel finale, a dispetto di tutto e tutti, cerca come può di riscattarsi, di tornare ad essere quello che voleva essere: un poliziotto onesto. Pagherà con la vita il coraggioso gesto, ma ciò che è ancora oggi seduce è come Kevin Spacey, con un semplice sguardo, una camminata, rischi a costruire un personaggio che è a metà tra la Hollywood amorale e ipocrita del dopoguerra e la realtà storica della polizia della “città degli angeli”, da sempre tra le più corrotte, eversive e malsane della storia americana. Allo stesso tempo, si connette ai grandi divi del piccolo e grande schermo di quegli anni, con uno charme e un’eleganza che vanno di pari passo all’intima fragilità che rappresenta questo personaggio, molto meno spietato e amorale di quanto egli stesso vorrebbe essere.

Seven

Bastano pochi minuti per diventare uno dei più grandi cattivi di tutti i tempi. Certo bisogna essere un attore diverso dagli altri, bisogna essere Kevin Spacey. Seven di David Fincher è con ogni probabilità il miglior thriller degli anni ‘90, nonché uno dei più innovativi di sempre. Per tre quarti del film Kevin Spacey, con il suo John Doe è invisibile, è un serial killer sadico, puntiglioso, preciso come un’operazione chirurgica ed implacabile. Proprio nel momento in cui pare sconfitto, in cui Brad Pitt e Morgan Freeman paiono averlo messo all’angolo, capovolge tutto con uno dei finali più strazianti, inquietanti e iconici della storia del thriller, un trionfo della volontà del male sulle buone intenzioni, un colpo di maglio con cui David Fincher fa a pezzi il concetto di happy ending. Nessuno, se non Kevin Spacey, avrebbe saputo dare una personalità così forte, così memorabile, in così poco tempo, a quello che è e rimane uno dei più sanguinari villain della storia del cinema. Questo perché armato del suo sguardo di ghiaccio, di quel suo sorriso da Monna Lisa, della capacità di abbracciare le tenebre senza far sfoggio di muscoli o di una teatralità eccessiva, ma grazie ad una mimica ed a un uso della voce semplicemente sensazionali. Seven gli ha dato uno dei ruoli più sgradevoli, ma proprio per questo più importanti, in una carriera inimitabile.